Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25707 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2021, (ud. 15/04/2021, dep. 22/09/2021), n.25707

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 34333/2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

C.P. MARMI s.a.s. di C.V. & C., in

persona del legale rappresentante pro tempore, nonché

C.M., C.P., C.D., C.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1235/03/2019 della Commissione tributaria

regionale della PUGLIA, depositata in data 16/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 15/04/2021 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento che l’amministrazione finanziaria emetteva ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 1 e 2, nei confronti della C.P. MARMI s.a.s. di C.V. & C., per maggior reddito d’impresa ai fini IVA, IRAP ed IRES per l’anno d’imposta 2008, nonché degli avvisi di accertamento emessi nei confronti dei soci C.M., C.P., C.D., C.V., per recupero a tassazione dei maggiori redditi di partecipazione nella predetta società, D.P.R. n. 917 del 1986 ex art. 5, la CTR della Puglia con la sentenza in epigrafe indicata riteneva inammissibili i motivi di appello proposti dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado e, nel merito, rilevava la violazione del contraddittorio endoprocedimentale, ritenendo che nella specie quello effettuato dall’amministrazione finanziaria fosse accertamento a mezzo studi di settore e sosteneva, altresì, che la discrasia del solo 1,8 per cento tra i ricavi dichiarati e quelli derivanti dallo studio di settore non costituisse elemento “significativo” per procedere alla ricostruzione induttiva dei rediti.

2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui non replicano gli intimati.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso la difesa erariale deduce la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, sub specie di motivazione apparente, in violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, nn. 3 e 4 e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Sostiene la ricorrente che la sentenza della CTR presenta “una pedissequa riproduzione di parte degli scritti difensivi della parte contribuente unitamente a riferimenti giurisprudenziali a fattispecie astratte non pertinenti al caso concreto” ed “e’ priva di una sua coerente linea argomentativa, risultando la giustapposizione di periodi slegati tra loro”, non rinvenendosi nella stessa “alcuna autonoma valutazione”, né “un’analisi critica della fattispecie controversa da parte dei Giudici regionali”.

2. Il motivo è manifestamente infondato.

3. Con riferimento alla censura rivolta dalla ricorrente alla sentenza impugnata per avere i giudici di appello riprodotto pedissequamente il contenuto degli atti della controparte, deve ricordarsi l’orientamento nomofilattico, a cui deve darsi continuità, in base al quale “Nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato” (Cass., Sez. U, n. 642 del 2015). Le Sezioni unite hanno precisato che nell’ordinamento non si rinviene alcuna norma “che, con riguardo alla redazione della sentenza, esplicitamente o implicitamente imponga al giudice l’originalità nei contenuti o nelle modalità espositive”, essendo previsto, dal complesso delle norme, che essa risulti “funzionale, flessibile, deformalizzata, improntata al contemperamento delle esigenze di effettività della tutela ed efficienza del sistema attraverso la conciliazione, in apparenza difficile, tra una motivazione comprensibile e idonea ad esplicitare il ragionamento decisorio che sia tuttavia concisa, succinta ed in ogni caso tale da giungere in tempi (più) ragionevoli”.

3.1. Pertanto, benché nella sentenza della CTR abbia riportato sic et simpliciter le controdeduzioni dei contribuenti, le esigenze sopra indicate risultano soddisfatte.

4. Il motivo risulta infondato anche con riferimento alla lamentata violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 3, secondo cui “la sentenza deve contenere (…) le richieste delle parti”, risultando comunque dal corpo della sentenza impugnata l’indicazione delle richieste dell’Ufficio appellante, concernenti la contestazione dell’accertamento dei fatti operato dai giudici di prime cure e la logicità dei fatti accertati. Vale infatti il principio per cui l’omessa trascrizione delle conclusioni delle parti nella sentenza importa nullità della stessa soltanto quando le suddette conclusioni non siano state esaminate, di guisa che sia mancata in concreto una decisione sulle domande ed eccezioni ritualmente proposte, mentre, quando dalla motivazione risulta che le conclusioni sono state effettivamente esaminate (come nel caso di specie, per come si dirà in seguito) il vizio si risolve in una semplice imperfezione formale, irrilevante ai fini della validità della sentenza (Cass. n. 4592/2010; Cass. n. 4208/2007; Cass., Sez. U, n. 20469/2005).

5. Ciò precisato, osserva il Collegio che nel caso di specie, per come risulta dall’apparto motivazionale di cui si è dato sinteticamente atto, e a prescindere dalla correttezza o meno dalla decisione adottata, i giudici di secondo grado hanno ritenuto inammissibile l’appello dell’Agenzia delle entrate per difetto di specificità dei motivi, rigettandolo anche nel merito per violazione del contraddittorio endoprocedimentale, ritenendo che nella specie quello effettuato dall’amministrazione finanziaria fosse accertamento a mezzo studi di settore e per insufficienza degli elementi presuntivi addotti dall’amministrazione finanziaria per procedere alla ricostruzione induttiva dei rediti.

5.1. In buona sostanza i giudici di appello hanno espresso delle ben chiare rationes decidendi, con argomentazioni idonee a dare conto delle ragioni della decisione assunta, sicché deve escludersi l’imperscrutabilità della ratio che rende nulla la sentenza per apparenza motivazionale (Cass., Sez. U., n. 22232/2016 cit.).

6. Con il secondo motivo la difesa erariale deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, censurando la statuizione d’appello di inammissibilità dell’impugnazione per difetto di specificità dei motivi, sostenendo che aveva errato la CTR nel ritenere che l’Ufficio nell’atto di appello si era limitato a “censurare genericamente la decisione dei giudici di prime cure, evidenziando la presunta palese errata valutazione di fatti di causa, senza confutare specificamente le valutazioni dei giudici di prime cure”.

7. Il motivo è fondato e va accolto in quanto la statuizione impugnata si pone in insanabile contrasto con i principi giurisprudenziali in materia. Invero, nel processo tributario vige il principio per cui ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dal D.Lgs n. 546 del 1992, art. 53, secondo il quale il ricorso in appello deve contenere “i motivi specifici dell’impugnazione” e non già “nuovi motivi”, atteso il carattere devolutive pieno dell’appello, che è un mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito” (cfr., ex multis, Cass. n. 23532/2018, non massimata; Cass. n. 7369/2017; Cass. n. 1200/2016; Cass. n. 3064/2012).

7.1. Orbene, nella specie l’atto di appello, riprodotto per autosufficienza nel presente ricorso, pur riportando parti delle controdeduzioni depositate nel giudizio di prime cure, contiene delle specifiche critiche alla decisione assunta in quel grado di giudizio – per “errata valutazione dei fatti di causa da parte del Giudicante” e perché “frutto, in primo luogo di una errata ricostruzione dei fatti e successivamente di una violazione di legge” – con richiesta di riforma della sentenza e dichiarazione di legittimità dell’avviso di accertamento. Se ne deve concludere che, alla luce del principio sopra esposto, l’onere di specificità dell’impugnazione è pienamente soddisfatto.

8. Con il terzo motivo la difesa erariale deduce la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del combinato disposto del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, convertito con modificazioni dalla L. n. 427 del 1993 e della L. n. 146 del 1998, art. 10, censurando la statuizione impugnata per avere i giudici di appello erroneamente sostenuto che il reddito d’impresa della società contribuente era stato rideterminato sulla base dei risultati restituiti dall’applicazione degli studi di settore, che invece era circostanza esclusa dal contenuto dell’avviso di accertamento alla società (riprodotto per autosufficienza nel ricorso) e per avere altrettanto erroneamente escluso la legittimità del ricorso all’accertamento analitico-induttivo D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 39, comma 1, lett. d), nella specie giustificato “dal raffronto tra quanto riportato nelle scritture contabili della società ed i dati inseriti nella dichiarazione dei redditi” che evidenziava “una vera e propria condotta antieconomica della società” (ricorso, pag. 28).

9. Il motivo è inammissibile alla stregua del principio affermato da Cass., Sez. U, n. 3840 del 20/02/2007, secondo cui “Qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata”.

9.1. Invero, nella specie, la statuizione conclusiva adottata dalla CTR nel dispositivo, di rigetto dell’appello, deve essere qualificata come dichiarazione di inammissibilità dello stesso, avendo ritenuto, in via preliminare, ma anche assorbente delle questioni di merito – che la CTR ha comunque esaminato ad abundantiam – “i motivi di ricorso in appello (…) inammissibili per genericità”.

10. In estrema sintesi, rigettati il primo motivo di ricorso e dichiarato inammissibile il terzo, va accolto il secondo con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla CTR territorialmente competente per nuovo esame alla stregua dei principi sopra enunciati e per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara inammissibile il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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