Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25737 del 30/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 30/10/2017, (ud. 07/07/2017, dep.30/10/2017),  n. 25737

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18757/2016 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, ((OMISSIS)),in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

I.A.A., C.P.,

V.D.A., V.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA CHIANA 48, presso lo studio dell’avvocato SILVIO BOZZI,

rappresentati e difesi dall’avvocato FABRIZIO GIORDANO;

– controricorrenti –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

27/01/2016, Cron. n. 753/2016, R.G.V.G. n. 51137/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/07/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

Fatto

PREMESSO

Che:

La Corte d’Appello di Roma, con decreto del 27 gennaio 2016, ha accolto l’opposizione proposta dagli attuali controricorrenti.

Avendo da un lato riconosciuto che J. e C. si erano entrambi costituiti nel giudizio “presupposto” così che il risarcimento del danno va riconosciuto in favore di ciascuno e dall’altro lato che V.A. e D.A. avevano agito quali eredi per l’equa riparazione in relazione al danno patito dalla propria dante causa così che spetta a ciascuno l’indennizzo limitatamente al periodo in cui fu parte del processo la dante causa, la Corte d’Appello ha condannato il Ministero della Giustizia a pagare in favore di J. e C., per ciascuno, la somma di Euro 14.500 e in favore di V.A. e D.A., per ciascuno, la somma di Euro 2.500.

Contro tale decreto il Ministero propone ricorso, articolato in tre motivi.

Resistono con controricorso J.A.A., C.P., V.A. e D.A..

Il ricorrente ha depositato memoria. La memoria, per la parte in cui pone in essere una integrazione del ricorso con due nuovi motivi “esplicativi dei motivi a suo tempo proposti”, è inammissibile.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Col primo motivo di ricorso il Ministero della Giustizia lamenta la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte d’appello ritenuto applicabile al termine di decadenza di cui all’art. 4 della citata legge la sospensione dei termini nel periodo feriale. Richiamata la pronuncia delle sezioni unite di questa Corte n. 16783/2012 che ha escluso il decorso del termine di prescrizione del diritto all’equa riparazione in quanto impedito dal termine di decadenza di cui all’art. 4, il ricorrente Ministero afferma che da tale premessa discende, sul piano logico-sistematico, l’inapplicabilità di un istituto come la sospensione dei termini nel periodo feriale, che è proprio dei termini processuali.

Il secondo motivo denuncia, anch’esso, la violazione o falsa applicazione del medesimo articolo 4, ma in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4: si sostiene che il carattere “monitorio” del procedimento, che non introduce un giudizio contenzioso, ma solo una fase sommaria, previsto della L. n. 89, nuovo art. 3, non si concilierebbe, per le sue caratteristiche di speditezza e urgenza, con la sospensione feriale dei termini processuali.

Entrambi i motivi, da esaminare congiuntamente, sono manifestamente infondati. Essi si contrappongono, senza alcun valido argomento, all’indirizzo ormai consolidato di questa Corte in base al quale – in quanto fra i termini sospesi nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato quando l’azione in giudizio rappresenta l’unico rimedio per far valere il diritto – la sospensione si applica anche al termine previsto della L. n. 89, art. 4, per la proposizione della domanda (in tal senso, da ultimo, Cass. 4147/2017).

2. Con il terzo motivo viene fatta valere la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 4 e 2, nonchè dell’art. 75 c.p.c.: si lamenta la tardività della richiesta indennitaria svolta da V.A.D. e A., quali eredi di P.C., in quanto l’evento morte intervenuto in corso di causa determina una anticipazione del dies a quo della domanda.

Pure questo motivo è infondato. La L. n. 89, art. 4, “configura la sola definitività della decisione come dies a quo ai fini della decorrenza del termine di decadenza per la proponibilità della domanda, mentre il diritto dell’erede di agire in tale qualità, dopo la morte del dante causa, si prospetta come mera possibilità di esercitare quel diritto, senza, quindi, che si possa ricollegare alla morte della parte alcun effetto giuridico incidente sul termine di proponibilità della domanda” (così Cass. 20564/2010).

3. Il ricorso va pertanto rigettato.

La liquidazione delle spese, effettuata nel dispositivo, segue la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente Ministero della Giustizia al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in Euro 800 per compensi, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 7 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2017

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