Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25737 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. III, 22/09/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 22/09/2021), n.25737

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 852-2019 proposto da:

IMPRESA EDILE S.D., rappresentato e difeso dall’avv.to

FABRIZIO LOFOCO, (Ndr: testo originale non comprensibile), ed

elettivamente domiciliato in Roma piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

ALLIANZ SPA, in persona del legale rapp.te pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ISONZO 42-A, presso lo studio dell’avvocato

ACHILLE REALI, rappresentato e difeso dall’avvocato Dante De

Benedetti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 699/2017 del TRIBUNALE di TRIESTE, depositata

il 27/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. L’impresa edile S.D. ricorre, affidandosi a due motivi illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza del Tribunale di Trieste che aveva rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso in favore della compagnia Allianz Spa per il recupero della somma corrispondente al versamento eseguito dalla compagnia in favore del Comune di Ravenna, in forza della polizza fideiussoria stipulata a garanzia della rata di saldo relativa all’appalto concluso dall’opponente con l’ente comunale per l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione, adeguamento e rifunzionalizzazione del palazzetto dello Sport di Ravenna.

1.1. Per ciò che qui interessa, la odierna ricorrente aveva dedotto di aver stipulato, in qualità di capogruppo dell’A.T.I. appositamente costituita, un contratto per i lavori sopra descritti, avvalendosi di una società esterna (la Art. e Parquet srl) per l’esecuzione della fornitura e posa in opera del parquet nelle palestre; che il Comune aveva contestato vizi e difetti della posa in opera, defalcando da quanto dovuto una ingente somma a garanzia dei lavori di ripristino; che aveva comunicato le contestazioni alla società che aveva eseguito i lavori la quale le respingeva, rifiutandosi di intervenire nuovamente; che esperito un A.T.P. emergeva la responsabilità della società esecutrice per i difetti riscontrati, con quantificazione delle somme necessarie per un nuovo intervento; che il Comune aveva quindi deciso di intervenire in autonomia per i lavori di ripristino, rivendicando il pagamento di un ulteriore importo; che, nelle more, il Comune si era avvalso della polizza fideiussoria “a prima richiesta”, contratta dall’opponente con Allianz Spa che, dunque, aveva domandato al Tribunale di Trieste un provvedimento monitorio a carico della ricorrente per recuperare la somma erogata, decreto che era stato opposto; che, infine, respinta l’opposizione, era stato proposto appello dinanzi alla Corte territoriale, dichiarato inammissibile ex art. 348bis c.p.c..

2 La parte intimata ha resistito con controricorso e memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, con violazione degli artt. 1710 e 1375 c.c.

1.1. Lamenta che la statuizione del primo giudice era viziata laddove, anche a voler propendere, secondo la tesi sulla quale si era fondata la decisione, che la polizza stipulata configurasse un contratto autonomo di garanzia, non aveva tenuto conto che il contratto prevedeva l’onere, in capo al Comune, di motivare la richiesta di pagamento con l’indicazione dei presupposti della garanzia e che da ciò doveva desumersi che la compagnia, prima di provvedere, era a perfetta conoscenza delle risultanze dell’A.T.P. (e quindi della responsabilità della Art. e Parquet srl), anche perché ciò era stato comunicato dallo stesso Comune di Ravenna: in buona sostanza, il ricorrente lamenta che, colpevolmente, la compagnia aveva omesso di sollevare l’exceptio doli alla quale, in thesi, sarebbe stata tenuta.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’ingiusta declaratoria di inammissibilità dell’appello ex art. 348bis c.p.c.: assume che la Corte territoriale aveva formulato una prognosi infausta sull’esito della lite, senza delibare sufficientemente sulle ragioni e sugli argomenti spesi in sede d’appello.

3. Il primo motivo è inammissibile sotto plurimi profili.

3.1. In primo luogo, infatti, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non è dedotta alla stregua del principio di diritto consolidato secondo il quale “la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre.” (cfr. Cass. 11892/2016; Cass., Sez. Un. 16598/2016 e Cass.; Cass. Sez. Un. 20867/2020).

3.2. In secondo luogo, l’ulteriore aspetto della censura è riferito letteralmente, alla “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione “, vizio non più contemplato all’interno del paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., a seguito della modifica della norma introdotta dalla L. n. 134 del 2012 che ha sostituito tale formulazione con “l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti”, fatto storico principale o secondario che, nel caso in esame, non è stato neanche indicato.

3.3. in terzo luogo, il motivo si limita a prospettare una diversa interpretazione delle emergenze processuali rispetto alle quali il primo giudice ha reso una motivazione congrua, logica e coerente con i principi di diritto in materia.

3.4. Il Tribunale di Trieste, infatti, ha fedelmente esaminato il contenuto della polizza fideiussoria, con particolare riferimento alla pattuizione secondo cui l’importo era “dovuto dal contraente entro il termine di 15 giorni dal ricevimento della semplice richiesta scritta della stazione appaltante motivata dalla ricorrenza dei presupposti per l’escussione della garanzia”: tale previsione era riferita al paradigma del contratto autonomo di garanzia che, secondo l’interpretazione di questa Corte (Cass. SU 3947/2010), pregiudica ogni possibilità di richiamare le modalità di svolgimento del rapporto garantito.

3.5. Ed, al riguardo, escluso che ricorressero i presupposti per sollevare l’exceptio doli, in quanto la richiesta era coerente con le condizioni della polizza, il Tribunale ha anche precisato che il garante, dopo aver pagato nelle mani del beneficiario, avrebbe potuto esperire un’azione di regresso unicamente nei confronti del debitore garantito, ex art. 1950 c.c., senza che questi potesse opporsi al pagamento o eccepire alcunché in sede di rivalsa in merito all’avvenuto adempimento, potendo soltanto agire, nei confronti dello stesso beneficiario, ai sensi dell’art. 2033 c.c.: ma, tanto premesso, il Tribunale ha esaminato anche la condotta del Comune di Ravenna escludendo che ricorressero i presupposti della condictio indebiti (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).

3.6 La violazione di legge prospettata nella seconda parte della rubrica maschera dunque, una richiesta di rivalutazione di merito delle emergenze processuali, non consentita in sede di legittimità, in presenza, oltretutto, di una motivazione congrua e logica ed al di sopra della sufficienza costituzionale (cfr. Cass. 18721/2018; Cass. 31546/2019).

4. Il secondo motivo rimane logicamente assorbito, pur non essendo inutile rilevare che esso appare rivolto, nella parte argomentativa, contro l’ordinanza della corte d’appello, come si rileva nella parte finale dell’illustrazione del motivo che, tuttavia, presenta conclusioni tanto carenti da non consentire al Collegio di apprezzare contro quale provvedimento sia diretta la censura, con la conseguenza che l’incoerenza fra la parte argomentativa ed il petitum ne imporrebbe, comunque, la declaratoria di inammissibilità (cfr. al riguardo Cass., Sez. Un., n. 1914/2016).

6. in conclusione, il ricorso è inammissibile.

6. Ricorrono, inoltre, i presupposti di cui all’art. 96 c.p.c., u.c.

6.1. Questa Corte ha recentemente riesaminato la questione relativa alla funzione sanzionatoria della condanna per lite temeraria prevista dalla norma teste richiamata, in relazione sia alla necessità di contenere il fenomeno dell’abuso del processo sia alla evoluzione della fattispecie dei “danni punitivi” che ha progressivamente fatto ingresso nel nostro ordinamento.

6.2. Al riguardo, è stato affermato che “la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 2, e con queste cumulabile, volta al contenimento dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’aver agito o resistito pretestuosamente (Cass. 27623/2017) e cioè nell’evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione.

6.3. Tale pronuncia è stata preceduta da un altro fondamentale arresto volto a valorizzare la sanzione prevista dalla norma, secondo il quale “nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile, sicché non è ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto, di origine statunitense, dei “risarcimenti punitivi” (Cass. SSUU 16601/2017): nella motivazione della sentenza richiamata, l’art. 96 c.p.c., u.c. è stato inserito nell’elenco delle fattispecie rinvenibili, nel nostro sistema, con funzione di deterrenza.

6.4. in relazione a ciò, va ribadito, a mero titolo esemplificativo, che ai fini della condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, può costituire abuso del diritto all’impugnazione la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata, o completamente privo di autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia, oppure fondato sulla deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, ove sia applicabile, ratione temporis, l’art. 348ter c.p.c., u.c. che ne esclude la invocabilità.

6.5. In tali ipotesi, il ricorso per cassazione integra un ingiustificato sviamento del sistema giurisdizionale, essendo non già finalizzato alla tutela dei diritti ed alla risposta alle istanze di giustizia, ma destinato soltanto ad aumentare il volume del contenzioso e, conseguentemente, a ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti ed il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione.

6.6. Nel caso in esame, le censure contenute nel ricorso – tutte inammissibili devono ritenersi gravemente erronee e non più compatibili con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla giustizia ed alla tutela dei diritti (cfr. art. 6 CEDU) e, dall’altra, deve tener conto del principio costituzionalizzato della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) e della necessità di creare strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie e defatigatorie: in tale contesto è sanzionabile l’abuso dello strumento giudiziario (Cass. n. 10177 del 2015), proprio al fine di evitare la dispersione delle risorse per la giurisdizione (cfr Cass. SSUU. 12310/2015 in motivazione) e consentire l’accesso alla tutela giudiziaria dei soggetti meritevoli e dei diritti violati, per il quale, nella giustizia civile, il primo filtro valutativo – rispetto alle azioni ed ai rimedi da promuovere – è affidato alla prudenza del ceto forense coniugata con il principio di responsabilità delle parti.

7. Deve pertanto concludersi per la condanna del ricorrente, d’ufficio, al pagamento in favore della controparte, in aggiunta alle spese di lite, di una somma equitativamente determinata in Euro 2.500,00, pari, in termini di proporzionalità (cfr. Cass. SU 16601/2017 sopra richiamata), al compenso liquidabile in relazione al valore della causa.

8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte,

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in 2500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Condanna altresì il ricorrente, ex art. 96 c.p.c., u.c., al pagamento di Euro 2500,00 in favore della controparte.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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