Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25731 del 01/12/2011

Cassazione civile sez. I, 01/12/2011, (ud. 08/11/2011, dep. 01/12/2011), n.25731

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.M.S. s.p.a., fallita, in persona del curatore pro tempore, con

domicilio eletto in Roma, via Lombardia n. 40, presso l’Avv. D’Amico

Giovanni che lo rappresenta e difende come da procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

SIR s.r.l., con domicilio eletto in Roma, via Premuda n. 6, presso

l’Avv. Ivan Marrapodi, rappresentata e difesa dall’Avv. Siracusano

Nicola, come da procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Messina n.

143/08 depositata il 18 marzo 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 8 novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso o, in subordine, per il suo rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La curatela del fallimento della C.M.C. s.p.a. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina che, riformando la sentenza resa dal tribunale in sede di opposizione a decreto ingiuntivo richiesto dalla medesima, ha rigettato la sua domanda volta ad ottenere la condanna della S.I.R. s.r.l. al pagamento dell’importo di Euro 118.010,40 quale residuo dovuto per la sottoscrizione di azioni emesse in esecuzione della Delib. 25 maggio 1990 e non interamente liberate acquistate dalla medesima dal precedente titolare, avendo il giudice d’appello ritenuto nulla la delibera con la quale era stato disposto l’aumento per non essere state ancora integralmente liberate le azioni emesse in occasione di un precedente aumento deciso in data 16.10.1989.

Il ricorso è affidato a tre motivi con i quali, in sintesi, si deduce: violazione dell’art. 2438 c.c. nella formulazione vigente ratione temporis per avere ritenuto la Corte d’appello che la mancata liberazione di azioni sottoscritte in occasione di un precedente aumento di capitale comportasse la nullità della successiva delibera di aumento e non la mera ineseguibilità della stessa; violazione della citata norma per difetto del presupposto della contestata applicazione, essendo state integralmente liberate le azioni emesse in occasione del precedente aumento di capitale; carenza di motivazione in ordine al fatto controverso e contestato costituito dall’intervenuta liberazione.

Resiste l’intimata con controricorso, illustrato con memoria, e propone ricorso incidentale contestando l’avvenuta compensazione delle spese cui non replica la ricorrente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi principale e incidentale debbono essere riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

Con il primo motivo del ricorso principale si contesta il principio applicato dalla Corte d’appello secondo il quale la mancata liberazione delle azioni emesse in occasione di una precedente delibera di aumento di capitale comporterebbe la nullità di quella concernente un ulteriore aumento che secondo la ricorrente sarebbe invece pienamente valida, dovendosi subordinare la sola esecuzione della delibera stessa all’integrale liberazione delle azioni in precedenza emesse.

La censura è fondata. La questione circa l’interpretazione dell’art. 2348 c.c. nella formulazione vigente ratione temporis secondo cui “Non si possono emettere nuove azioni fino a che quelle emesse non siano interamente liberate è stata oggetto di valutazioni diverse sia nella giurisprudenza di merito che in dottrina ma ritiene il Collegio che debba essere privilegiata quella secondo cui è la sola esecuzione della deliberazione di aumento del capitale a dover essere subordinata alla liberazione della azioni emesse in seguito ad un precedente aumento e non già la mera deliberazione assembleare avente ad oggetto quello ulteriore.

Tale opzione interpretativa, che trova una prima conferma già sul piano letterale della disposizione previgente in quanto il termine “emissione” si attaglia maggiormente alla fase della sottoscrizione e della attribuzione dei titoli che non a quella della deliberazione dell’aumento, nonchè nella ratio, che è quella di evitare il ricorso ad ulteriori forme di finanziamento quando può essere utilizzato il capitale già giuridicamente disponibile, ne trova una ulteriore di decisivo spessore nella modifica dell’art. 2348 c.c. operata con il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6.

La nuova formulazione, che chiarisce inequivocabilmente che è la sola esecuzione della delibera di aumento di capitale che non è consentita fino a quando le azioni in precedenza emesse non sono integralmente liberate, non può non essere vista che in un’angolazione di continuità con la precedente disciplina, e quindi in funzione sostanzialmente interpretativa, non essendovi alcun elemento sistematico che induca a ritenere che il legislatore abbia optato per un mutamento di regime ed anzi dovendosi presumere, in difetto di precise diverse indicazioni ermeneutiche, che il medesimo, allorquando interviene modificando testi preesistenti con formulazioni non dissonanti, si muova per successivi affinamenti ed integrazioni piuttosto che in un’ottica di discontinuità.

Esclusa dunque l’illiceità della delibera di aumento di capitale la successiva condotta degli amministratori della C.M.S. s.p.a., che in violazione del divieto di emissione di nuove azioni in difetto di liberazione di quelle già emesse hanno dato corso alla sottoscrizione dell’aumento, non rende viziata quest’ultima, come dimostra la precisazione contenuta nella vigente formulazione secondo cui dalla condotta non conforme al precetto in questione deriva unicamente la responsabilità degli amministratori per danni eventualmente arrecati ai soci e ai terzi mentre restano salvi gli obblighi assunti con la sottoscrizione delle azioni, circostanza questa che esclude la valenza pubblicistica del divieto.

Ne consegue che l’obbligazione assunta dal dante causa della S.I.R. s.r.l. con la sottoscrizione dell’aumento è pienamente valida e si è trasferita a quest’ultima, acquirente della azioni non liberate, con conseguente diritto del curatore di pretenderne l’adempimento (L. Fall., art. 150).

La fondatezza del motivo comporta l’assorbimento di quelli ulteriori e anche del ricorso incidentale, dovendosi procedere a nuova statuizione sulle spese.

Il ricorso principale deve dunque essere accolto e cassata la sentenza impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito e pertanto rigettata l’opposizione al decreto ingiuntivo.

La novità della questione induce alla compensazione integrale tra le parti delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

la Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri e quello incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione al decreto ingiuntivo; compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2011

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