Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 257 del 10/01/2017

Cassazione civile, sez. III, 10/01/2017, (ud. 02/11/2016, dep.10/01/2017),  n. 257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24209/2014 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ODERISI DA

GUBBIO 62, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE PETRILLI,

rappresentata e difesa dall’avvocato SAMUELE SCALISE, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 4819/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/11/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato SAMUELE SCALISE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- M.F., in proprio e quale unica erede di E.A., coniuge deceduto nell’anno (OMISSIS), convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, il Ministero della salute, chiedendo, con atto di citazione notificato il 28 marzo 2003, il risarcimento dei danni subiti in proprio e quale erede del marito, conseguenti al contagio con il virus dell’epatite B, provocato a quest’ultimo da trasfusioni eseguite nel corso di un intervento chirurgico del (OMISSIS).

Si costituì in giudizio il Ministero della salute eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e la prescrizione del diritto e chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda.

All’esito dell’istruttoria, il Tribunale rigettò la domanda e compensò le spese di lite.

2.- La pronuncia è stata gravata da appello principale della M. e da appello incidentale condizionato del Ministero (che, in subordine, ha così riproposto l’eccezione di prescrizione). La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 17 settembre 2013, a conferma di quella di primo grado, ha rigettato l’appello principale ed ha dichiarato assorbito l’appello incidentale, con compensazione delle spese del grado.

Ha osservato la Corte territoriale che l’appellante principale non aveva specificamente contestato l’accertamento svolto dal CTU in primo grado circa l’avvenuta guarigione dell’ E. dall’epatite B e circa la mancanza di nesso causale tra la pregressa epatopatia ed il decesso del medesimo. Ha quindi disatteso l’unica contestazione specifica basata sul referto della CMO del (OMISSIS), nel quale si davano per riscontrate “alterazioni della funzionalità epatica di grado lieve-moderato”.

3.- Contro la sentenza M.F. propone ricorso affidato a due motivi, illustrati da memoria.

Il Ministero della salute non si difende.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè, secondo la ricorrente, il giudice di merito non avrebbe “adeguatamente valutato tutte le prove proposte dall’attrice” e non avrebbe tratto le conseguenze “normalmente previste” dagli atti e dai documenti prodotti in giudizio, in specie dal verbale della CMO del (OMISSIS) – che avrebbe dovuto comportare quanto meno il rinnovo della CTU.

1.1.- La censura – riferita al rigetto della domanda di risarcimento del danno alla salute, sofferto dal de cuius, e richiesto dalla ricorrente iure hereditario – è in parte infondata ed in parte inammissibile.

Essa è inammissibile nella parte in cui si contesta il giudizio di guarigione dall’epatite B espresso dalla Corte territoriale sulla base del corrispondente inequivoco accertamento peritale relativo allo stato di salute del paziente in data 5 aprile 1993 (quando si ebbe l’esito di esami clinici eseguiti ad altro fine), nonchè nella parte in cui si contesta il giudizio circa la mancanza di allegazione di “specifici disturbi accusati dal defunto coniuge dell’attrice durante il periodo di latenza” del virus.

In sintesi, la Corte di merito ha accertato che in questo periodo -che durò dal 1989 al 1993 – la malattia fu del tutto asintomatica (tanto che l’ E. apprese di aver contratto l’epatite B solo per la presenza di anticorpi, mentre all’epoca dell’esame era già guarito) e che nel periodo successivo vi fu “il definitivo superamento del danno epatico”.

La ricorrente adduce a sostegno della critica relativa al lasso temporale 1989-1993 l’esistenza di un’infezione asintomatica (quella del cosiddetto portatore sano), che avrebbe ridotto la validità psico-fisica del soggetto, e gli studi medici secondo cui anche in questa situazione vi sarebbe una validità fisica ridotta: entrambi questi elementi sono stati adeguatamente considerati sia dal consulente tecnico che dal giudice di merito. La Corte d’appello, sulla scorta delle conclusioni peritali, ha escluso “che nel limitato contesto temporale in cui 11 virus è rimasto latente, il de cuius abbia subito conseguenze invalidanti di sorta”.

Analogamente, la Corte ha considerato che il verbale della CMO del (OMISSIS) – addotto dalla ricorrente a sostegno del proprio assunto critico circa la persistenza, dopo la guarigione, di un’epatopatia HBV correlata di grado lieve moderato – non fosse dirimente sia per la mancanza della prova di conseguenze relazionali rilevanti anche in epoca successiva al 1993 (fino alla morte sopraggiunta nel (OMISSIS)) che per la mancanza di qualsiasi documentazione clinica di riscontro.

Trattasi di accertamenti in punto di fatto rispetto ai quali non consentito un nuovo esame in sede di legittimità, invocato dalla ricorrente mediante riproposizione di elementi di prova già adeguatamente valutati dal giudice di merito.

1.2.- In diritto, il motivo è comunque infondato dato che la decisione sull’insussistenza di danni risarcibili iure hereditario è corretta.

Infatti, poichè il danno alla salute in tanto è risarcibile in quanto abbia prodotto o possa produrre in futuro limitazioni funzionali rilevanti nel contesto dinamico-relazionale del soggetto, se ne deve escludere la sussistenza – così come l’ha esclusa la Corte d’appello – ogniqualvolta non sia stata provata alcuna significativa limitazione funzionale nel periodo di “infezione asintomatica” e comunque non si configuri nemmeno per il futuro la probabilità di una riduzione significativa della validità psicofisica, sotto il profilo dinamico – relazionale (anche in ragione del sopravvenuto decesso del paziente, per cause diverse dalla patologia epatica).

1.3.- Nè in senso contrario può argomentarsi sulla base del riconoscimento del diritto all’assegno una tantum spettante ai parenti dei soggetti deceduti per infezioni contratte per emotrasfusioni, ai sensi della L. n. 210 del 1992.

Trattasi, infatti, di prestazione assistenziale che presuppone l’avvenuta contrazione del virus, il cui riconoscimento prescinde dalla verifica delle limitazioni funzionali sofferte dal paziente a causa della patologia epatica idonee a configurare il danno biologico risarcibile in sede civile.

Il primo motivo di ricorso va perciò rigettato.

2.- Col secondo motivo si lamenta omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 e violazione dell’art. 2697 c.c. e artt. 115 – 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La censura è riferita al rigetto della domanda di risarcimento dei danni avanzata dalla M. iure proprio per il decesso del marito. La ricorrente rimprovera al giudice a quo di non aver adeguatamente considerato la sentenza del Tribunale di Roma, sezione lavoro, pronunciata tra le stesse parti (confermata in appello e, nelle more, passata anche in giudicato), la quale, in base ad una consulenza internistica del (OMISSIS), aveva ritenuto il nesso di causalità tra la malattia epatica e la morte dell’ E.. Rimprovera inoltre al giudice di non aver adeguatamente esaminato il fatto del nesso di causalità tra epatite e decesso, “in tutte le articolazioni con le quali era emerso in sede istruttoria”, e di non aver posto a fondamento della decisione o comunque di non aver valutato correttamente tutte le prove proposte dall’attrice.

2.1. – Il motivo non merita di essere accolto.

La Corte d’appello ha escluso il nesso causale tra la patologia epatica pregressa e la morte dell’ E..

Di certo non è decisivo il giudicato sopravvenuto formatosi sulla sentenza del giudice del lavoro che ha riconosciuto in favore della M. il diritto all’assegno ai sensi della L. n. 210 del 1992. Escluso infatti che – in ragione della già detta diversità di presupposti tra la prestazione assistenziale ed il risarcimento del danno – possa aversi una preclusione pro-iudicato (nemmeno invocata dalla ricorrente), il contrasto tra la decisione del giudice del lavoro e quella adottata con la sentenza qui impugnata è privo di rilevanza. Esso infatti non si risolve in un insanabile conflitto tra fatti storici accertati, quanto in una incompatibilità tra i passaggi del ragionamento logico-giuridico concernente la valutazione dell’idoneità di questi fatti a far presumere l’esistenza del nesso di causalità tra la trasfusione del (OMISSIS), seguita dalla guarigione dall’epatite, e la morte per endocardite sopraggiunta nel (OMISSIS) (in soggetto già operato al cuore).

Orbene, il ragionamento seguito dalla Corte d’appello di Roma non presenta vizi motivazionali tali da consentirne la censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile ragione temporis.

Il testo della norma è stato sostituito con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134.

A norma dell’art. 54, comma 3, del medesimo decreto, questa disposizione si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della Legge di conversione del predetto decreto (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11 agosto 2012): quindi si applica alla sentenza impugnata, che è stata pubblicata il 17 settembre 2013.

La ricorrente avrebbe potuto denunziare soltanto l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, ovvero la mancanza assoluta di motivazione, senza che rilevi l’insufficienza di questa nè la mancata od incompleta considerazione di elementi di prova (cfr. Cass. S.U. n. 8053/14).

Nella sentenza impugnata la motivazione non è mancante nè apparente e l’iter logico giuridico seguito dal giudice per pervenire alle conclusioni di cui sopra è corretto.

Il giudizio – che si basa su identica conclusione del CTU – non è incompatibile con il dato della consulenza internistica del (OMISSIS), così come riportato in ricorso. Vi si legge che questa avrebbe ritenuto l’epatopatia una controindicazione all’esecuzione di un nuovo trattamento chirurgico nei confronti dell’ E., deceduto per la patologia cardiaca. Orbene,la prova rigorosa del nesso di causalità, spettante alla danneggiata, avrebbe richiesto la dimostrazione – che invece è mancata – della praticabilità di questo differente (ed ulteriore) trattamento chirurgico nonchè della sua idoneità a salvare la vita del paziente.

Nè può giovare il richiamo – contenuto nel ricorso – del precedente di questa Corte n. 10435 del 29 aprile 2010, poichè questo venne pronunciato in fattispecie nella quale il giudice aveva escluso, senza adeguata motivazione, che fosse stata causa diretta della morte la “gravissima” epatite da cui era affetta la paziente poi deceduta — a differenza che nel caso di specie, in cui è risultata accertata la guarigione dall’epatite B ed il giudice ha motivato sulla “cessazione completa dell’attività virale” due anni prima della morte del dante causa della ricorrente.

Il ricorso va perciò rigettato.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità poichè il Ministero intimato non si è difeso.

Avuto riguardo al fatto che il ricorso è stato notificato dopo il 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 2 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2017

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