Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25735 del 01/12/2011
Cassazione civile sez. VI, 01/12/2011, (ud. 07/11/2011, dep. 01/12/2011), n.25735
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –
Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 9895/2010 proposto da:
M.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,
presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv.
GRASSO Biagio, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS) in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo
rappresenta e difende, ope legis;
– resistente –
avverso il decreto n. 2631/08 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del
20.5.09, depositato il 06/10/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
07/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. RENATO RORDORF.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MAURIZIO
VELARDI che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto emesso il 6 ottobre 2009 la Corte d’appello di Napoli ha rigettato un ricorso del sig. M.M., il quale aveva chiesto la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze a corrispondergli un equo indennizzo per l’eccessiva durata di un giudizio da lui promosso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, protrattosi per dieci anni.
La corte d’appello ha fondato la propria decisione sul duplice rilievo che il ricorrente non aveva depositato dinanzi al giudice amministrativo alcuna istanza sollecitatoria, dimostrando perciò di non avere un reale interesse alla rapida definizione del giudizio pendente, e che egli era verosimilmente consapevole dell’infondatezza della domanda in quella sede avanzata, sia per l’ormai intervenuta prescrizione sia per l’esistenza di una consolidata giurisprudenza contraria al richiesto inquadramento retroattivo tra gli impiegati di ruolo regionali dei dipendenti i quali avevano in precedenza prestato servizio presso centri di formazione professionale privati.
Per la cassazione di tale decreto il sig. M. ha proposto ricorso.
L’amministrazione intimata non ha depositato controricorso, bensì solo un “atto di costituzione” in vista della partecipare alla discussione del ricorso in udienza, nella quale non è poi però intervenuta.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente si duole: a) del fatto che la corte d’appello, pur avendo constatato l’eccessiva durata del processo del quale si discute, abbia ritenuto di poter superare la presunzione di un conseguente danno non patrimoniale subito dalla parte facendo leva su circostanze non dedotte dall’amministrazione convenuta; b) del fatto che sia stato dato rilievo dirimente alla mancata presentazione, nel corso del giudizio amministrativo, di un’istanza di prelievo che, viceversa, la parte non aveva alcun onere di proporre; c) del fatto che analogo rilievo sia stato dato ad una asserita giurisprudenza contraria all’accoglimento della pretesa fatta valere dal ricorrente nel giudizio anzidetto, senza però indicarne gli estremi e trascurando di considerare che l’esito sfavorevole della causa non basta ad escludere il pregiudizio subito dalla parte per effetto dell’eccessiva durata della causa medesima.
Il rilievo sub a) non è condivisibile, dovendo il giudice valutare come infondata e perciò rigettare la domanda di equo indennizzo per l’eccessiva durata di una causa quando dagli atti risultino elementi tali da far escludere l’esistenza del pregiudizio da indennizzare, che è uno degli elementi costitutivi di detta domanda, indipendentemente dalla proposizione di specifiche eccezioni sollevate al riguardo dall’amministrazione convenuta. E ciò dicasi anche per l’ipotesi in cui l’infondatezza della domanda dipende dalla circostanza che la causa di merito si presenti come una lite temeraria o che la parte abbia artatamente resistito in giudizio (cfr. Cass. 9 aprile 2010, n. 8513).
Il rilievo sub b) è astrattamente fondato, ma non da solo sufficiente a determinare l’accoglimento del ricorso, stante invece l’infondatezza di quello sub c).
E’ vero, infatti, che il diritto all’equa riparazione spetta indipendentemente dall’esito del processo presupposto, ad eccezione del caso in cui il soccombente abbia proposto una lite temeraria, difettando in tal caso il presupposto stesso dell’incertezza e del conseguente disagio psicologico derivante dall’attesa di giustizia (cfr., ex multis, Cass. 20 agosto 2010, n. 18780; e 12 maggio 2011, n. 10500); ma la valutazione in ordine alla temerarietà della lite spetta al giudice di merito e, se adeguatamente motivata, si sottrae al vaglio della Suprema Corte. Nel caso in esame la corte d’appello ha basato il proprio giudizio non soltanto sulla considerazione – criticata dal ricorrente – dell’esistenza di una giurisprudenza consolidata di segno contrario all’accoglimento della pretesa fatta valere dal ricorrente medesimo nel giudizio intrapreso dinanzi al tribunale amministrativo, ma anche sul rilievo che il diritto in quella sede azionato risultava ormai prescritto.
Nulla a quest’ultimo riguardo il ricorrente osserva, eppure trattasi di un rilievo evidentemente decisivo, alla luce del quale la valutazione di temerarietà della lite è del tutto ragionevolmente configurabile.
Il ricorso, quindi, dev’essere rigettato.
Non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, giacchè l'”atto di costituzione” dell’amministrazione intimata non ha nè la forma nè il contenuto di un vero controricorso, nè vi è stata successiva partecipazione dell’Avvocatura dello Stato alla discussione in pubblica udienza.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2011