Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25719 del 15/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 15/10/2018, (ud. 06/06/2018, dep. 15/10/2018), n.25719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8600/2013 proposto da:

V.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO

IACOBELLI, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELE DE

ROSE, LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7826/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/03/2012, R.G.N. 6223/2008.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Napoli (sentenza del 22.3.2012) ha rigettato l’impugnazione di V.C. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Benevento, che le aveva rigettato la domanda volta all’accertamento del diritto all’iscrizione negli elenchi anagrafici dei braccianti agricoli per il periodo 1987-1994 – previo annullamento della delibera della Commissione Centrale per la riscossione dei contributi in agricoltura del 6.11.2002 – nonchè alla dichiarazione del diritto al mantenimento della posizione previdenziale conseguente all’espletamento del lavoro di bracciante agricola nel suddetto periodo, dopo aver confermato la decisione del primo giudice, il quale aveva ritenuto fondata l’eccezione di decadenza formulata dall’Inps del D.Lgs. 3 febbraio 1970, n. 7, ex art. 22, posto che tra la data di notifica della predetta Delib. (7 agosto 2004) e quella di deposito del ricorso giudiziale (13.12.2004) era decorso un periodo di tempo superiore a quello di 120 giorni previsto per l’esercizio dell’azione;

per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso V.C. con due motivi, cui ha resistito l’Inps con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. col primo motivo, dedotto per vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione antecedente al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, la ricorrente lamenta che, ai fini della verifica della decorrenza del termine di decadenza di cui trattasi, avrebbe dovuto essere acquisita da parte della Corte di merito la prova della conoscenza legale dell’impugnato provvedimento di cancellazione dagli elenchi dei braccianti agricoli, non potendo aver alcun rilievo la semplice conoscenza di fatto dello stesso, in quanto solo la corretta definizione del relativo procedimento notificatorio poteva dare certezza dell’avvenuta conoscenza dell’atto; inoltre, la Corte territoriale non aveva considerato che la notifica del contestato provvedimento di cancellazione avrebbe dovuto essere eseguita correttamente presso il luogo della residenza anagrafica di essa ricorrente, ubicato in (OMISSIS) e non presso l’errato indirizzo di (OMISSIS) dello stesso Comune, nelle mani di un soggetto non facente parte del nucleo familiare e non convivente con la destinataria della comunicazione;

infine, l’affermazione contenuta nel ricorso di primo grado in ordine all’avvenuta comunicazione, in data 7.8.2004, del suddetto provvedimento di cancellazione, non poteva ritenersi equipollente ad un’ammissione della sua avvenuta conoscenza in forma legale;

2. col secondo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 115 – 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione al D.L. n. 7 del 1970, art. 22, la ricorrente, nel richiamare le doglianze di cui al primo motivo, ribadisce che era preciso onere dell’Inps, che aveva sollevato l’eccezione di tardività del ricorso giudiziale, dare prova dell’avvenuta e rituale notifica del provvedimento di cancellazione e della conoscenza legale dello stesso da parte della destinataria della notifica;

3. i due motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati;

invero, le predette censure non scalfiscono la validità della ratio decidendi dell’impugnata sentenza che è sostanzialmente incentrata sulle seguenti considerazioni: la documentazione costituita dalla copia della Delib. Commissione Centrale 6 novembre 2002 – che aveva disposto la cancellazione di V.C. dagli elenchi dei braccianti agricoli per il periodo 1987-1994 – e dalla nota di trasmissione dell’Inps del 2.8.2004, era stata prodotta dalla medesima ricorrente che ne aveva la disponibilità; inoltre, le affermazioni di quest’ultima, contenute nel ricorso in ordine alla data di notificazione, contribuivano a dare contezza, ogni oltre dubbio, del fatto dell’avvenuta consegna del provvedimento all’interessata e della relativa conoscenza da parte di quest’ultima del suo contenuto;

trattasi, quindi, di argomentazioni adeguatamente motivate ed esenti da vizi di natura logica e giuridica, per cui le stesse si sottraggono ai rilievi di legittimità;

4. per quel che concerne la questione della consegna materiale del documento contenente l’impugnato provvedimento, la Corte di merito ha ben evidenziato, con congruo giudizio di fatto insindacabile in tale sede in quanto esente da vizi logici e giuridici, che l’appellante non aveva contestato il rapporto di parentela col consegnatario M.F. (nipote della ricorrente), per cui poteva operare il principio della cognizione legale, in forza del quale chi si trova in determinati rapporti col destinatario della notifica dà affidamento di portare l’atto a sua conoscenza, con la conseguenza che la notifica poteva ritenersi validamente eseguita (conf. a Cass. Sez. 2, n. 5452 del 3.6.1998);

al riguardo si è, infatti, ribadito (Cass. Sez. 5 – Ord. n. 18716 del 13.7.2018) che ” Ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 2, la validità della notificazione a persona di famiglia non postula necessariamente un rapporto di convivenza con il destinatario dell’atto (intesa, “strictu sensu”, come appartenenza allo stesso nucleo familiare), poichè l’espressione usata dalla norma comprende non soltanto ogni persona in rapporto di stabile convivenza con il destinatario ma anche i soggetti a lui legati da vincoli di parentela comportanti diritti e doveri reciproci e, con questi, la presunzione che l’atto sarà da essi subito consegnato al destinatario: ne consegue che, nel caso in cui la persona di famiglia, reperita dall’ufficiale giudiziario nella casa d’abitazione del destinatario, accetti di ricevere l’atto senza riserve, la validità della notificazione può essere esclusa soltanto se il destinatario, il quale neghi di avere ricevuto l’atto, dia la dimostrazione che la presenza in casa del familiare era del tutto occasionale e momentanea, non essendo invece sufficiente ad inficiare la validità della notificazione dell’atto da lui ricevuto la prova di una diversa residenza anagrafica” (conf. a Cass. Sez. 2, sent. n. 939 del 2.2.1988);

ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, l’Inps non aveva la necessità di fornire la prova della conoscenza del provvedimento da parte di V.C., essendo stata acquisita in atti la prova di tale circostanza all’esito dei corretti accertamenti eseguiti dalla Corte di merito;

pertanto, il ricorso va rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, in base al principio della soccombenza;

ricorrono i presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, del contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese nella misura di Euro 2200,00, di cui Euro 2000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018

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