Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25717 del 22/09/2021
Cassazione civile sez. II, 22/09/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 22/09/2021), n.25717
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25495/2019 proposto da:
S.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIO FAA’ DI
BRUNO, 15, presso studio dell’avvocato MARTA DI TULLIO, che lo
rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), IN PERSONA DEL MINISTRO PRO
TEMPORE;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 22/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
28/01/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CERONI Francesca;
udito l’Avvocato.
Fatto
FATTI DI CAUSA
Con Decreto del 22.5.2019, il Tribunale di Roma ha rigettato l’impugnazione proposta, nell’interesse di S.V., cittadino della Liberia avverso la decisione della Commissione Territoriale di Roma, che aveva rigettato la richiesta di protezione internazionale nelle forme dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria e del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Innanzi alla commissione Territoriale e, in sede di audizione giudiziale, egli aveva dichiarato di aver lasciato il proprio paese perché, cresciuto in una famiglia di religione musulmana, si era convertito al cristianesimo; il padre sì era opposto alla sua decisione, minacciandolo di morte e cacciandolo di casa.
Il Tribunale, pur ritenendo credibile il racconto, ha ritenuto che si trattasse di un fatto privato, non integrante i presupposti per il riconoscimento dello status e della protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), in quanto l’agente persecutore non era lo Stato ma un privato; ha escluso che sussistesse in Liberia una situazione di conflitto generalizzato ed non ha ravvisato i presupposti per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Avverso tale decreto, nell’interesse del soccombente è stato proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo articolato in tre punti.
Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, con cui si deduce la “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per non aver il Tribunale valutato la domanda di protezione internazionale: 1) sulla base di informazioni aggiornate circa la situazione del paese di provenienza; 2) senza fare applicazione dei criteri legali per la valutazione della credibilità ed acquisendo informazioni approfondite sulla situazione socio- politica della Nigeria 3) per non aver riconosciuto la sussistenza di un conflitto generalizzato sulla base dei principi enucleati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakite’, C-285/12; Cass. n. 13858 del 2018).
Il ricorso è inammissibile sotto diversi profili.
In ordine all’errata valutazione della credibilità, il motivo non coglie la ratio decidendi in quanto il Tribunale non ha messo in discussione la credibilità ma ha ritenuto l’estraneità del fatto rispetto ai presupposti previsti dalla Convenzione di Ginevra perché il danno gravo proveniva non dallo Stato o da un ente statale ma da un privato, non avendo il ricorrente allegato di essere stato perseguitato per motivi religiosi ed avendo la corte escluso sulla base delle COI (Report 2017 on International Freedom ed Amnesty International) che vi fosse in Liberia una forma di persecuzione per motivi religiosi. Inoltre, il Tribunale ha accertato che il ricorrente non aveva provato l’impossibilità di ottenere protezione dalle autorità statali (Cass. 21 ottobre 2019, n. 26823).
Quanto alle altre doglianze, il ricorrente non si confronta con la decisione, individuando la violazione della norma regolatrice da parte del giudice di merito, ma limitandosi a richiamare norme di legge e principi giurisprudenziali avulsi dal caso concreto.
Il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti; ne consegue che, dovendo il ricorso essere veicolato tassativamente attraverso uno dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., occorre che nell’esposizione dei motivi di esso trovino espressione le ragioni del dissenso nei riguardi della decisione impugnata, formulate in termini tali da soddisfare esigenze di specificità, di completezza e di riferibilità alla decisione si costituire una critica precisa e puntuale e, dunque, pertinente delle ragioni della decisione impugnata (Cassazione civile sez. I, 24/07/2020, n. 15957).
Ne deriva l’inammissibilità del ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (tra le tante Cassazione civile sez. VI, 04/04/2017, n. 8758).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Non deve provvedersi sulle spese non avendo il Ministero svolto attività difensiva.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 29 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021