Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25730 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. lav., 22/09/2021, (ud. 17/03/2021, dep. 22/09/2021), n.25730

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25334/2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati LELIO MARITATO,

CARLA D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO, ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE;

– ricorrenti –

contro

CE. DI SISA CENTRO NORD S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 429/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 16/10/2014 R.G.N. 953/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/03/2021 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

la Corte d’appello di Venezia, con la sentenza n. 429 del 2014, ha rigettato l’impugnazione proposta dall’INPS nei confronti di CE.DI SISA Centro Nord s.p.a. avverso la sentenza di primo grado che, accogliendo l’opposizione a cartella esattoriale proposta dalla società, aveva ritenuto che l’accordo integrativo siglato in via di prassi aziendale il 21 novembre 2007, depositato presso l’INPS il successivo 22 novembre 2007, ed avente ad oggetto il riconoscimento ai dipendenti destinatari del benefit aziendale dell’utilizzo di un autoveicolo ad uso promiscuo di un premio maggiorato del 50% rispetto al corrispettivo pattuito destinato a compensare i maggiori oneri contributivi e fiscali determinati dal detto benefit, assumesse rilievo ai sensi del D.L. n. 318 del 1996, art. 3, comma 2, conv. in. L. n. 402 del 1996, anche in relazione a periodi contributivi precedenti alla stipula dell’accordo;

ad avviso della Corte territoriale, considerato che il testo di legge non impediva la possibilità che l’accordo assumesse valore retroattivo, l’accordo integrativo sopra indicato aveva natura ricognitiva e di interpretazione autentica rispetto alla prassi operante a partire dal 2001 in ordine alla maggiorazione ivi prevista ed al carattere onnicomprensivo della stessa con riguardo agli istituti diretti ed indiretti della retribuzione, non rimanendo preclusa la possibilità, non presente nel caso di specie, per l’INPS di denunciare eventuali situazioni elusive dell’obbligo contributivo attraverso il richiamo al contratto in frode alla legge;

avverso tale sentenza, ricorre per cassazione l’Inps sulla base di un motivo;

CE.DI.SISA Centro Nord s.p.a. è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

con l’unico motivo di ricorso, l’INPS deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 386 del 1996, art. 3, comma 2, conv. in L. n. 402 del 1996, in ragione del fatto che la sentenza impugnata ha ritenuto di attribuire efficacia retroattiva all’accordo integrativo stipulato il 21 novembre 2007, facendone retroagire gli effetti sin dal 2002 e con ciò determinando la sottrazione alla contribuzione degli emolumenti già corrisposti che invece era soggetta alla regola del minimale contributivo; ritiene il ricorrente che la ratio della disposizione, che impone l’obbligo di comunicazione agli enti di previdenza, sia quella di mettere i medesimi enti nelle condizioni di conoscere la disciplina della retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva e di adeguare di conseguenza le pretese contributive;

il ricorso merita accoglimento.

la causa verte sulle regole attinenti alla determinazione della retribuzione da assumere ai fini del calcolo dei contributi previdenziali, dettate dalla L. n. 389 del 1989, e dalla L. n. 402 del 1996;

sulla questione, come riferisce il ricorrente, questa Corte di cassazione si è pronunciata, negandola, in relazione alla eventuale efficacia retroattiva della disposizione di legge di cui si discute (vd. Cass. n. 2387/2004; Cass. n. 11847/2018);

in tale occasione si è affermato che sulla interpretazione della L. n. 389 del 1989, art. 1, le Sezioni unite di questa Corte, con sentenza n. 11199 del 29 luglio 2002, avevano affermato che l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che sarebbe dovuta, ai lavoratori di un determinato settore, in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale;

si tratta del c.d. “minimale contributivo” secondo il riferimento ad essi operato, con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale, dal D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1, convertito nella L. 7 dicembre 1989, n. 389, poi autenticamente interpretata dalla L. n. 549 del 1995, art. 2, comma 25, nel senso che in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative della categoria” (si tratta del c.d. contratto leader);

la legge determina quindi un imponibile “minimo” da sottoporre a contribuzione, al di sotto del quale non è possibile scendere, ancorché la retribuzione dovuta ed erogata al lavoratore sia inferiore, perché parte datoriale non è astretta all’applicazione della contrattazione collettiva;

e’ pertanto quest’ultima che funge da parametro per la determinazione dell’obbligo contributivo minimo e per scelta legislativa questo parametro viene ritenuto il più idoneo ad adempiere alla funzione di tutela assicurativa, nonché a garantire l’equilibrio finanziario della gestione. La retribuzione contributiva è stata quindi ancorata ad una nozione di retribuzione “virtuale”, poiché la retribuzione stabilita dal contratto collettivo non è sempre e necessariamente quella dovuta al dipendente, quest’ultima infatti ben può essere legittimamente inferiore nel caso appunto in cui non sia obbligatoria l’applicazione della contrattazione collettiva di diritto comune;

si è dunque posto un limite minimo “incomprimibile” di retribuzione valevole esclusivamente ai fini previdenziali, al di sotto del quale non si può scendere, con la precisazione che resta ferma la piena operatività degli accordi collettivi diversi da quelli stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (ad es. gli accordi aziendali), ovvero gli accordi individuali, quando determinino una retribuzione superiore al minimale;

con la successiva L. n. 402 del 1996, il legislatore è nuovamente intervenuto sulla 4, materia, recando precisazioni sulla interpretazione della contrattazione collettiva che, come si è detto, è stata elevata dalla L. n. 389 del 1989, a rango di parametro per la determinazione della retribuzione valevole per il calcolo dei contributi;

con tale legge del 1996, ha affermato la giurisprudenza di questa Corte sopra citata, si è inteso evitare che si addivenga ad una interpretazione della normativa contrattuale in contrasto con la volontà espressa dalle parti stipulanti, ammettendo, entro certi limiti, che (ai fini della determinazione della retribuzione contributiva) vengano conglobati o anche esclusi, dagli istituti retributivi diretti o indiretti, emolumenti istituiti dalla contrattazione collettiva;

si è poi specificato che questa norma opera nel medesimo ambito già tracciato dalla L. n. 389 del 1989, art. 1, ossia sulla definizione della retribuzione da prendere in considerazione per la determinazione dei contributi, ma non si tratta sicuramente di una disposizione di interpretazione autentica della norma del 1989, non essendovi alcuna traccia in tal senso nella legge;

neppure alla medesima può essere attribuita efficacia retroattiva, nel senso che le regole ivi poste per determinare la retribuzione valida ai fini previdenziali dovrebbero applicarsi anche ai contributi da versare anteriormente alla sua entrata in vigore;

e’ vero, infatti, che l’art. 3, comma 2, della legge del 1996 prevede il deposito “anche” dei contratti e accordi stipulati alla data di entrata in vigore del DL 318/96, ma detti accordi saranno passibili di applicazione solo in relazione ai contributi da versare “dopo” l’entrata in vigore della legge, non potendosi determinare i contributi sulla base di una disposizione che non era vigente al momento di maturazione dell’obbligo;

in sostanza, dalla giurisprudenza sopra ricordata si evince che la possibilità per l’autonomia negoziale collettiva di incidere sulla determinazione del minimo imponibile fissato dalla L. n. 389 del 1989, non può spingersi oltre il limite della proiezione sui periodi contributivi successivi rispetto al momento in cui la stessa L. n. 402 del 1996, (che tale possibilità ha introdotto) è entrata in vigore;

ciò in quanto il principio del minimo imponibile è espressione della natura indisponibile dell’obbligazione contributiva che, come è noto, ha natura para-fiscale di carattere pubblicistico;

pertanto, è il carattere della indisponibilità dell’obbligazione contributiva ad impedire che all’autonomia negoziale collettiva si possa consentire di modificare l’oggetto dell’obbligazione contributiva fissato dalla L. n. 389 del 1989, art. 1, per periodi precedenti alla sottoscrizione dei medesimi;

a conferma di ciò deve, inoltre, ricordarsi che l’efficacia della contrattazione collettiva di cui si discute è legata all’osservanza dell’obbligo di deposito degli accordi presso l’ufficio provinciale del lavoro e presso le sedi competenti degli enti previdenziali;

si tratta di una condizione necessaria a rendere concreta la conoscenza dei loro contenuti proprio in quanto possano essere effettuati dagli enti preposti i necessari controlli e gli adeguamenti delle pretese contributive, che, come è noto, devono muoversi su un piano di massima certezza;

lasciare che le parti del rapporto di lavoro possano incidere con propri atti negoziali sulla certezza dei rapporti contributivi contrasterebbe con tale basilare principio del sistema contributivo, per cui va escluso che gli accordi collettivi indicati dal D.L. n. 318 del 1996, art. 3, comma 2, conv. in L. n. 402 del 1996, possano avere efficacia retroattiva, disciplinando per periodi antecedenti alla loro sottoscrizione obbligazioni, modalità e tempi di adempimenti in riferimento alle clausole sulla non computabilità nella base di calcolo di istituti contrattuali e gli emolumenti erogati a vario titolo ovvero sulla loro quantificazione comprensiva della incidenza sugli istituti diretti ed indiretti;

il motivo di ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione che esaminerà la fattispecie alla luce del principio enunciato al punto che precede e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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