Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25727 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 14/10/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 14/10/2019), n.25727

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 34829-2018 R.G. proposto da:

T.M.C., nonchè S.E., S.O.

e S.A., quali eredi di S.R., nonchè

S.V. e S.S., quali eredi di S.M.,

rappresentati e difesi, per procura speciale a margine del ricorso,

dagli avv.ti Claudio LUCISANO e Claudia LAZZERI, ed elettivamente

domiciliati in Roma, alla via Crescenzio, n. 91, presso lo studio

legale del primo difensore;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e

difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è

domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

nonchè

sul ricorso successivo proposto da:

C.C., quale erede di T.E., già erede di

T.G., rappresentata e difesa, per procura speciale a margine

del ricorso, dall’avv. prof. Giuseppe TINELLI, ed elettivamente

domiciliata in Roma, alla via di Villa Severini, n. 54, presso lo

studio legale del predetto difensore;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e

difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è

domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

e contro

C.P., T.F., TR.Fr. e

B.G., quali eredi di T.G., nonchè

C.T.A. e C.A.F., quali eredi di TR.Ma.,

quest’ultima già erede di T.G., nonchè

BE.Fr.Ma. e BE.An., quali eredi di T.C., nonchè

P.A., quale erede di P.R., quest’ultimo già erede di

T.C., nonchè S.D., S.F. e

S.T.L., quali eredi di S.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1212/20/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata l’11/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/05/2019 dal Consigliere Dott. Lucio LUCIOTTI.

Fatto

RILEVATO

che:

– in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di liquidazione di maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale dovute per la registrazione della sentenza n. 10237 del 16/05/2008, emessa dal Tribunale di Roma, che aveva disposto la retrocessione ai contribuenti di un fabbricato precedentemente espropriato dal Comune di Roma, i contribuenti T.M.C., nonchè S.E., S.O. e S.A., quali eredi di S.R., nonchè S.V. e S.S., quali eredi di S.M., propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica l’intimata Agenzia delle entrate con controricorso, nei confronti della sentenza della CTR laziale in epigrafe indicata, che aveva rigettato l’appello dei contribuenti avverso la sfavorevole sentenza di primo grado;

– con ricorso successivo la contribuente C.C. ha impugnato per cassazione la medesima sentenza sulla base di quattro motivi, cui ha replicato l’Agenzia delle entrate con controricorso;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale i ricorrenti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– in via pregiudiziale, deve dichiararsi l’inammissibilità, per tardività, dei ricorsi;

– la sentenza impugnata, resa dalla CTR del Lazio, risulta depositata il giorno 11/01/0216 e non notificata, con conseguente applicabilità del c.d. “termine lungo” di cui all’art. 327 c.p.c.;

– il ricorso principale risulta, tuttavia, spedito per la notificazione in data 10/12/2018 ed il ricorso successivo proposto da C.C. risulta spedito il 14/12/2018;

– le notifiche sono, quindi, manifestamente tardive e non può attribuirsi rilevanza alle ragioni dedotte dai ricorrenti nel rispettivo primo mezzo di cassazione, incentrato sulla nullità della sentenza della CTR per omessa comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza di trattazione e del dispositivo della sentenza impugnata;

i ricorrenti sostengono, infatti, di essere incorsi in decadenza, non imputabile agli stessi, per mancata comunicazione, da parte della segreteria della CTR, dell’avviso di trattazione della causa e dell’avviso di deposito della sentenza;

– in base al consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 9330 del 2017, n. 23323 del 2013 e n. 6032 del 1991), nel processo tributario l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva, oltre il termine “lungo” dalla pubblicazione della sentenza, previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3, presuppone, tuttavia, che la parte dimostri “l’ignoranza del processo”, ossia di non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza, situazione che non si ravvisa in capo al ricorrente costituto in giudizio, come nel presente caso, cui non può dirsi ignota la proposizione dell’azione, dovendosi ritenere tale interpretazione conforme ai principi costituzionali ed all’ordinamento comunitario, in quanto diretta a realizzare un equilibrato bilanciamento tra le esigenze del diritto di difesa ed il principio di certezza delle situazioni giuridiche; nè assume rilievo l’omessa comunicazione della data di trattazione, che è deducibile quale motivo di impugnazione ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 1, in mancanza della quale la decisione assume valore definitivo in conseguenza del principio del giudicato;

– “ancora questa Corte ha, di recente, ribadito che “il termine previsto dall’art. 327 c.p.c., comma 1, decorre dalla pubblicazione della sentenza e, quindi, dal suo deposito in cancelleria e non già dalla comunicazione che di tale deposito dà il cancelliere alle parti D.P.R. n. 546 del 1992, ex art. 37, comma 2, trattandosi di attività informativa che resta estranea al procedimento di pubblicazione, della quale non è elemento costitutivo, nè requisito di efficacia” (v. Cass. 7675/2015; Cass. 8508/2013; Cass. 639/2003). E’ per questa ragione che è stato ritenuto privo di rilievo, nella fattispecie, l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. 153 c.p.c., comma 2, a seguito della L. n. 69 del 2009, pur essendone stata riconosciuta l’applicabilità al rito tributario (da ultimo, Cass. 12544/2015; Cass. 8715/2014; Cass. 3277/2012). Invero, è stato chiaramente precisato da questa Corte (Cass. 8151/2015) che “l’errore sulla norma processuale che disciplina le forme di notifica della sentenza tributaria di appello, rimane escluso dall’ambito di applicazione dell’istituto della rimessione in termine già previsto dall’art. 184 bis c.p.c., abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46 e sostituito dalla generale previsione di cui all’art. 153, comma 2, in quanto viene a risolversi in un errore di diritto inescusabile (cfr. Cass. n. 17704 del 29/07/2010), non integrante un fatto impeditivo della tempestiva proposizione della impugnazione, estraneo alla volontà della parte e della prova del quale quest’ultima è onerata (cfr. Cass. n. 23323 del 2013, che subordina l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva, oltre il termine “lungo” dalla pubblicazione della sentenza, previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n, 546, art. 38, comma 3, alla dimostrazione dell'”ignoranza del processo”, dovendo la parte fornire prova di “non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza”), postulando la causa non imputabile che legittima la rimessione in termine il verificarsi di un evento che presenti il carattere della assolutezza – e non già una impossibilità relativa, nè tantomeno di una mera difficoltà – e che sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza (cfr. Cass. 8216 del 2013)”” (così in Cass. n. 9330 del 2017, cit.);

– l’inammissibilità dei ricorsi rende superfluo l’esame degli ulteriori motivi di ricorso e, addirittura, di riferire sugli stessi;

– i ricorrenti, rimasti soccombenti, vanno condannati al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

dichiara l’inammissibilità dei ricorsi e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il rispettivo ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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