Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25720 del 11/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 11/10/2019, (ud. 07/05/2019, dep. 11/10/2019), n.25720

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22611-2017 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

R.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO MORDINI

14, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI GUERCIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROSITA VALLONE;

– controricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, MINISTERO

DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, MINISTERO DELLA SALUTE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1574/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAVALLARO

LUIGI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 9.3.2017, la Corte d’appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare al Dott. R.S. somme da questi rivendicate a titolo di compenso spettante ai medici specializzandi;

che avverso tale pronuncia la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura;

che R.S. ha resistito con controricorso, mentre gli altri Ministeri indicati in epigrafe non hanno svolto attività difensiva; che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che R.S. ha depositato memoria, con cui ha chiesto condannarsi l’amministrazione ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con l’unico motivo di censura, l’amministrazione ricorrente denuncia violazione dell’art. 2909 c.c., degli artt. 39,324 e 329 c.p.c. e della L. n. 370 del 1999, art. 11, per avere la Corte di merito accolto la domanda nonostante che la medesima pretesa fatta valere nel presente giudizio fosse stata rigettata con sentenza n. 17039/2005 resa inter partes dal Tribunale di Roma, passata in giudicato;

che, al riguardo, è ormai consolidato il principio secondo cui il vincolo derivante dal giudicato esterno ostativo dell’esame di ogni ulteriore censura è rilevabile anche in sede di legittimità, laddove si sia formato in merito ad una domanda assolutamente sovrapponibile, sotto il profilo dei soggetti interessati, del petitum e della causa petendi a quella su cui si è pronunciato il giudice del merito con la sentenza impugnata (cfr., tra le numerose, Cass. n. 11219 del 2014, sulla scorta di Cass. S.U. n. 13916 del 2006);

che, nondimeno, l’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata da questa Corte nei limiti in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di specificità di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che il ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume violato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo (cfr. da ult. Cass. n. 5508 del 2018);

che, nella specie, non essendo stato il giudicato in questione debitamente trascritto nel corpo del ricorso per cassazione, nemmeno nelle sue parti rilevanti al fine di decidere della fondatezza o meno della censura, nè dicendosi in ricorso dove esso sarebbe attualmente reperibile (nè, ad abundantiam, avendolo questa Corte potuto reperire nel fascicolo di parte), il motivo va dichiarato inammissibile per difetto di specificità;

che il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;

che, non sussistendo, a parere del Collegio, alcuna violazione in specie dei principi di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 c.p.c., non v’ha luogo a condanna di parte ricorrente ex art. 96 c.p.c., comma 3;

che, pur in presenza di declaratoria d’inammissibilità del ricorso, non si fa luogo a pronuncia circa il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, essendo le amministrazioni dello Stato esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo in virtù della c.d. prenotazione a debito (Cass. n. 1778 del 2016).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 7 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2019

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