Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25733 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. III, 22/09/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 22/09/2021), n.25733

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4444-2019 proposto da:

A.S.L. (OMISSIS) AZIENDA SANITARIA LOCALE DELLA PROVINCIA DI FOGGIA,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA BARBERINI N. 12, presso lo

studio dell’avvocato UGO PATRONI GRIFFI, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

CASA SOLLIEVO DELLA SOFFERENZA IRCSS OPERA DA PADRE PIO DA

PIETRALCINA DI (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LIEGI 44, presso lo studio dell’avvocato PAOLA MORESCHINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato BARBARA RUGLIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1578/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 13/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/01/2021 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Dot. MISTRI CORRADO;

uditi gli avvocati.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 22 marzo 2005, l’Azienda Unità Sanitaria Locale (OMISSIS) (cui, nelle more del giudizio, è subentrata la Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Foggia) evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Foggia, la Casa Sollievo della Sofferenza I.R.c.c.S – Opera da Padre Pio da Pietralcina di (OMISSIS) per ottenere una pronunzia di accertamento, ai sensi dell’art. 1210 c.c., u.c., della validità del deposito della complessiva somma di Euro 15.144.368,63 presso la Banca Popolare di Milano, agenzia di (OMISSIS).

A sostegno della domanda, l’azienda attrice esponeva di avere formulato offerta reale del predetto complessivo importo, in favore dell’Ospedale convenuto, perché quest’ultimo aveva rifiutato i mandati, emessi in suo favore, relativi al pagamento di finanziamenti regionali per prestazioni sanitarie, assumendo che l’unico soggetto abilitato fosse l’Inps, avendo ceduto a tale ente, con otto atti pubblici, i corrispondenti crediti. Le cessioni, tuttavia, sebbene notificate alla Azienda Sanitaria, non erano state accettate dalla stessa, che aveva sostenuto che non sarebbero stati eseguiti i controlli necessari sulla certezza e sulla liquidità dei crediti e per prospettati problemi interpretativi sulla legittimazione della Azienda Sanitaria ad accettare le cessioni.

Si costituiva la Casa Sollievo della Sofferenza I.R.c.c.S – Opera da Padre Pio da Pietralcina di (OMISSIS) contestando la pretesa perché l’offerta reale sarebbe stata avanzata illegittimamente nei confronti di un soggetto che non era più creditore. Chiedeva di chiamare in causa l’Inps e spiegava domanda riconvenzionale per l’accertamento dell’illegittimità del rifiuto manifestato dalla Azienda Sanitaria alla cessione, per la dichiarazione di legittimità del rifiuto della Casa Sollievo di accettare l’offerta e per la condanna della Azienda Sanitaria al pagamento, in favore di Inps, dei crediti ceduti, maggiorati degli oneri conseguenti al ritardato pagamento, nonché per l’affermazione della responsabilità esclusiva, a carico della predetta azienda, nei confronti dell’Inps, con riferimento ai detti pagamenti, con manleva di I.R.c.c.S da qualsiasi responsabilità eventualmente fatta valere da Inps con riferimento ai crediti ceduti.

Si costituiva Inps chiedendo la condanna di I.R.c.c.S, quale obbligato principale e, dell’Azienda Sanitaria, in via subordinata, al pagamento dei contributi previdenziali e degli oneri e delle sanzioni accessorie.

Il Tribunale, con sentenza del 30 ottobre 2013, dichiarava cessata la materia del contendere nei rapporti tra Inps e Casa Sollievo della Sofferenza e, parzialmente, nei rapporti tra tale ultima società e l’Azienda Sanitaria Locale, fatta eccezione per l’importo di Euro 2.910.411,28 per il quale condannava l’Azienda Sanitaria al pagamento in favore di Casa Sollievo, provvedendo sulle spese di lite poste a carico dell’Azienda Sanitaria, in favore di I.R.c.c.S e, invece, compensandole nei rapporti tra quest’ultima e l’Inps.

Il Tribunale dava atto della composizione stragiudiziale della controversia, relativamente alla sorte capitale delle cessioni del credito dedotto in giudizio, nei rapporti tra I.R.c.c.S e Inps e, conseguentemente, definiva parzialmente la materia del contendere anche nei rapporti tra l’Azienda Sanitaria e I.R.c.c.S, quanto meno con riferimento alla sorte capitale. Residuava controversia riguardo agli interessi versati da I.R.c.c.S in favore di Inps per il ritardo nel pagamento dei crediti vantati da quest’ultimo ente previdenziale, in conseguenza della mancata accettazione, da parte dell’Azienda Sanitaria, delle cessioni operate da I.R.c.c.S in favore di Inps.

Secondo il Tribunale, applicando la disciplina che consente al datore di lavoro di regolarizzare il pagamento di contributi, premi e oneri accessori mediante cessione dei crediti vantati nei confronti dello Stato o di una amministrazione pubblica, la cessione del credito operata da I.R.c.c.S in favore di Inps era rituale, mentre la contestazione opposta dall’Azienda Sanitaria risultava priva di giustificazione attesi i plurimi pareri favorevoli espressi dall’assessorato alla sanità della Regione Puglia. Conseguentemente l’onere costituito dagli interessi corrisposti all’Inps per effetto del ritardato pagamento dei contributi doveva necessariamente essere posto a carico dell’Azienda Sanitaria, in quanto responsabile del ritardo.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Foggia insistendo per la richiesta di accertamento della validità del deposito con conseguente condanna della Casa Sollievo della Sofferenza I.R.c.c.S al pagamento delle spese di lite. Si costituiva l’ente appellato insistendo per il rigetto della impugnazione.

Con sentenza del 13 settembre 2018 la Corte d’Appello di Bari rigettava l’impugnazione condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite.

Contro tale decisione propone ricorso per cassazione Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Foggia affidandosi a quattro motivi. Resiste con controricorso la Casa Sollievo della Sofferenza I.R.c.c.S – Opera da Padre Pio da Pietralcina di (OMISSIS) e deposita memoria ex art. 378 c.p.c. Il Procuratore generale deposita conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce la violazione di artt. 1181,1208 e 210 c.c. e art. 113 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

In particolare, la Corte avrebbe errato nel ritenere che la controversia tra le parti si estendesse alla questione della validità ed efficacia della cessione dei crediti e la legittimità o meno del rifiuto dell’Azienda Sanitaria di accettare la cessione dei crediti; ciò in quanto la soluzione di tale questione avrebbe un rilievo preliminare rispetto alla “domanda di convalida “tesa a verificare la ritualità degli adempimenti prescritti dall’art. 1210 c.c. Al contrario, l’oggetto della convalida dell’offerta reale (art. 1208 c.c.) e del successivo deposito liberatorio (art. 1210 c.c.) riguarda solo la verifica della ritualità di tutte le modalità, formali e temporali, prescritte dalla disciplina codicistica per consentire al debitore di liberarsi dalla sua obbligazione, mentre resta estranea a tale fattispecie la questione della validità della cessione del credito e della legittimità, per la odierna ricorrente, di rifiutare quella cessione. Questo in quanto l’offerta reale prevista dall’art. 1208 c.c. produce l’effetto della costituzione in mora, individuando il momento della decorrenza di tali effetti. L’art. 1210 c.c., invece, riguarda la liberazione del debitore dalla propria obbligazione e richiede l’accettazione del creditore (nel caso di specie inizialmente non intervenuta) ovvero la statuizione con sentenza passata in giudicato (azione proposta nel presente giudizio).

Sotto un secondo profilo la Corte avrebbe dovuto considerare che l’accettazione prevista dall’art. 1210 c.c. costituisce una fattispecie peculiare che produce l’effetto liberatorio con efficacia retroattiva (alla data del deposito stesso), con conseguente estinzione dell’obbligazione. Poiché nelle more del giudizio questo è avvenuto, secondo la giurisprudenza di legittimità la accettazione non consente di mettere in discussione il profilo dell’esattezza dell’adempimento per cui la cessazione della materia del contendere conseguente all’accettazione del deposito avrebbe dovuto estendersi, necessariamente, ad ogni pretesa fatta valere nel giudizio.

Sarebbe pertanto errata l’affermazione della Corte territoriale secondo cui quell’accettazione non avrebbe fatto venire meno l’oggetto del contendere riguardante la legittimità o meno del rifiuto di accettare la cessione dei crediti. Pertanto, poiché la Casa Sollievo della Sofferenza I.R.c.c.S ha accettato il deposito, la A.S.L. avrebbe dovuto essere dichiarata liberata da ogni obbligazione con efficacia retroattiva, anche con riferimento alla domanda riconvenzionale che riguardava la presunta illegittimità delle contestazioni dell’Azienda Sanitaria riguardo alla cessione dei crediti e il conseguente rifiuto della Casa di cura a fronte dell’offerta reale ai sensi dell’art. 1210 c.c.

La domanda di pagamento nei confronti dell’Inps dei crediti ceduti, maggiorati di tutti gli oneri conseguenti al ritardato pagamento, con eventuale manleva della Casa di cura e quella tesa a sentir dichiarare la legittimità del rifiuto manifestato dalla Casa di cura rispetto all’offerta reale, sono collegate a quella spiegata in via, anch’essa riconvenzionale, di illegittimità delle contestazioni della A.S.L., a fronte degli atti di cessione dei crediti. Siccome tale domanda riconvenzionale è stata travolta dall’accettazione del deposito intervenuta in corso di causa, anche le altre domande collegate avrebbero dovuto essere disattese.

Con il secondo motivo si lamenta la violazione di artt. 99 e 100 c.p.c. e art. 112 c.p.c. e artt. 183 e 189 c.p.c., nonché degli artt. 1362,1363,1366 e 1369 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. Nel giudizio di primo grado la Casa di cura aveva proposto domanda riconvenzionale chiedendo, tra l’altro, di accertare il legittimo rifiuto della stessa rispetto all’offerta reale e al deposito proposti dall’Azienda Sanitaria, con condanna di tale azienda al pagamento, nei confronti dell’Inps, evidentemente quale creditore cessionario, delle somme relative ai crediti ceduti “maggiorate di tutti gli oneri attinenti e conseguenti il ritardato pagamento”. Costituitosi l’Inps ha chiesto che fosse accertato che il soggetto obbligato al pagamento dei crediti contributivi doveva individuarsi in I.R.c.c.S. In sede di precisazione delle conclusioni, a seguito della intervenuta compensazione, tra crediti e debiti tra l’Inps e la Casa Sollievo della Sofferenza I.R.c.c.S, quest’ultima chiedeva dichiararsi cessata la materia del contendere, con condanna della Azienda Sanitaria al pagamento della somma corrisposta a titolo di interessi per il ritardato adempimento in favore di Inps. Con il secondo motivo di appello l’Azienda Sanitaria aveva evidenziato che tale domanda di rimborso della somma di circa Euro 3 milioni corrisposta dalla Casa di cura all’Inps, costituiva una domanda nuova e diversa rispetto alla domanda riconvenzionale che riguardava l’accertamento della cessione del credito, mentre la nuova domanda aveva ad oggetto un illecito aquiliano imputabile alla Azienda Sanitaria. Una cosa era richiedere la condanna dell’azienda, così come avvenuto in comparsa conclusionale, al pagamento nei confronti dell’Inps dei crediti maggiorati degli oneri conseguenti al ritardato pagamento e altra cosa era chiedere, in sede di precisazione delle conclusioni, la condanna dell’Azienda Sanitaria al pagamento della somma di Euro 3 milioni circa “a titolo di interessi a causa dell’illegittimo comportamento” dell’Azienda Sanitaria.

Secondo la Corte d’appello, al contrario, non si sarebbe trattato di una domanda diversa. Nel fare ciò la Corte avrebbe violato le norme di interpretazione della domanda giudiziale e i criteri di ermeneutica previsti agli artt. 1362 c.c. e seguenti. Infatti, mentre la domanda riconvenzionale originaria tendeva ad individuare il soggetto tenuto all’adempimento nei confronti dell’Inps, sia per sorte capitale che per interessi, la domanda proposta in sede di precisazione delle conclusioni per il pagamento degli accessori pari ad Euro 3 milioni circa, riguardava un pregiudizio conseguente ad un comportamento antigiuridico dell’Azienda Sanitaria. E ciò a prescindere dal fatto che l’estinzione del credito di Inps costituiva una causa sopravvenuta di carenza di interesse ad agire, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., per cui la cessazione della materia del contendere avrebbe dovuto riguardare anche tale profilo.

Con il terzo motivo si deduce la violazione di artt. 1260 e 1264 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che il rifiuto di adesione dell’Azienda Sanitaria alla cessione aveva impedito il perfezionamento e quindi il pagamento di Inps da parte la Casa di cura. In ogni caso quella mancata accettazione avrebbe avuto l’unico effetto di far rivivere il rapporto obbligatorio tra la Casa Sollievo della Sofferenza I.R.c.c.S e Inps, ma non avrebbe potuto rappresentare un presupposto per affermare una responsabilità extracontrattuale dell’Azienda Sanitaria.

Con il quarto motivo si lamenta la violazione della L.R. n. 22 del 1997, art. 17 e dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 1176, 1375 e 2043 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Secondo la Corte territoriale il rifiuto dell’Azienda Sanitaria di accettare la cessione dei crediti sarebbe stato ingiustificato e costituirebbe fonte di una responsabilità extracontrattuale dalla quale deriverebbe il pagamento degli interessi da ritardo, nella estinzione dei debiti contributivi gravanti sulla Casa di cura ed a corrispondere in favore dell’Inps. La questione era stata trattata con il secondo motivo di appello della odierna ricorrente che aveva rilevato che nessuna norma di legge obbligava l’Azienda Sanitaria ad accettare la cessione del credito. Era stato dedotto che la L.R. n. 22 del 1997, art. 17 prevedeva che le prestazioni ospedaliere come quelle erogate da la Casa Sollievo della Sofferenza I.R.c.c.S “non rientrano nelle assegnazioni annuali delle AUSL e verranno liquidate direttamente dalla regione”. Pertanto l’Azienda Sanitaria non avrebbe potuto quantificare le somme spettanti alla Casa di cura per le prestazioni rese avrebbe potuto farlo solo a seguito dell’atto di determinazione da parte della regione.

Secondo la Corte territoriale la documentazione proveniente dalla regione attesterebbe la sussistenza dei crediti oggetto di cessione atteso che gli eventuali scostamenti “attengono a percentuali non rilevanti e, in ogni caso, suscettibili di recuperi e conguagli”.

Ma una siffatta valutazione sarebbe errata perché il giudice del merito avrebbe dovuto accertare i presupposti dell’art. 2043 c.c. e cioè il fatto illecito e l’evento dannoso. Tale accertamento non sarebbe stato compiuto perché la decisione dell’Azienda Sanitaria di non accettare la cessione si fondava sul contenuto dell’art. 17 citata L.R., in quanto mancavano gli atti regionali di determinazione e liquidazione delle prestazioni ospedaliere espletate da I.R.c.c.S.

Inoltre, non sarebbe stato verificato l’elemento del nesso di causalità tra il rifiuto opposto e il ritardo nei pagamenti. Sotto tale profilo il nesso causale non sussisterebbe perché, nel caso di mancato perfezionamento del procedimento di cessione dei crediti in questione, l’onere di pagare tempestivamente ricade sul cedente, che risponde per l’eventuale inadempimento del ceduto. In questo caso il ceduto aveva legittimamente rifiutato l’accettazione della cessione.

Per la comprensione della controversia è opportuno meglio illustrare la complessa vicenda contrattuale che ha preceduto l’instaurazione del giudizio precisando che la Casa Sollievo della Sofferenza vantava un credito di circa 15 milioni di Euro nei confronti dell’Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Foggia e, contestualmente, quest’ultima era creditrice, nei confronti della Regione Puglia, di somme che trovavano titolo in serie di mandati di pagamento emessi in favore dell’Azienda Sanitaria. A sua volta la Casa di cura Sollievo era debitrice nei confronti dell’INPS. Per definire tale ultima posizione, la Casa di cura aveva perfezionato una serie di atti pubblici tesi alla cessione del proprio credito vantato nei confronti dell’Azienda Sanitaria, all’INPS, con rituale notifica al debitore ceduto (A.S.L.-(OMISSIS)). Ma quest’ultimo non aveva accettato la cessione.

A sua volta, la A.S.L. al fine di estinguere il debito nei confronti della Casa Sollievo, aveva ceduto a quest’ultima i mandati di pagamento emessi in proprio favore dalla Regione Puglia. In questo caso, però, era stata la Casa Sollievo a non accettare la cessione, rilevando che non sarebbero stati correttamente espletati i controlli preliminari sulla reale liquidità del credito e deducendo di non essere legittimata ad accettare la cessione, poiché quel credito (originariamente vantato dalla Casa di cura) era già stato ceduto all’INPS, che era divenuto l’effettivo creditore (in quanto cessionario del credito vantato dalla casa di Cura nei confronti della A.S.L.).

Al fine di rimuovere tale posizione di “stallo” e limitare il pregiudizio derivante dal decorso degli interessi da ritardato pagamento della consistente sorte capitale, la A.S.L, nel luglio dell’anno 2004, formalizzava l’offerta reale ed evocava in giudizio la Casa Sollievo per sentir accertare la validità del deposito liberatorio della somma di Euro 15 milioni presso la Banca Popolare Pugliese, quale offerta reale ex art. 1210 c.c. Nel costituirsi, la Casa Sollievo della Sofferenza contestava la pretesa spiegando tre domande riconvenzionali, tese rispettivamente, all’accertamento, da un lato, dell’illegittimità del rifiuto opposto dalla A.S.L. alla precedente cessione operata dalla convenuta e dall’altro, della legittimità del rifiuto espresso dalla Casa di cura convenuta rispetto all’offerta reale ex art. 1210 c.c. di controparte e, infine, all’accertamento, sia dell’obbligo della A.S.L. di corrispondere all’INPS gli interessi conseguenti alla tardiva estinzione dei debiti contributivi (a causa l’illegittimo rifiuto opposto alla cessione), sia dell’obbligo di manleva da parte della A.S.L. per ogni danno subito (e fatto valere) dall’INPS.

Nelle more del giudizio la Casa Sollievo della Sofferenza accettava l’offerta reale, incassando le somme comprensive degli interessi. Pertanto, la controversia si limitava all’individuazione del soggetto tenuto al pagamento degli interessi da ritardato adempimento in favore dell’INPS.

In primo grado il Tribunale prendeva atto di tali pagamenti e dichiarava cessata la materia del contendere nei rapporti tra la Casa di cura e l’INPS e condannava la A.S.L. al pagamento, in favore della Casa di cura, degli interessi, per l’importo di circa Euro 3 milioni, da questa corrisposti, ritenendo (in accoglimento della prima domanda riconvenzionale) indebita la non accettazione da parte dalla A.S.L. della cessione del credito vantato dalla Casa di cura nei confronti della Regione Puglia.

La A.S.L. impugnava la decisione, deducendo, con il primo motivo di appello, che a seguito dell’accettazione dell’offerta da parte della Casa di cura, quest’ultima non aveva più interesse a contrastare la domanda di validità dell’offerta ai sensi dell’art. 1210 c.c. Con il secondo motivo lamentava che il Tribunale avrebbe deciso ultra petita atteso che, indipendentemente dalla mancata accettazione della cessione del credito, il primo giudice avrebbe dovuto limitarsi a verificare la ritualità dell’offerta e del deposito ai sensi del 1210 c.c. Infine, il Tribunale non avrebbe esaminato l’eccezione di difetto di legittimazione dell’Azienda Sanitaria e il dedotto litisconsorzio necessario con la Regione Puglia.

Con la citata decisione del 13 settembre 2018, la Corte d’Appello di Bari dava atto che, all’udienza di precisazione delle conclusioni, davanti al Tribunale, l’INPS aveva comunicato di avere compensato le somme oggetto delle cessioni, con altre somme di cui era creditore l’Ospedale. Conseguentemente la Casa di cura era tornata ad essere il creditore effettivo della A.S.L. per le prestazioni di cura ed assistenza eseguite.

Pertanto, secondo la Corte territoriale, permaneva contrasto limitatamente al “diritto al rimborso o al risarcimento” degli interessi che la Casa di cura aveva, comunque, corrisposto all’Inps a causa della tardiva estinzione dei debiti contributivi. Secondo il giudice di appello, la fondatezza della domanda di pagamento degli interessi da ritardato adempimento presupponeva la verifica della validità della cessione del credito e della legittimità o meno del rifiuto della Casa di cura di ricevere i pagamenti offerti ex 1210 c.c. dall’Azienda Sanitaria e, contestualmente, la legittimità del rifiuto di accettare la cessione da parte dell’Azienda sanitaria. Inoltre, le contestazioni dell’Azienda Sanitaria costituivano anche l’oggetto della riconvenzionale proposta dalla Casa di cura, che riguardava la legittimità o meno del rifiuto manifestato da quest’ultima rispetto all’offerta reale.

Fatta questa doverosa premessa, il primo motivo di ricorso è fondato nei termini indicati di seguito.

Come sopra precisato, la controversia aveva ad oggetto la domanda dell’Azienda Sanitaria con la quale si chiedeva di “accertare e dichiarare, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1210 c.c., la validità del deposito della complessiva somma di Euro 15.144.368,63, presso la Banca Popolare di Milano”, mentre con la domanda riconvenzionale la Casa Sollievo (I.R.c.c.S.) chiedeva l’accertamento della “illegittimità e infondatezza delle contestazioni formulate dall’Azienda Sanitaria a fronte degli atti di cessione dei crediti e la conseguente legittimità del rifiuto manifestato dalla convenuta (Casa di cura) a fronte dell’offerta reale e successivi atti della procedura. La Casa di cura concludeva chiedendo la condanna dell’Azienda Sanitaria al pagamento nei confronti dell’Inps dei crediti ceduti, così come in narrativa, maggiorati di tutti gli oneri attinenti conseguenti il ritardato pagamento. Dichiarare l’Azienda Sanitaria unica responsabile nei confronti dell’Inps per detti pagamenti, manlevando la convenuta da qualsiasi responsabilità e richiesta di carattere economico da parte di Inps inerente ai crediti ceduti”.

Rileva questa Corte che l’offerta reale era ritualmente proposta, giacché la Casa di cura era rimasta unico creditore dell’Azienda Sanitaria in quanto la cessione del credito non si era perfezionata per mancanza dell’adesione del debitore ceduto (Azienda Sanitaria). E questo a prescindere dalla fondatezza o meno del rifiuto di A.S.L. di accettare la cessione.

Conseguentemente, le vicende della cessione del credito non rivestono valenza pregiudiziale rispetto alla domanda di accertamento della validità del deposito ai sensi dell’art. 1210 c.c. perché la domanda riconvenzionale tesa alla dichiarazione di illegittimità del rifiuto del debitore ceduto, Azienda Sanitaria, non incide sulla ritualità o meno del deposito liberatorio.

Come riconosciuto dalla Corte territoriale, il procedimento per la cessione dei crediti del datore di lavoro non si era perfezionato e, pertanto, I.R.c.c.S è rimasto creditore dell’Azienda Sanitaria e debitore di Inps, con la conseguenza che sin dall’inizio avrebbe dovuto accettare il deposito, secondo il meccanismo previsto all’art. 1210 c.c.

Nello stesso modo non risulta assorbente l’avvenuta accettazione della somma depositata, giacché quella accettazione ha comportato la cessazione della materia del contendere in ordine alla domanda di convalida dell’offerta reale, ma non anche su quella di risarcimento dei danni cagionati dall’illegittima non accettazione, da parte della A.S.L., delle cessioni dei crediti notificati dalla Casa di cura.

Da ciò discende l’infondatezza della seconda domanda riconvenzionale, tesa a sentir dichiarare la legittimità del rifiuto della Casa di cura all’accettazione del deposito, in quanto la Casa di cura era ed è rimasta il creditore dell’Azienda Sanitaria.

Come evidenziato anche dalla Corte territoriale, il rifiuto opposto dall’Azienda sanitaria ha impedito il perfezionamento della cessione, con la conseguenza che la Casa di cura non ha estinto i propri debiti verso l’Inps attraverso quella operazione.

Il rifiuto dell’A.S.L., poi, ha rappresentato, secondo l’assunto della Casa di cura, la causa del pregiudizio da essa subito per aver dovuto corrispondere anche oneri accessori da ritardo, pari a Euro 2.910.000 circa.

La Corte d’appello rileva che il meccanismo della legge speciale che disciplina la cessione del credito prevede alcuni passaggi obbligatori e di questi, l’ultimo, cioè la adesione del ceduto A.S.L. non si è verificato. Da ciò deriva, come correttamente affermato dalla Corte territoriale, che ognuna delle parti ha mantenuto le proprie obbligazioni ed in particolare, la Casa di cura è rimasta creditrice dell’Azienda Sanitaria e debitrice di Inps. Con la ulteriore conseguenza che il rifiuto della Casa di cura di ricevere le somme oggetto della offerta reale ex art. 1210 c.c. è illegittimo.

Allora appare viziata per violazione di legge l’argomentazione della Corte territoriale secondo cui l’obbligo di pagare gli interessi, per circa 3 milioni di Euro, maturati a causa del ritardato pagamento in favore di Inps, è interamente imputabile all’Azienda Sanitaria.

Al contrario, nel momento in cui si afferma che la cessione del credito non si è perfezionata, si deve necessariamente concludere che il rifiuto della Casa di cura di ricevere l’offerta reale è anche esso illegittimo. La responsabilità dell’Azienda Sanitaria non risiede tanto nel fatto di avere rifiutato la cessione del credito, quanto nell’avere ritardato il perfezionamento dell’offerta reale, dopo avere rifiutato di aderire alla cessione dei crediti.

Il secondo motivo è inammissibile per difetto di specificità. La Corte d’appello ha ritenuto che la domanda di risarcimento della somma corrispondente agli interessi pagati dalla Casa di cura all’INPS fosse compresa nell’originaria richiesta della medesima Casa di cura di essere manlevata dalla A.S.L. La ricorrente non ha specificamente censurato tale conclusione, sotto il profilo della violazione dei canoni ermeneutici (che si è limitata ad indicare nella rubrica del motivo, senza adeguatamente illustrare il come e perché sarebbero stati violati).

Secondo il costante orientamento di questa Corte, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, la ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuta, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 09/10/2012, n. 17168; Cass. 11/03/2014, n. 5595; Cass. 27/02/2015, n. 3980; Cass. 19/07/2016, n. 14715).

Ne consegue che la Corte territoriale poteva legittimamente pronunciare sulla domanda di risarcimento che residuava, una volta cessata la materia del contendere sulle questioni come sopra ben individuate.

Il terzo motivo e’, anch’esso, inammissibile in quanto non individua specifici errores iuris in relazione alle norme richiamate, in quanto la A.S.L. si limita a contestare l’apprezzamento di merito circa l’insussistenza di valide ragioni a fondamento della mancata adesione alla cessione dei crediti.

Parte ricorrente, nella specie, pur denunciando, formalmente, ipotetiche violazioni di legge che vizierebbero la sentenza di secondo grado, (perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova inammissibile valutazione di risultanze di fatto (ormai definitivamente cristallizzate sul piano processuale) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così strutturando il giudizio di cassazione in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai consolidatosi, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione probatoria, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata – quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

Anche per il quarto motivo vanno ribadite le considerazioni espresse per la censura precedente. Si tratta, infatti, di argomentazioni fattuali di parte ricorrente, tese ad una rivalutazione di merito, alternativa rispetto a quella, ampiamente motivata, della Corte di appello, secondo la quale il meccanismo di perfezionamento della cessione del credito consentiva al ceduto di non accettare ma, evidentemente, per un motivo legittimo. Sulla base di una valutazione in fatto del materiale probatorio (il contenuto delle diverse note provenienti dalla Regione Puglia) la Corte ha ritenuto che sussistevano i presupposti per la cessione e, quindi, che il rifiuto era ingiustificato. Tale profilo, non è sindacabile in sede di legittimità.

Quanto al secondo aspetto prospettato con il medesimo motivo, cioè il nesso causale, la censura non è specifica e non coglie nel segno, non assumendo rilievo decisivo l’affermazione secondo cui il cedente (Casa di cura) assume il rischio di garantire l’adempimento del ceduto.

In conclusione, il ricorso deve trovare accoglimento limitatamente al primo motivo (e nei termini sopra illustrati) e la decisione impugnata va cassata, dovendosi ritenere illegittima la mancata accettazione dell’offerta reale, atteso che il procedimento per la cessione dei crediti del datore di lavoro non si era perfezionato e, pertanto, I.R.c.c.S era rimasto creditore dell’Azienda Sanitaria e debitore di Inps, con la conseguenza che la Casa di cura avrebbe dovuto, sin dall’inizio, accettare il deposito effettuato ai sensi dell’art. 1210 c.c.

Quanto al tema del nesso causale e del pregiudizio, il rifiuto – per quanto detto – non comporta l’addebito di ogni forma di ritardo e, in particolare degli interessi così come conteggiati dal giudice di appello, sino alla data del 14 luglio 2006 (che si riferisce al momento della comunicazione della compensazione operata dall’Inps riguardo alla posizione della Casa di cura), attesa la ritualità del meccanismo dell’offerta reale e del conseguente deposito, ai sensi dell’art. 1210 c.c.

In particolare, la domanda di pagamento delle somme conseguenti al ritardato adempimento dovrà essere valutata dal giudice del rinvio considerando – per un verso – l’illegittimità e l’infondatezza “delle contestazioni formulate dall’Azienda Sanitaria a fronte degli atti di cessione dei crediti” (affermate dalla Corte di Appello e non adeguatamente censurate in questa sede, per quanto detto in relazione ai motivi terzo e quarto), nonché la circostanza che quella morosità è stata determinata anche dal ritardo con il quale l’Azienda Sanitaria ha attivato la procedura di offerta reale e di deposito liberatorio (rispetto alla scadenza del termine previsto per comunicare l’adesione o il rifiuto alla cessione dei crediti), e – per altro verso – che la Casa di cura ha ingiustificatamente rifiutato l’offerta reale e ritardato l’accettazione del deposito.

Il giudice del rinvio provvederà, pertanto, a ricostruire la vicenda contrattuale tenendo conto che la cessione del credito non si era perfezionata, attesa la mancata adesione da parte del debitore ceduto. All’esito di ciò, sulla base dell’attività istruttoria espletata e dei documenti ritualmente prodotti, valuterà la ritualità e la consistenza della domanda di risarcimento dei danni e i criteri di determinazione dell’eventuale pregiudizio. Sotto tale profilo, come detto, il danno extracontrattuale lamentato risulta coperto dal nesso causale sino alla data dell’offerta reale e gli interessi da considerare ai fini del risarcimento da parte della A.S.L. sono solo quelli maturati fra la data di mancata accettazione della cessione (considerando, altresì, la rilevanza del termine fissato per la comunicazione dell’adesione) e quella dell’offerta reale, atteso che quando il creditore è in mora “non sono dovuti gli interessi né i frutti della cosa che non siano stati percepiti dal debitore” (art. 1207 c.c.), in quanto le conseguenze dannose del ritardo dell’adempimento ricadono sull’autore di tale ritardo (il creditore), a prescindere dalla colpa (art. 1219 c.c.).

PQM

La Corte accoglie il primo motivo per quanto di ragione, dichiara inammissibili gli altri;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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