Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25717 del 01/12/2011

Cassazione civile sez. I, 01/12/2011, (ud. 20/10/2011, dep. 01/12/2011), n.25717

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

O.E., rappresentata e difesa, per procura speciale in

calce al ricorso, dagli avv.ti prof. GABRIELLI ENRICO e Maria Teresa

Persico ed elett.te dom.ta presso lo studio della seconda in Roma,

Via Tacito n. 74;

– ricorrente –

contro

D.L.M., rappresentato e difeso, per procura

speciale a margine del controricorso, dagli avv.ti SONZOGNO CELESTINA

e Gianfranco Dosi ed elett.te dom.to presso lo studio del secondo in

Roma, Via Nomentana n. 257;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 5267/06,

depositata il 29 novembre 2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20

ottobre 2011 dal Consigliere Dott. Carlo DE CHIARA;

udito per la ricorrente l’avv. Maria Teresa PERSICO;

udito per il controricorrente l’avv. Celestina SONZOGNO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Roma, dichiarata con sentenza non definitiva la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra i sigg.

D.L.M. ed O.E., ha poi, con sentenza definitiva, respinto la domanda di assegno divozile formulata dalla seconda.

La Corte della medesima città ha respinto l’appello principale della sig.ra O. e, in accoglimento dell’appello incidentale del sig. D.L., ha condannato la prima anche alle spese del giudizio di primo (oltre che di secondo) grado.

Nel respingere il gravame principale, la Corte è partita dalla considerazione che, in base alla documentazione fiscale in atti, negli anni 1998-1999 – epoca prossima alla separazione – il reddito annuo dichiarato dal marito era di L. 29.000.000 e quello dichiarato dalla moglie di L. 17.000.000. Ha quindi osservato che l’appellante aveva tentato di fornire la prova che il marito godeva, invece, di redditi maggiori di quelli dichiarati al fisco, partecipando a diverse società anche con incarichi di amministrazione; sennonchè dalla prova testimoniale dedotta non risultava che da tali partecipazioni, pacifiche in causa, egli avesse anche tratto dei redditi ulteriori, tenuto conto che i compensi degli amministratori vanno iscritti a bilancio e dunque non possono essere occultati.

Dunque, posto che il reddito attuale dell’appellante ammontava a Euro 39.000,00, annui, poteva concludersi che, pur tenendo conto dell’inflazione, ella era in grado di permettersi con i propri mezzi un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.

La sig.ra O. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolando due motivi di censura, cui l’intimato ha resistito con controricorso.

In camera di consiglio il Collegio ha deliberato che la motivazione della presente sentenza sia redatta in maniera semplificata, non ponendosi questioni rilevanti sotto il profilo della noraofilachia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, commi 6 e 9, si chiede a questa Corte di stabilire (a) se ai fini dell’accertamento dell’effettivo tenore di vita dei coniugi il giudice debba ammettere le prove determinanti ai fini del decidere richieste dalla parte, e (b) se il giudice debba motivare la mancata ammissione delle stesse.

1.1. – Il motivo è inammissibile, perchè (a) la questione delle decisività della prova non è deducibile nell’ambito della violazione di legge, bensì del vizio di motivazione, inerendo non alla disciplina giuridica ma alla ricostruzione dei fatti; (b) la Corte d’appello, inoltre, ha motivato – come si è riferito in narrativa – la non ammissione della prova testimoniale dedotta dall’appellante, osservando che dalla sua stessa capitolazione non risultava la percezione di maggiori redditi, da parte dell’appellato, in costanza di matrimonio.

2. – Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione, indicando come fatto controverso ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., comma 2, il “tenore di vita effettivamente goduto dai coniugi D.L.M. e O.E. in costanza di matrimonio” e lamentando la mancata ammissione della prova richiesta per accertarlo.

2.1- – Anche tale motivo è inammissibile, sia per la genericità dell’indicazione del fatto controverso (non basta invocare l’accertamento del “tenore di vita” dei coniugi, ma occorre precisare quale esso fosse nella prospettazione della parte deducente), sia perchè la capitolazione della prova testimoniale, riprodotta nel ricorso per cassazione, effettivamente non contiene – come già osservato dalla Corte d’appello – la indicazione di un reddito ulteriore, rispetto a quello dichiarato fiscalmente, percepito dal D.L. in costanza di matrimonio.

3. – Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 1.700,00, di cui 1.500,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2011

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