Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25719 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. II, 22/09/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 22/09/2021), n.25719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Anonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26684-2019 proposto da:

W.J., ammesso al patrocinio a spese dello Stato e

rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Almiento, con studio in

Oria (BR) vico Torre S. Susanna n. 18;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), ope legis domiciliato in Roma, Via

dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 3027/2019 del Tribunale di Lecce, depositato il

23/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/02/2021 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– W.J., cittadino del (OMISSIS), ha impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Lecce che ha respinto il ricorso avverso il diniego dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria così come del riconoscimento dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6;

– a sostegno delle domande egli ha allegato di avere lasciato il suo paese nel settembre 2016, perdendo la madre durante la fuga nel deserto mentre erano diretti in Libia; ha precisato che erano fuggiti (con la madre) dopo avere visto, una note, cinque uomini vestiti di nero fuori dalla loro casa; nell’occasione la madre gli spiegò di essere in pericolo di vita perché quegli uomini erano membri della setta “(OMISSIS)”, di cui il padre era membro, nonché responsabili della morte del fratello che era stato sacrificato dagli stessi e che a lui sarebbe toccata la stessa sorte; temeva in caso di rientro di essere sacrificato;

– il tribunale leccese ha escluso di ravvisare nei fatti narrati dal richiedente indici di persecuzione per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o per appartenenza ad un gruppo sociale e, pertanto, ha rigettato la domanda principale di riconoscimento dello status di rifugiato;

– il tribunale negava, altresì, in ragione della non credibilità del racconto caratterizzato da contraddittorietà e lacune, la protezione sussidiaria di cui alle ipotesi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b); il primo giudice escludeva, inoltre, la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nella (OMISSIS); infine, il tribunale negava la protezione umanitaria in ragione dell’allegazione generica di violazioni di diritti fondamentali e della mancata allegazione di situazioni di specifica personale vulnerabilità ovvero di integrazione socio-lavorativa nel paese di accoglienza;

– la cassazione del decreto impugnato è chiesta sulla base di sei motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso il Ministero dell’interno;

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norma sostanziale processuale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per radicale carenza di motivazione quanto al difetto di credibilità del richiedente;

– la censura è inammissibile perché generica e non contestualizzata attraverso la necessaria specifica indicazione degli eventuali punti di criticità rilevati nel giudizio di credibilità svolto dal giudice del merito;

– il ricorrente, infatti, accenna alla motivazione apparente ma non specifica ulteriormente, sicché appare impossibile apprezzare la rilevanza e fondatezza della critica;

– con il secondo motivo si denuncia la nullità del decreto e/o del procedimento, per violazione del combinato disposto del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 ed D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 per omesso esame del ricorrente;

– la censura è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c. poiché a fondamento del vizio asseritamente consistente nell’omessa audizione del richiedente asilo, si deduce la sentenza n. 17717/2018 che concerne il diverso obbligo di fissazione dell’udienza, obbligo pacificamente ottemperato nel caso di specie, mentre, come affermato dal tribunale in ossequio al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 10 e 11, e chiarito dalla giurisprudenza di legittimità in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, il giudice ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incogruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile (cfr. Cass. 21584/2020; id. 22049/2020; id.26124/2020);

– il motivo non si confronta con i suddetti principi puntualmente applicati dal giudice del merito ed e’, pertanto, destinato alla declaratoria di inammissibilità;

– con il terzo motivo si denuncia la nullità del decreto o del procedimento per violazione del potere-dovere ufficioso del giudice di acquisire informazioni e documenti rilevanti, in base al diritto vivente della Corte di cassazione (cfr. Cass. Sez. Un. 27310/2008), al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 ed alla direttiva 2004/83/CE, nonché per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, in ambedue i casi rilevante in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

– con il quarto motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 e 14 rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per la mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto in ragione delle attuali condizioni sociopolitiche del paese di origine;

– il motivo è inammissibile perché il tribunale ha valutato la sussistenza dei presupposti di cui alle ipotesi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) escludendo di ravvisare nella vicenda narrata il fondato rischio di essere esposto a condanna a morte o all’esecuzione nonché a tortura o altra forma di pena trattamento inumano o degradante – con riguardo poi alla ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) il tribunale ha, come già osservato in relazione al terzo motivo, dettagliatamente documentato la situazione socio-politica e ha concluso con un apprezzamento di fatto, insindacabile nei termini formulati dal ricorrente, per l’insussistenza di violenza indiscriminate da conflitto armato da comportare per i civili, per la sola presenza nell’area in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona (cfr. pag. 7 del decreto);

– con il quinto motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, alla L. n. 110 del 2017, all’art. 10 Cost. e art. 3 CEDU, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il tribunale errato nel non applicare al ricorrente la protezione, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonché essendo vietata l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese d’origine o che ivi posta correre gravi rischi;

– con il sesto motivo si denuncia la violazione e o falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, e dell’art. 8 CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e omesso esame circa un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per mancata valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria;

– il quinto e sesto motivo riguardano il mancato riconoscimento della protezione umanitaria e possono essere esaminati congiuntamente;

– le censura sono entrambe inammissibili;

– il tribunale ha escluso, dal punto di vista oggettivo, la ravvisabilità dei seri motivi umanitari per il rilascio del permesso di soggiorno, in ragione della generica allegazione della violazione dei diritti fondamentali nel paese di origine (cfr. pag. 8 del decreto);

– con riguardo alla condizione soggettiva del richiedente, il tribunale ha, poi, evidenziato la mancanza di prova in ordine all’attività lavorativa regolare, da cui desumere un’adeguata integrazione sul territorio dello Stato, così come l’inesistenza di patologie che pregiudichino la salute psicofisica, né l’esistenza di situazioni familiari personali che possano integrare profili di vulnerabilità soggettiva;

– tali specifiche considerazioni investono sia il profilo oggettivo che quello soggettivo dei possibili “seri motivi umanitari “rilevanti ai fini del riconoscimento del relativo permesso di soggiorno;

– esse non sono fatte oggetto di specifica critica poiché il ricorrente si limita a censurare la mancata considerazione della condizione di precarierà sul piano lavorativo connessa alla breve durata del titolo di soggiorno semestrale, senza indicare altri elementi eventualmente allegati ai fini della valutazione comparativa della personale vulnerabilità, con la conseguenza che la censura sul punto non inficia la valutazione complessiva operata dal tribunale per motivare il diniego;

– l’inammissibilità di tutti i motivi comporta l’inammissibilità del ricorso;

– in applicazione del principio della soccombenza parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente nella misura di Euro 2100,00 per compensi oltre spese prenotate a debito ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

 

 

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