Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25706 del 01/12/2011

Cassazione civile sez. I, 01/12/2011, (ud. 10/10/2011, dep. 01/12/2011), n.25706

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10951-2007 proposto da:

D.L.P., D.L.O., nella qualità di eredi

di D.L.L.C., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA DEI PRATI DEGLI STROZZI 21, presso l’avvocato VANNI DANIELA,

rappresentati e difesi dall’avvocato D’ANGELI LIUBA, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

D.L.J., D.L.F., G.R.,

DI.LO.OL., D.L.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 95/2006 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 18/02/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/10/2011 dal Presidente Dott. FRANCESCO FELICETTI;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato STEFANO SANTARELLI, con delega,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La sig.ra G.R. con ricorso 16 aprile 1991 chiese al Presidente del tribunale di Pesaro un sequestro conservativo nei confronti del sig. D.L.L.C. a garanzia di un credito relativo al mantenimento della figlia naturale di entrambi J., e di un credito relativo all’omesso versamento di retribuzioni per attività lavorativa svolta alle sue dipendenze.

Ottenuto ed eseguito il provvedimento cautelare, l’istante citò il D.L. per la convalida ed il merito. Il convenuto si costituì resistendo alle domande e chiedendo in via riconvenzionale la restituzione della somma di L. 23.000.000 della quale l’attrice si sarebbe impossessata prelevandole dal suo conto bancario, nonchè della somma di L. 3.000.000 incassata per la vendita di grano prodotto da un terreno di esso convenuto. Nel corso del giudizio, con ordinanza ex art. 700 c.p.c. fu disposta la corresponsione da parte del convenuto della somma mensile di L. 600.000 per il mantenimento della minore, a far data dal luglio 1993 – provvedimento revocato nel marzo 1999 per essere la figlia delle parti divenuta economicamente autosufficiente – nonchè la separazione della domanda relativa ai dedotti crediti di lavoro. Il processo fu sospeso in pendenza di un giudizio penale a carico del convenuto per inadempimento agli obblighi di assistenza familiare e poi riassunto, essendo questi nel frattempo deceduto, nei confronti degli eredi D.L.P., Ol., F., O. ed E.. Divenuta maggiorenne, D.L.J. intervenne nel giudizio per sostenere le ragioni della madre e, in subordine, per ottenere il pagamento diretto dell’assegno di mantenimento. Il tribunale, con sentenza 11 febbraio 2002, convalidò il sequestro contestualmente revocandolo per la sopravvenuta carenza dei presupposti, si dichiarò incompetente relativamente alle domande di pagamento di crediti da lavoro, dichiarò dovuto l’assegno di L. 600.000 mensili dalla domanda al febbraio 1997; condannò, inoltre, gli eredi del convenuto a risarcire a D.L.J. il danno derivatole dall’inadempimento del padre al suo obbligo di mantenimento, quantificandolo in Euro 20.000,00 oltre interessi. La sentenza fu appellata dal solo D.L.P. e, con appello incidentale, da G.R. e D.L.J.. Integrato il contraddittorio nei confronti degli altri eredi e notificato anche a loro l’appello incidentale, essi non si costituirono e la Corte d’appello di Ancona, con sentenza depositata il 18 febbraio 2006, in parziale accoglimento dell’appello principale, escluse dalla condanna al pagamento della somma di Euro 20.000,00 a titolo risarcitorio l’appellante D.L.P., rigettando per ogni altro verso il suo appello. Accolse altresì parzialmente l’appello incidentale condannando per intero le controparti al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, in quella sede parzialmente compensate e rigettandolo in ogni altra sua parte. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso a questa Corte i sigg.ri D.L.P. e O., con atto notificato a G.R., D.L. J., D.L.E., D.L.F. e D. L.O., formulando tre motivi. Le parti intimate non hanno depositato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denunciano la violazione degli artt. 102 e 331 c.p.c., nonchè dell’art. 112 c.p.c. e vizi motivazionali, in relazione alla limitazione della riforma della sentenza di primo grado pronunciata dalla Corte d’appello, con il rigetto della domanda di risarcimento dei danni ritenuta tardivamente proposta da D. L.J., al solo appellante D.L.P.. Si deduce al riguardo che sussistendo tra gli eredi dell’originario convenuto un litisconsorzio necessario, con conseguente inscindibilita della causa, la riforma avrebbe dovuto essere pronunciata nei confronti di tutti gli eredi e non del solo appellante, essendo fra l’altro incongruo che, integrato il contraddittorio nei loro confronti, la riforma sia stata limitata al solo appellante, mentre la condanna alle spese sia stata pronunciata anche nei loro confronti anche in mancanza di appello incidentale contro di essi.

Il motivo è fondato.

In proposito va riaffermato il principio secondo il quale in caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado, la sua legittimazione attiva e passiva si trasmette indivisibilmente agli eredi, i quali vengono a trovarsi per tutta la durata del giudizio in una situazione di litisconsorzio necessario per ragioni di ordine processuale (ex multis Cass. 12 luglio 2001, n. 9418; 12 ottobre 2000, n. 13595; 19 aprile 2000, n. 5125), a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, con la conseguenza che nelle successive fasi di gravame, ove questo non sia stato proposto nei confronti di tutti gli eredi, va ordinata d’ufficio, a pena di nullità, l’integrazione del contraddittorio nei confronti di ciascuno di essi (Cass. 19 novembre 2008 n. 27437; 17 settembre 2008, n. 23765; 17 ottobre 2007, n. 21832; 28 ottobre 2004, n. 20874; 28 novembre 2003, n. 18264; 6 ottobre 1998, n. 9903; 26 settembre 1996, n. 8492).

Tale principio trova fondamento nel disposto dell’art. 110 c.p.c., a norma del quale quando la parte viene meno per morte “il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto” e quindi, in caso di pluralità di eredi, da tutti essi o nei confronti di tutti essi, a prescindere dalla destinazione in sede successoria del diritto controverso, succedendo indivisibilmente la collettività degli eredi nel rapporto giuridico processuale (Cass. 19 giugno 2002, n. 8862; 26 settembre 1996, n. 8492, 15 maggio 1995, n. 5311; 15 luglio 1985, n. 4141). Principio che si collega alla regola di diritto successorio secondo la quale gli eredi subentrano “in universum jus” del “de cuius” e quindi anche in tutti i rapporti giuridici processuali attivi e passivi che gli fanno capo e cioè nella posizione che il “de cuius” aveva nel processo: posizione giuridica consistente nell’aspettativa di una pronuncia favorevole, distinta dalla situazione giuridica sostanziale in contestazione.

Secondo tale interpretazione l’art. 110 c.p.c. considera inscindibile il rapporto processuale nel quale gli eredi siano succeduti, con conseguente inscindibilità e unicità della decisione su di esso.

Ciò trovando riscontro ancora in ragioni di diritto successorio, in quanto l’esito del processo del quale era parte il “de cuius” è destinato a incidere solo indirettamente – e nella misura stabilita dall’art. 754 cod. civ. – sul patrimonio dei singoli eredi, mentre incide direttamente sull’eredità nel suo complesso, con conseguente possibile ricaduta su istituti di diritto successorio quali la “legittima” e l’azione di riduzione.

L’incidenza del processo sulla formazione dell’asse ereditario da ragione dell’inscindibilità del rapporto processuale e della legittimazione necessariamente collettiva degli eredi per tutto il processo, sia nel lato attivo che in quello passivo, stante la giuridica necessità che il processo si concluda con un unico e identico giudicato nei loro confronti.

Ne consegue che tutti gli eredi continuano ad essere unitariamente titolari per tutto il processo dell’unico e inscindibile rapporto processuale nel quale siano succeduti, quale che sia la natura delle situazioni sostanziali che ne formino oggetto.

Deve pertanto essere affermato il principio che, promossa impugnazione da parte di un erede della sentenza di primo grado in un giudizio nel quale siano succeduti alla parte deceduta più eredi, non solo la sentenza non passa in giudicato nei confronti degli altri, ma una volta integrato il contraddittorio anche ove – come nel caso di specie – essi rimangano contumaci, stante la unitarietà e inscindibilità della loro legittimazione, la sentenza di accoglimento o rigetto dell’appello, con la relativa statuizione sul rapporto sostanziale, ha effetto nei confronti di tutti gli eredi.

Il motivo, pertanto, è fondato e la sentenza impugnata va cassata nella parte in cui ha ritenuto che la riforma della decisione di primo grado, in quanto impugnata da un solo erede, operasse solo in suo favore.

2.Con il secondo motivo si denunciano la violazione degli artt. 147, 148 e 261 cod. civ., nonchè vizi motivazionali, in relazione alla misura dell’assegno di mantenimento per la figlia naturale D. L.J.. Con il motivo si deducono vizi motivazionali relativamente alla valutazione della situazione economica del genitore, con particolare riferimento al reddito del terreno agrario, affittato per Euro 750,00 annui mentre gli era stata attribuita in via presuntiva una cospicua redditività; ai redditi presunti in base all’investimento di una somma in BOT; alla modestia della pensione da lui percepita, inferiore a quella dell’attrice; alla gravità del suo stato di salute con le conseguenti spese di assistenza; alla sua situazione debitoria. Sarebbe inoltre errata in diritto l’affermazione della sentenza secondo la quale l’obbligo di mantenimento grava su ogni genitore indipendentemente dall’adempimento di analoga obbligazione da parte dell’altro.

Il motivo è inammissibile, avendo in effetti la Corte d’appello con analitica ed esaustiva motivazione valutato, ai fini della quantificazione dell’assegno, comparativamente la situazione economica del ricorrente e le condizioni economiche della controparte, cosicchè il motivo si sostanzia nella richiesta di una rivalutazione in questa sede del relativo accertamento, la quale esula dal giudizio di legittimità.

3. Con il terzo motivo si denuncia contraddittorietà della motivazione in ordine alla valutazione delle prove in relazione al rigetto della domanda riconvenzionale di restituzione della somma sottratta dal conto corrente del convenuto: rigetto fondato per un verso sull’apodittica affermazione che il prelievo doveva ritenersi essere stato autorizzato dal convenuto e per altro verso, contraddittoriamente, su una sua presunta ratifica. Non sarebbe esatto che solo a distanza di tempo, dopo l’inizio della causa, il convenuto aveva chiesto la restituzione della somma, mentre la contestazione in effetti era avvenuta a breve distanza di tempo dai prelievi, essendo stati questi effettuati nel 1990 e la causa iniziata nel 1991. Si deduce che la prova della legittimità dei prelievi incombeva sull’attrice, che non vi aveva adempiuto.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

La Corte ha ritenuto provato che le somme furono prelevate dal conto del “de cuius” con il suo consenso. Tale affermazione appare congruamente motivata, essendo evidente che la Corte, usando i termini autorizzazione e ratifica, non li ha usati con valenza tecnico-giuridica ma per significare che vi era stato l’assenso del “de cuius” ai prelievi. Per il resto anche tale motivo si risolve nella sostanziale richiesta di una rivalutazione dei fatti e delle prove, inammissibile in questa sede.

Il ricorso va pertanto accolto in relazione al primo motivo con la cassazione della sentenza impugnata in relazione ad esso. Sussistendo le condizioni per la pronuncia nel merito ex art. 384 c.p.c., la sentenza di primo grado va riformata nel senso che la domanda di pagamento della somma di Euro 20.000,00 e accessori a titolo di risarcimento danni in favore di D.L.J., va rigettata nei confronti di tutti gli eredi di D.L.L.C., e cioè non solo di D.L.P., ma anche di Ol., F., O. ed D.L.E..

Dovendosi statuire sulle spese di causa per tutti i gradi del giudizio, in relazione alla prevalente soccombenza complessiva degli eredi di D.L.L.C. esse debbono essere poste interamente a loro carico in assenza di ragioni per la parziale compensazione stante, come già rilevato dalla Corte d’appello, il pervicace rifiuto dell’adempimento dell’obbligazione principale di mantenimento della figlia naturale del D.L.. Ne consegue la loro condanna al relativo pagamento nella misura già stabilita nelle sentenze di primo e secondo grado, mentre nulla va disposto per il giudizio di cassazione non essendosi le parti intimate costituite.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il primo motivo del ricorso. Rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e in applicazione dell’art. 184 c.p.c. rigetta la domanda di pagamento della somma di Euro 20.000,00 e accessori in favore di D.L.J., nei confronti di tutti gli eredi di D.L.L.C., e cioè di D.L.P., Di.Lo.Ol., D.L.F., D.L.O. ed D.L.E.. Pone a carico dei su detti eredi di D.L.L.C. le spese dei due gradi di giudizio di merito, liquidandole nella misura di Euro 7.000,00 per onorari, 3.500,00 diritti e 1.500,00 per spese per il giudizio dinanzi al tribunale e di Euro 3.000,00 per onorari e 1.400,00 per diritti per il giudizio dinanzi alla Corte d’appello, oltre spese generali e accessori come per legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità delle parti e delle altre persone in esso menzionate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, 10 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2011

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