Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25728 del 01/12/2011

Cassazione civile sez. I, 01/12/2011, (ud. 04/11/2011, dep. 01/12/2011), n.25728

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.LLI RAGNI S.N.C. DI RAGNI MAURO & PIO (C.F. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA RODI 32, presso l’avvocato CHIOCCI MARTINO

UMBERTO, rappresentata e difesa dall’avvocato MONACELLI MARIO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di FIRENZE depositato il

30/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/11/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che la s.n.c. F.lli Ragni di Ragni Mauro & Pio, con ricorso dell’11 novembre 2009, ha impugnato per cassazione – deducendo quattro motivi di censura -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Firenze depositato in data 30 giugno 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso di detta Società – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1 -, in contraddittorio con il Ministro della giustizia – il quale, costituitosi nel giudizio, si è rimesso a giustizia -, ha respinto la domanda, per difetto di un periodo di ritardo indennizzabile;

che il Ministro della giustizia, benchè ritualmente intimato, non si è costituito nè ha svolto attività difensiva;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura ritenuta di giustizia per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 30 giugno 2009 – era fondata sui seguenti fatti: a) l’odierna ricorrente era stata convenuta dinanzi al Tribunale di Perugia, in funzione di giudice del lavoro, in un giudizio civile avente ad oggetto la domanda di spettanze retributive e promosso con ricorso del 15 febbraio 2000;

b) la notificazione del ricorso introduttivo era stata eseguita in data 23 febbraio 2000 e l’udienza di discussione era stata fissata alla data del 23 ottobre 2001;

c) la causa era stata definita dalla Corte d’Appello di Perugia con sentenza del 3 novembre 2008;

che la Corte d’Appello di Firenze, con il suddetto decreto impugnato:

a) ha individuato la durata complessiva del processo presupposto in sei anni e nove mesi, cioè nel periodo dal 23 ottobre 2001 (data della prima udienza di comparizione delle parti) al 2 luglio 2008 (data della decisione del giudizio di appello), individuando altresì la durata ragionevole per la definizione dello stesso processo in cinque anni (tre anni per il giudizio di primo grado e due anni per il giudizio di appello); b) ha ritenuto che il periodo residuo di irragionevole durata, pari ad un anno e nove mesi, è addebitabile al comportamento dilatorio della convenuta; in particolare vanno detratti: i periodi dal 5 aprile 2002 al 19 novembre 2002 essendo il rinvio richiesto dalle parti per la attività istruttoria, così come dal 19 novembre 2002 al 5 febbraio 2003; infine dalla data del 17 ottobre 2007 al 16 aprile 2008 veniva chiesto dalla parte appellante rinvio per esame della costituzione in giudizio. Trattasi di rinvii tutti ascrivibili alla condotta delle parti e quindi non risarcibili.

Atteso che la durata del giudizio di primo grado e di quello d’appello viene stimata fisiologica in cinque anni, ne deriva che non residua alcun periodo di ritardo indennizzabile …”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con i quattro motivi di censura vengono denunciati come illegittimi, anche sotto il profilo del vizio di omessa motivazione:

a) il computo della durata complessiva del processo presupposto, con l’individuazione, come dies a quo, della data dell’udienza di prima comparizione – 23 ottobre 2001 – anzichè di quella del deposito del ricorso introduttivo – 15 febbraio 2000 -, con la conseguenza che detta durata è pari non a sei anni e nove mesi ma ad otto anni e cinque mesi (15 febbraio 2000-2 luglio 2008); b) il computo a danno della ricorrente dei rinvii eccedenti il termine di quindici giorni, stabilito dall’art. 81 disp. att. cod. proc. civ., nonchè la omessa specificazione di quanto dei singoli rinvii sia dovuto all’esercizio del potere di direzione del processo da parte del giudice (rinvii d’ufficio), e di quanto invece sia addebitabile al comportamento della stessa ricorrente;

che il ricorso merita accoglimento;

che la censura sub a) è parzialmente fondata, in quanto il dies a quo del periodo di durata complessiva del processo presupposto in questione, disciplinato dal rito del lavoro, deve essere individuato non già nella data fissata per l’udienza di discussione, come erroneamente stabilito con il decreto impugnato, e neppure nella data del deposito del ricorso introduttivo, come sostenuto dalla odierna ricorrente – la quale, in detto processo, era parte convenuta -, bensì nella data di notificazione del ricorso introduttivo e del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di discussione, secondo quanto disposto dall’art. 415 cod. proc. civ., primi quattro commi;

che, infatti, tale soluzione è conforme al consolidato orientamento di questa Corte – condiviso dal Collegio -, secondo il quale, in tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo civile, il dies a quo in relazione al quale valutare la durata del processo deve essere normalmente individuato, con riguardo ai processi introdotti con atto di citazione, nel momento della notificazione di tale atto, con la quale il processo stesso inizia (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 6322 del 2011 e 7389 del 2005);

che pertanto, nella specie, essendo incontestato che il ricorso introduttivo del processo presupposto è stato notificato alla odierna ricorrente in data 23 febbraio 2000, tale data costituisce il termine iniziale di durata complessiva dello stesso processo, con la conseguenza che la sua durata complessiva deve essere calcolata dalla data medesima fino a quella del 2 luglio 2008 (otto anni e cinque mesi);

che anche la censura sub b) è fondata, sotto il profilo del vizio di motivazione;

che infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, ai fini della eventuale ascrivibilità all’area della irragionevole durata del processo dei tempi corrispondenti a rinvii eccedenti il termine ordinatorio di cui all’art. 81 disp. att. cod. proc. civ., la violazione della durata ragionevole discende non – come conseguenza automatica – dal fatto che sono stati disposti rinvii della causa di durata eccedente i quindici giorni ivi previsti, ma dal superamento della durata ragionevole in termini complessivi, in rapporto ai parametri, di ordine generale, fissati dalla stessa L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, con la conseguenza che da tale durata sono detraibili i rinvii richiesti dalle parti solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento dilatorio o a negligente inerzia delle stesse e, in generale, all’abuso del diritto di difesa, restando invece gli altri rinvii addebitabili alle disfunzioni dell’apparato giudiziario, salvo che ricorrano particolari circostanze, che spetta alla pubblica amministrazione evidenziare, riconducibili alla fisiologia del processo (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 11307 del 2010);

che, nella specie, la motivazione della Corte di Firenze al riguardo è estremamente carente e sostanzialmente apodittica, nella misura in cui evoca due rinvii richiesti dalle parti per attività istruttoria addebitandoli entrambi esplicitamente al comportamento processuale dilatorio della odierna ricorrente, senza alcuna specifica indicazione della parte che li ha chiesti e delle ragioni che li hanno determinati, nonchè degli elementi probatori che l’hanno indotta a ritenere tali rinvii imputabili ad intento dilatorio o a negligente inerzia della ricorrente medesima;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato per i rilevati vizi;

che, conseguentemente, la causa deve essere rinviata alla stessa Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, la quale provvederà ad eliminare tali vizi ed a decidere il merito della causa, nonchè a regolare le spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 9 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2011

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