Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25734 del 30/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 30/10/2017, (ud. 15/06/2017, dep.30/10/2017),  n. 25734

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27621/2009 proposto da:

B.M. (OMISSIS), BE.GI., BO.AN.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato DARIO DONELLA;

– ricorrenti –

contro

G.T., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FRANCESCO SIACCI 2/B, presso lo studio dell’avvocato CORRADO DE

MARTINI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

SOCIETA’ PORTO LACONIA S.p.A., in Liquidazione in persona del

Liquidatore pro tempore, O.G. in proprio;

– intimati –

avverso la sentenza n. 750/2009 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 28/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha l’inammissibilità o comunque per ricorso;

udito l’Avvocato GIANLUCA CALDERARA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto del 1999 G.T. citava in giudizio la società Porto Laconia SpA, il suo amministratore e i componenti del collegio sindacale. L’attore affermava di avere stipulato contratti preliminari – di acquisto di quote di proprietà indivisa con la formula della multiproprietà di unità abitative della società – e chiedeva al giudice di pronunciare nei confronti della Porto Laconia, previa rideterminazione del prezzo, sentenza ex art. 2932 c.c., con conseguente condanna dei convenuti alla restituzione della differenza tra le somme già percepite e il minor prezzo e al risarcimento dei danni causati dall’inadempimento; per l’ipotesi in cui la domanda ex art. 2932 e “quelle ad essa connesse e/o conseguenti non possano trovare in tutto o in parte accoglimento” chiedeva di condannare l’amministratore e i sindaci al risarcimento dei danni in misura non inferiore a 250 milioni di Lire.

La società e l’amministratore Olivieri sono rimasti contumaci; si sono costituiti i sindaci B., Be. e Bo. chiedendo il rigetto delle domande dell’attore; in corso di causa G. ha chiesto di integrare il contraddittorio nei confronti del liquidatore giudiziale, nominato nell’ambito della procedura di concordato preventivo cui nel frattempo era stata sottoposta la società; con ordinanza l’istanza è stata respinta dal Tribunale Verona, che definitivamente pronunciando, ha rigettato le domande proposte da G..

2. G. ha proposto appello, facendo valere con il primo motivo la nullità della sentenza a causa della mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del liquidatore.

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 750/2009, ha accolto l’impugnazione di G. e ha dichiarato la nullità della sentenza del Tribunale di Verona del 2002, disponendo la rimessione della causa al primo giudice.

3. B., Be. e Bo. hanno presentato ricorso in cassazione, fondato su due motivi.

G. ha presentato controricorso, anzitutto eccependo l’inammissibilità dei due motivi, in quanto privi del quesito di diritto, ratione temporis applicabile.

Con ordinanza interlocutoria, depositata il 29 maggio 2015, questa sezione della Corte di cassazione ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di O.G.; l’integrazione è stata posta in essere dai ricorrenti.

B., Be. e Bo. hanno depositato, in data 7 giugno 2017, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

La società Porto Laconia e O.G. non hanno presentato alcuna difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la “violazione dell’art. 354 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3”.

Preliminarmente va esaminata l’eccezione, proposta dal controricorrente, di inammissibilità del motivo di ricorso per mancanza del quesito di diritto. Il requisito di cui all’art. 366-bis, che a pena di inammissibilità vuole la formulazione del quesito di diritto a conclusione dell’illustrazione del motivo – era in effetti in vigore al momento della proposizione del ricorso (trattandosi appunto di ricorso proposto dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, che ha introdotto l’art. 366-bis c.p.c., nei confronti di una sentenza depositata prima dell’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, che l’articolo ha abrogato). Il requisito è comunque presente nel ricorso: al termine della illustrazione del motivo vi è infatti una sezione intitolata “regola da applicare” in cui viene indicato, sia pure in modo parziale, il quesito di diritto rivolto alla Corte.

Veniamo al merito del motivo, con il quale i ricorrenti censurano la sentenza della Corte d’appello per aver ritenuta necessaria la partecipazione al processo del liquidatore anche in relazione alla domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti dell’amministratore e dei sindaci e per aver così respinto l’istanza di separazione delle cause da questi ultimi avanzata in appello.

Il motivo è infondato.

Come afferma la Corte d’appello, tra le domande proposte nei confronti della Porto Laconia e quelle avanzate nei confronti dell’amministratore e dei sindaci vi è stretta connessione (cfr. la prospettazione dell’atto di citazione di primo grado – riportata sopra nei fatti di causa – che vede la domanda di risarcimento del danno contro l’amministratore e i sindaci subordinata al mancato accoglimento delle domande proposte contro la Porto Laconia). Trattandosi di domande in rapporto di dipendenza si impone la prosecuzione unitaria delle cause in simultaneo processo, con l’applicabilità dell’art. 354 c.p.c., per tutte le domande proposte (cfr. Cass., 6 marzo 2006, n. 4794).

2. Con il secondo motivo si fa valere l'”omessa motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio”, in quanto la Corte d’appello si è limitata ad affermare l’esistenza di una stretta connessione tra le cause, senza “aver considerato che i sindaci avevano, con molte argomentazioni, negato la inscindibilità”.

Anche in relazione a questo motivo si ritiene di non accogliere l’eccezione di inammissibilità per mancanza del quesito di diritto sollevata da G., in quanto alla illustrazione del motivo segue la “regola da applicare” in cui può essere ravvisato l’adempimento del requisito così come delineato per l’ (allora) n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1.

Il motivo è però infondato. La Corte d’appello, lungi dall’aver “dichiarato la nullità dell’intero giudizio di primo grado senza motivare” – come affermano i ricorrenti – ha infatti argomentato anzitutto la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti del liquidatore della società e poi la necessità di annullare la sentenza e rimettere la causa al Tribunale con efficacia nei confronti di tutte le parti presenti nel giudizio.

3. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese di lite sono liquidate in dispositivo e seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio, in favore del controricorrente, che liquida in Euro 4.200 per compensi, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2017

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