Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2571 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 31/01/2017, (ud. 13/12/2016, dep.31/01/2017),  n. 2571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28438-2015 proposto da:

CENTRO SANTA LUCIA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN 45,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO SCUDERI, che la rappresenta

e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ASL (OMISSIS) AVEZZANO – SULMONA, P.IVA (OMISSIS), in persona del

Direttore generale e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. VESAI. 10 N. 22, presso lo

studio dell’avvocato ALFRI IRTI, rappresentata e difesa

dall’avvocato RENATA ANGELINI giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 874/2015 della CORTV D’APPELLO di L’AQUILA,

emessa il 24/06/2015 e depositata il 30/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere relatore Dott. Scoditti Enrico ha depositato in cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c.: “ASL (OMISSIS) Avezzano – Sulmona – L’Aquila propose opposizione innanzi al Tribunale di Avezzano avverso il decreto ingiuntivo, emanato in favore di Centro Santa Lucia s.r.l., di condanna al pagamento della somma di Euro 191.372,51. Il Tribunale adito accolse l’opposizione e revocò il decreto. Avverso detta sentenza propose appello Centro Santa Lucia s.r.l.. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello. Con sentenza di data 30 giugno 2015 la Corte d’appello di L’Aquila rigettò l’appello. Motivò la corte territoriale, quanto all’eccezione di tardività dell’opposizione, nel senso che in base alla L. n. 218 del 2011 al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo si applicavano le ordinarie norme processuali e, quanto al merito, che il Centro non era titolare di alcuna autorizzazione nè dell’accreditamento per le prestazioni di riabilitazione domiciliare, nè ancora risultava convenzionato con la Regione, ma aveva solo sottoscritto un contratto all’esito di gara di appalto di durata annuale e non tacitamente rinnovabile (stante il divieto di rinnovo dei contratti pubblici). Aggiunse che la d.i.a. non poteva costituire titolo sufficiente per l’erogazione delle prestazioni in questione (peraltro il provvedimento del Comune cui l’appellante si riferiva nell’impugnazione era stato revocato ed il relativo giudizio amministrativo si era concluso sfavorevolmente per il medesimo appellante). Ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi Centro Santa Lucia s.r.l. e resiste con controricorso la parte intimata.

Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (vizi della motivazione). Osserva il ricorrente che l’opposizione a decreto ingiuntivo era inammissibile non essendo stato rispettato il termine dimezzato e priva di retroattività era la L. n. 218 del 2011. Aggiunge che le prestazioni in questione non erano ambulatoriali, ma domiciliari, sicchè non necessitavano di autorizzazione o accreditamento, e consentita era la proroga annuale in difetto di disdetta.

Il motivo è inammissibile. Il ricorrente ha denunciato nella forma di vizio motivazionale (senza peraltro denunciare l’omesso esame di fatto decisivo e controverso, in base alla disposizione dell’art. 360 n. 5 applicabile ratione temporis) una violazione di legge. Anche volendo intendere l’esistenza di una denuncia di violazione di legge, considerando il piano sostanziale del contenuto della censura, va rammentato che nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (fra le tante Cass. 26 giugno 2013, n. 16038). L’onere sia di indicazione delle norme violate che di indicazione delle affermazioni del giudice di merito errate in diritto non risulta assolto (anzi la parte parla di vizi logici della motivazione).

Quanto alla questione della dedotta tardività dell’opposizione a decreto ingiuntivo è sufficiente richiamare Cass. s.u. 11 luglio 2011, n. 15144, secondo cui ove il mutamento della propria precedente interpretazione della norma processuale da parte del giudice della nomofilachia si connoti del carattere dell’imprevedibilità, si giustifica una scissione tra il fatto (e cioè il comportamento della parte risultante “ex post” non conforme alla corretta regola del processo) e l’effetto, di preclusione o decadenza, che ne dovrebbe derivare, con la conseguenza che deve escludersi l’operatività della preclusione o della decadenza derivante dall'”overruling” nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente (e cioè non oltre il momento di oggettiva conoscibilità dell’arresto nomofilattico correttivo) nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa, la quale, sebbene soltanto sul piano fattuale, aveva comunque creato l’apparenza di una regola conforme alla legge del tempo.

Con il secondo motivo si denuncia violazione della L. n. 724 del 1994, art. 6, L. n. 537 del 1993, art. 6, L. della Regione Abruzzo n. 549 del 1995, art. 2, e L. n. 241 del 1990, art. 19, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Osserva la ricorrente che l’errore in cui è incorso il giudice di merito è l’aver considerato le prestazioni erogate come ambulatoriali, e non domiciliari, quali effettivamente erano, non trovando applicazione per queste le disposizione richiamate dal giudice di appello.

Il motivo è inammissibile. La deduzione con la quale si contesti al giudice del merito non di non aver correttamente individuato la norma regolatrice della questione controversa o di averla applicata in difformità dal suo contenuto precettivo, bensì di avere o non avere erroneamente ravvisato, nella situazione di fatto in concreto accertata, la ricorrenza degli elementi costitutivi d’una determinata fattispecie normativamente regolata, è inammissibile come censura ai sensi dell’art. 360, n. 3, giacchè tale valutazione non comporta un giudizio di diritto ma un giudizio di fatto, da impugnarsi, se del caso, sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. 30 marzo 2005, n. 6653; 29 aprile 2002, n. 6224).”;

che sono seguite le rituali comunicazioni e notificazioni;

considerato che il Collegio condivide la proposta di decisione contenuta nella relazione del consigliere relatore, con la precisazione, con riferimento al secondo motivo, che la censura non coglie la ratio decidendi perchè resta estraneo all’impugnazione l’accertamento del giudice di merito secondo cui il Centro Santa Lucia non era convenzionato, ma titolare di un contratto di natura privatistica con la ex USL di Avezzano;

che pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione;

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese processuali che liquida in Euro 5.800,00 per compenso, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e oneri di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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