Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25714 del 27/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 27/10/2017, (ud. 23/06/2017, dep.27/10/2017),  n. 25714

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6365/2017 proposto da:

N.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO

COGNINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 928/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 16/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 23/06/2017 dal Consigliere Dott. CARLO DE CHIARA.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Ancona ha confermato la decisione del Tribunale di rigetto del ricorso avverso il diniego di riconoscimento, da parte della competente Commissione territoriale, di qualsiasi forma di protezione internazionale in favore dell’appellante sig. N.M., cittadino del Mali;

questi aveva riferito di essere un pastore e che, dopo aver subito il furto del gregge, per procurarsi il danaro necessario per risarcire il proprietario, si era risolto a fare da informatore dei ribelli T., ma poi, resosi conto che in tal modo metteva in pericolo la vita delle persone oggetto delle sue delazioni ai ribelli, aveva smesso, esponendosi in tal modo alla vendetta sia di questi ultimi sia dei suoi concittadini, oltre che del proprietario del bestiame;

la Corte d’appello ha confermato la valutazione di non credibilità di tale racconto, attesa la sua genericità e mancanza di riscontri; ha escluso, sulla scorta delle informazioni sulla situazione del Mali diffuse dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo con circolare del 29 gennaio 2104, che in quel paese si configuri una situazione di conflitto armato rilevante ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c); ha negato altresì la sussistenza dei presupposti per riconoscere all’appellante la protezione umanitaria, in difetto di allegazione di specifiche situazioni soggettive che la giustifichino, non sussistendo prove della sua appartenenza a una delle categorie di persone vulnerabili individuate da Cass. 29/11/2013, n. 26997;

il sig. N. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui non ha resistito l’intimato Ministero dell’Interno.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo di ricorso, con cui si denuncia il difetto assoluto di motivazione della sentenza impugnata, essendo quella esibita una motivazione soltanto apparente, è infondato, avendo invece la Corte d’appello argomentato in maniera comprensibile e non tautologica la propria decisione;

il secondo motivo è infondato nella parte in cui si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, cit., contenente criteri di valutazione delle dichiarazioni dei richiedenti protezione internazionale, perchè la Corte d’appello ha invece fatto leva, in sostanza, sul criterio di cui alla lett. a) della richiamata disposizione, sottolineando la genericità del racconto dell’appellante, perciò non suscettibile di riscontro effettivo con le informazioni generali disponibili sul suo paese di origine (criterio di cui alla lett. c) della medesima disposizione); per il resto, le censure articolate in concreto sono sostanzialmente di merito, sia nella parte in cui si critica l’interpretazione data dalla Corte d’appello alla richiamata circolare 29 gennaio 2014 della Commissione nazionale per il diritto di asilo, sia nella parte in cui si lamenta la violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria del giudice (violazione smentita della acquisizione della circolare di cui si è appena detto e dalla circostanza che il ricorrente non fa cenno a diverse e più aggiornate fonti di informazione);

il terzo motivo, con cui si denuncia violazione di norme di diritto con riguardo al diniego della protezione umanitaria, è inammissibile per genericità, non contenendo alcuna precisazione delle ragioni per le quali al ricorrente si sarebbe dovuta invece riconoscere tale protezione, mentre l’eventuale implicito riferimento alla sua vicenda personale, come da lui raccontata, è superato dalla statuizione – non adeguatamente censurata, come si è visto – di non credibilità del racconto;

conseguentemente è infondato anche il quarto motivo, con il quale si denuncia la violazione del diritto ad un ricorso effettivo (artt. 6 e 13 CEDU, art. 47 Carta dei diritto fondamentali dell’Unione Europea, art. 46 direttiva n. 2013/32/UE) a causa, in definitiva, dei vizi della decisione già denunciati;

il ricorso va in conclusione respinto;

in mancanza di attività difensiva della parte intimata non occorre provvedere sulle spese processuali;

poichè dagli atti il processo risulta esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

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