Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25708 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 22/09/2021), n.25708

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso ricorso 32678-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

ECOSISTEMA DI N.V. & C SNC, N.V.,

N.F., N.C.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 360/1/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA BASILICATA, depositata il 28/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAPRIOLI

MAURA.

 

Fatto

Ritenuto che:

La CTR della Basilicata, con sentenza nr 360/2018, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di Ecostistema di N. & C s.n.c., N.V., N.F. e N.C.D. avverso la pronuncia della CTP di Matera con cui era stato accolto il ricorso dei contribuenti relativamente a diversi avvisi di accertamento aventi ad oggetto un maggior reddito di oltre Euro 39.000,00.

Il Giudice di appello, premessi i riferimenti normativi in merito alle verifiche fiscali effettuate su conti correnti bancari e sui riparti probatori fra Amministrazione e contribuente, rilevava che gli appellati avevano fornito, compatibilmente con la risalenza nel tempo degli episodi contestati, valide ed analitiche spiegazioni in ordine ai prelievi ed ai versamenti dai conti correnti, risultando i modesti prelievi destinati alle esigenze quotidiane del nucleo familiare mentre per quel che attiene ai versamenti gli stessi erano riconducibili ad incassi per locazioni di immobili, acconti sulla documentata vendita, regali di parenti e soci in occasioni delle festività.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo con cui si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, nonché degli artt. 2728 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Diritto

Considerato che:

Si censura infatti la decisione nella parte in cui ha ritenuto sufficiente a superare la presunzione posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, le generiche affermazioni della contribuente non supportate da alcuna prova analitica riferibile ad ogni singola operazione di prelevamento e versamento bancario.

Il motivo è fondato.

Ai fini di un corretto inquadramento della fattispecie occorre muovere dal dato di riferimento normativo.

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, vigente nell’anno 2003 e fino al 31 dicembre 2004, prevede che “Per l’adempimento dei loro compiti gli uffici delle imposte possono:…2) invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, anche relativamente alle operazioni annotate nei conti, la cui copia sia stata acquisita a norma del numero 7), o rilevare a norma dell’art. 33, commi 2 e 3”.

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, in vigore dal 1^ gennaio 2005, a seguito della L. n. 311 del 2004, si discosta di poco dal contenuto della precedente disposizione prevedendo che: “Per l’adempimento dei loro compiti gli uffici delle imposte possono:…2)invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, anche relativamente ai rapporti ed alle operazioni, i cui dati, notizie e documenti siano stati acquisiti a norma del n. 7), ovvero rilevato a norma dell’art. 33, commi 2 e 3”.

In sostanza, il contenuto di tali disposizioni, con particolare riferimento alla ripartizione dell’onere della prova, rimasto completamente immutato.

In entrambe le norme si è in presenza di una presunzione legale relativa che tutti i versamenti ed i prelevamenti contenuti nei conti correnti dell’imprenditore sono riferibili alla attività di impresa e, quindi, assoggettabili a tassazione. Trattasi di una presunzione legale relativa, sicché il contribuente ha la possibilità di fornire la prova contraria, dimostrando che tali somme sono state inserite nella contabilità dell’impresa oppure sono estranee completamente a tale attività.

Del resto, la Corte Costituzionale (Corte Cost., 6 luglio 2000, n. 260), anche con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, prima delle modifiche intervenute il 1 gennaio 2005, ad opera della L. n. 311 del 2004, ha chiarito che trattasi di presunzione legale relativa in favore del Fisco, con onere di prova contraria gravante sul contribuente, senza che si possa ravvisare una violazione del diritto di difesa ai sensi dell’art. 24 Cost.. Infatti, il contribuente viene tempestivamente informato delle richieste di acquisizione delle copie dei conti, potendo egli esercitare pienamente, già in sede amministrativa, e quindi in sede giurisdizionale, il suo diritto a fornire documenti, dati, notizie e chiarimenti idonei a dimostrare che le risultanze dei conti non sono in contrasto con le dichiarazioni presentate o che esse non riguardano operazioni imponibili. Si è precisato, dunque, che “il valore presuntivo assegnato dalla legge alle risultanze dei conti, con presunzione suscettibile di prova contraria, si fonda ragionevolmente sul carattere oggettivo di dette risultanze, relative a rapporti facenti capo al contribuente” (Corte Cost., 7 luglio 2000, n. 260: anche Corte Cost., 8 giugno 2005, n. 225).

Pertanto, deve affermarsi che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, trattandosi di presunzione legale relativa, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili (Cass., 29 luglio 2016, n. 15857). Infatti, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, tutti i movimenti sui conti bancari del contribuente, siano essi accrediti che addebiti, si presumono, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, riferiti all’attività economica del contribuente, i primi quali ricavi e i secondi quali corrispettivi versati per l’acquisto di beni e servizi reimpiegati nella produzione, spettando all’interessato fornire la prova contraria che i singoli movimenti non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cass., 30 dicembre 2015, n. 26111).

Si è recentemente chiarito che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, prevedono una “presunzione legale” in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze (Cass., sez. 5, 30 giugno 2020, n. 13112).

Tale presunzione legale, che fonda l’assoggettabilità tassazione di versamenti e prelevamenti rinvenuti sul conto corrente dell’imprenditore è superabile attraverso la prova, da parte del contribuente, che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili (Cass., sez. 5, 16 luglio 2020, n. 15161). Va, poi, osservato che, in tema di accertamenti bancari, ove il contribuente fornisca prova analitica della natura delle movimentazioni sui propri conti in 11 modo da superare la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, il giudice è tenuto ad una valutazione altrettanto analitica di quanto dedotto e documentato, non essendo a tal fine sufficiente una valutazione delle suddette movimentazioni per categorie o per gruppi (Cass., 28 novembre 2018, n. 30786; Cass., sez. 6-5, 3 maggio 2018, n. 10480).

Infatti, come detto, in materia di accertamenti bancari, sussiste l’onere probatorio gravante sul contribuente che vuole superare la presunzione legale posta dalle predette disposizioni a favore dell’Erario – che, avendo fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici -, di fornire non una prova generica, ma una prova analitica (sul punto, v. Cass. 26111 del 2015 e la copiosa giurisprudenza ivi richiamata) idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (in termini, Cass. n. 18081 del 2010, n. 22179 del 2008 e n. 26018 del 2014).

A tale specifico onere di prova contraria incombente sul contribuente corrisponde l’obbligo del giudice di merito, da un lato, di operare una verifica rigorosa dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie – in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale (Cass. n. 21800 del 2017) -, e, dall’altro, di dare espressamente conto in sentenza delle risultanze di quella verifica.

Al riguardo si rileva che per questa Corte, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, il contribuente può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, dovendo in questo caso il giudice di merito “individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative” (Cass. n. 11102 del 2017).

Il giudice di appello, con la sua scarna motivazione, non ha analizzato analiticamente ciascuna movimentazione bancaria, per palesare il ragionamento posto alla base del suo convincimento. A fronte della contestazione mossa dalla Agenzia delle entrate e delle prove contrarie fornite dal contribuente, la Commissione regionale avrebbe dovuto sindacare analitica mente ogni singola operazione bancaria, dando conto del ragionamento seguito per giungere alla conclusione che il contribuente aveva fornito adeguata prova contraria. Al contrario, il giudice di appello, con una motivazione “sintetica” ha ritenuto che i prelievi fossero giustificati per la modesta entità dalle quotidiane esigenze di vita del nucleo familiare e le movimentazioni bancarie di versamento da incassi per locazioni di immobili, acconti su di una vendita e da regali ai parenti e soci, venendo meno al suo obbligo di motivazione e all’obbligo di esaminare in modo analitico tutti i versamenti ed i prelevamenti.

La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Basilicata, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Basilicata, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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