Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25729 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 14/10/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 14/10/2019), n.25729

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27404-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, c.f. (OMISSIS) in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

D.C.E.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2754/5/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA SEZIONE DISTACCATA di CATANIA, depositata il

20/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

GIOVANNI CONTI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, contro B.R., D.C. e D.R. quali eredi di D.C.E., avverso la sentenza della CTR della Sicilia con la quale, confermando la sentenza di primo grado, è stato accolto l’appello proposto dal D.C., riformando la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso dei contribuenti avverso il provvedimento di silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione sull’istanza di rimborso del 90% dell’IRPEF, corrisposta per gli anni 1990, 1991, 1992 mediante istanza presentata in adesione alla disposizione sul condono previste dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17.

La ricorrente prospetta, con il primo motivo, la violazione della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17 nonchè della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665 e della VI direttiva CEE n. 77/388, essendo pacifico che la parte contribuente avesse svolto attività di lavoro autonomo, non potendo pertanto godere del chiesto rimborso. La censura è inammissibile.

Ed invero, a fronte della statuizione del giudice di merito che ha dato atto della circostanza che l’amministrazione non aveva evidenziato che il richiedente, a suo tempo, svolgeva attività d’impresa nè aveva dettagliato specifiche contestazioni sulla somma richiesta, l’Agenzia ha dedotto nel motivo di ricorso che fosse pacifica la natura dell’attività di lavoro autonomo svolta dalla contribuente, senza tuttavia indicare nè contestare la decisione impugnata in ordine al fatto che tale questione non fosse stata dimostrata nel giudizio di merito, nè tanto meno indicando specificamente da quale atto prodotto tanto risultasse.

In tal modo l’Ufficio è venuto meno all’obbligo di specificazione degli elementi dedotti nella censura e nella specifica indicazione degli atti dai quali le allegazioni esposte avrebbero trovato conferma.

Questa Corte è infatti ferma nel ritenere che requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza – cfr. Cass. n. 29093/2018 -.

Ed è appena il caso di osservare che tali principi non risultano scalfiti dalla rilevanza Eurounitaria della questione controversa, poichè richiederebbero accertamenti di fatto non consentiti a questa Corte in questa fase – Cass. n. 24952/2015 -.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore della controricorrente in Euro 1000,00, oltre spese generali nella misura del 15 % sui compensi.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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