Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 257 del 07/01/2011

Cassazione civile sez. III, 07/01/2011, (ud. 16/11/2010, dep. 07/01/2011), n.257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25452-2006 proposto da:

M.S., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEI GRACCHI 187, presso lo studio dell’avvocato MAGNANO DI

SAN LIO GIOVANNI, rappresentata e difesa dall’avvocato DI BARTOLO

PIETRO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

RAS SPA, (OMISSIS), in persona dei legali rappresentanti dr.ssa

Mi.Ri. e dr.ssa R.M., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato SPADAFORA

GIORGIO, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del

controricorso;

L.F.F., (OMISSIS), CASA CURA LANTERI VILLA

FIORITA SPA, (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G

SPONTINI 11, presso lo studio dell’avvocato BARTOLINI PAOLA,

rappresentati e difesi dall’avvocato VITALE SILVESTRO, giusta delega

in atti;

PREVIDENTE ASSICURAZIONI SPA,(OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA LEONIDA BISSOLATI 76, presso lo studio dell’avvocato

TOMMASO SPINELLI GIORDANO, rappresentato e difeso dall’avvocato

SPAGNOLO SANTO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 643/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

Sezione Prima Civile, emessa il 02/02/2005, depositata il 21/06/2005;

R.G.N. 99 e 114/2000;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/11/2010 dal Consigliere Dott. RAFFAELLA LANZILLO;

udito l’Avvocato DI BARTOLO PIETRO; udito l’Avvocato SPADAFORA

GIORGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo che ha concluso per l’accoglimento p.q.r..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.S. ha proposto domanda di risarcimento dei danni per responsabilità professionale nei confronti del dott. L.F. F. e della s.p.a. Casa di cura Lanteri Villa Fiorita, di (OMISSIS), a seguito di grave infezione contratta in occasione del ricovero e del parto presso la clinica, dal (OMISSIS).

I convenuti hanno resistito alla domanda, chiamando in causa le rispettive compagnie assicuratrici, s.p.a. Lavoro e Sicurtà (oggi Milano Assicurazioni) per la Casa di cura, e s.p.a. La Previdente (oggi Riunione Adriatica di Sicurtà) per il dott. L.F..

Il Tribunale di Catania ha condannato la Casa di cura e il dott. L. F. a risarcire i danni, quantificati in L. 431.313.189 oltre interessi.

Proposto appello principale dai convenuti e incidentale dall’attrice, con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello di Catania, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto i convenuti da ogni domanda, compensando le spese processuali.

La M. propone ricorso per cassazione.

Resistono con separati controricorsi la Milano Assicurazioni e la s.p.a. Riunione Adriatica di Sicurtà, nonchè, con unico atto, la Casa di Cura e il L.F..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Va premesso in fatto che la ricorrente – ricoverata per il parto presso la Casa di cura Lanteri Villa Fiorita il (OMISSIS) – è stata ivi sottoposta ad episiotomia, cioè all’incisione chirurgica del perineo, allo scopo di allargare il canale del parto.

Nei giorni successivi all’intervento si è sviluppata un’infezione da stafilococco aureus con sintomi di setticemia, che non è stata adeguatamente controllata dagli antibiotici generici, somministrati tre giorni dopo l’intervento, finchè il (OMISSIS) la paziente, trasferitasi presso un altro ospedale, è stata curata con antibiotici specifici, previa effettuazione di emocoltura, che ha permesso di individuare il germe patogeno.

Nel frattempo l’infezione aveva aggredito l’articolazione coxofemorale sinistra, con grave danneggiamento del collo femorale, che ha dovuto essere asportato e sostituito da una protesi.

Dalla vicenda sono residuati postumi permanenti di invalidità, quantificati dai CTU nel 33% del totale.

La Corte di appello ha ritenuto che le relazioni peritali depositate nel corso del giudizio – su cui il Tribunale ha fondato il suo giudizio di condanna – se correttamente interpretate portino ad escludere ogni responsabilità della Casa di cura e del medico, nell’eziologia e nella cura dell’infezione.

2.- Con l’unico motivo, denunciando violazione dell’art. 1176 c.c., comma 2, artt. 2697 e 2043 cod. civ., art. 40 cod. pen., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la responsabilità del personale sanitario.

Gli addebiti di negligenza ed imperizia si possono così sintetizzare:

a) mancata adozione di terapia antibiotica prima dell’intervento di episiotomia: prassi che la ricorrente assume essere consueta e consigliata dalle linee guida internazionali in vigore presso gli ospedali;

b) mancata effettuazione di antibiogramma tramite analisi emocolturale, al fine di individuare lo specifico agente patogeno, a fronte dei dolori e delle manifestazioni febbrili seguite all’intervento;

c) conseguente somministrazione di antibiotici generici, rivelatisi inefficaci, e solo a decorrere dal terzo giorno di febbre e di dolori all’anca, anzichè efficace e tempestivo intervento tramite antibiotici specifici;

d) omessa registrazione nella cartella clinica dei dati relativi all’evolvere dell’iniziale ferita episiotomica, donde è derivato il ritardo nel rilevare l’infezione in corso.

Quanto ad a), si afferma che la Corte di appello ha omesso di considerare che la somministrazione di antibiotici prima di un intervento chirurgico è prescritta dalla prassi sanitaria internazionale e dalle più autorevoli istituzioni scientifiche del settore; a maggior ragione avrebbe dovuto essere seguita in relazione ad un intervento ad alto rischio di contaminazione, quale l’episiotomia (per la prossimità all’ano del tessuto interessato dall’incisione); che la prassi risulta anche dalle linee guida dell’Ospedale (OMISSIS), documento che essa ha prodotto in giudizio e che la Corte di appello ha disatteso, ritenendolo non convincente (senza ulteriore motivazione) ed affermando erroneamente che esso è stato redatto solo nel (OMISSIS), dieci anni dopo gli eventi di cui trattasi, mentre il contenuto del documento menziona una prassi in vigore fin dal (OMISSIS).

Lamenta che la Corte di merito ha ritenuto non prevedibile l’infezione, seguendo le affermazioni di alcuni CTU, che risultano contraddittorie rispetto ad altri accertamenti.

Quanto a b) e c), denuncia insufficiente ed erronea motivazione nella parte in cui la sentenza ha ritenuto giustificati la mancata effettuazione di antibiogramma, al manifestarsi dell’infezione.

Rileva che la prassi dell’emocoltura è ben nota fin da allora alla scienza medica e che avrebbe dovuto essere adottata, proprio a fronte dell’incertezza della diagnosi ed essendosi già manifestati i sintomi di una setticemia; che erroneamente la Corte ha ritenuto – seguendo pedissequamente parte delle relazioni dei CTU – che il ritardo o l’insuccesso di una cura antibiotica sia evento “che grava sul bilancio del terapeuta, indipendentemente dalla sua capacità e solerzia”: nella specie infatti l’esito negativo sarebbe stato facilmente evitabile, tramite la preventiva indagine emocolturale, diretta ad individuare il germe patogeno.

Quanto a d), lamenta che la Corte di appello non abbia affatto motivato sul punto.

Soggiunge che l’onere di fornire la prova di avere correttamente adempiuto ai propri doveri era a carico dei sanitari e non può ritenersi assolto tramite indagini peritali, i cui risultati sono per di più contraddittori.

3.- Il motivo è fondato, sotto il profilo della violazione degli artt. 1218 e 1176 cod. civ. e dell’insufficienza od illogicità di varie parti della motivazione.

Conviene prendere le mosse dalle incongruenze della motivazione.

3.1.- La Corte di appello riferisce che il Tribunale ha imputato a responsabilità del medico e della struttura sanitaria la mancata somministrazione di antibiotici prima dell’operazione, sulla base dei rilievi contenuti nelle relazioni di due CTU, secondo cui il trattamento antibiotico preventivo avrebbe potuto avere effetti terapeutici risolutivi.

Soggiunge però che le relazioni peritali, considerate nel loro complesso, hanno in definitiva escluso ogni responsabilità dei medici.

La Corte di appello si è uniformata a tali conclusioni, senza spiegare perchè e con quali argomentazioni le conclusioni dei CTU abbiano fatto seguito alle premesse di contenuto opposto, alle quali si era uniformato il Tribunale. Sicchè la motivazione sul punto risulta insufficiente ed illogica, poichè riproduce senza scioglierle le contraddizioni insite nelle relazioni peritali.

Deve essere poi condiviso il rilievo della ricorrente circa l’incongruenza della motivazione – in relazione al documento da essa prodotto, contenente le linee guida adottate da altro Ospedale.

Il documento effettivamente menziona una prassi sanitaria in vigore fin dal (OMISSIS), secondo cui le operazioni con alto rischio di contaminazione, quale deve considerarsi l’episiotomia, è consigliabile siano precedute dalla somministrazione di antibiotici.

Erroneamente, pertanto, la Corte di appello ha ritenuto ininfluente il documento con la sola motivazione che esso reca una data successiva all’intervento chirurgico di cui trattasi.

Va soggiunto che la stessa Corte di appello ha largamente richiamato nella motivazione i rilievi contenuti nelle relazioni peritali e nella sentenza di primo grado, secondo cui la degenza ospedaliera è condizione di alto rischio morbigeno-infettivologico, a causa della presenza di notevoli concentrazioni di agenti infettanti nell’ambiente ospedaliero, e l’infezione puerperale, nosocomiale e non, appartiene alla realtà clinica più antica e tragica.

Tali premesse avrebbero dovuto condurre a motivare con particolare rigore la ritenuta non necessità di terapia antibiotica preventiva (così come la sottovalutazione della successiva infezione), anche a prescindere dalle linee guida; per di più in relazione ad un intervento chirurgico di episiotomia, che la ricorrente dichiara costituire notevole fonte di rischio di contaminazione.

3.2.- Quanto alla mancata effettuazione di analisi emoculturale, dopo il manifestarsi dell’infezione – che ha comportato la somministrazione per più giorni di antibiotici generici, anzichè mirati, rivelatisi inefficaci – la Corte di appello ha riformato la sentenza di primo grado (che aveva ravvisato responsabilità per negligenza) con la motivazione che è frequente che il trattamento batterico non abbia successo; che la sepsi stafilococcica non può essere causalmente ricollegata alle cure ed agli interventi effettuati durante il ricovero, quindi alla colpa dei sanitari; che non vi è certezza che un trattamento antibiotico mirato avrebbe potuto modificare il quadro clinico; che i medici curanti hanno preferito applicare “il cosiddetto criterio empirico-epidemiologico ragionato”, anzichè l’emocoltura, perchè il quadro clinico era stato inizialmente modesto e un’eziologia stafilococcica non era facilmente prevedibile.

Trattasi di motivazione non sufficiente e non congrua.

Il fatto che il trattamento antibatterico possa non avere successo non giustifica l’omissione delle indagini dirette ad accertare quali siano i medicinali più efficaci (nella specie, l’emocoltura);

dovrebbe anzi sollecitare la massima solerzia in tal senso; il fatto che l’infezione non fosse dipesa da colpa dei sanitari non esonerava questi ultimi dall’ obbligo di apprestare tutte le cure del caso, durante il ricovero del paziente presso la struttura, volta che l’infezione si è comunque manifestata.

Il richiamo al criterio empirico epidemiologico, in luogo di adeguata indagine emocolturale, non costituisce sufficiente motivazione dell’esonero dei medici da responsabilità, in mancanza di ogni chiarimento circa l’esatta natura ed efficacia del suddetto criterio, che – così come espresso – sembra manifestare più la giustificazione verbale e apodittica di un comportamento di inerzia e di accettazione dello status quo, che non l’espressione di una consapevole scelta terapeutica, alternativa all’emocoltura.

Manca poi ogni motivazione in ordine all’addebito avente ad oggetto l’incompleta redazione della cartella clinica, nella quale è stata omessa la registrazione dati relativi all’evolvere della ferita episiotomica, dalla quale ben potrebbe avere avuto origine l’infezione. Trattasi di omissione che di per sè configura inesatto adempimento, per difetto di diligenza (cfr. Cass. civ. Sez. 3, 26 gennaio 2010 n. 1538).

3.2.- Essenziale è tuttavìa rilevare che la motivazione della Corte di appello sui punti che si sono evidenziati manifesta violazione dei principi di legge in tema di imputazione della responsabilità contrattuale di tipo professionale.

L’art. 1176 cod. civ. deve essere interpretato tenendo presenti i principi generali di cui all’art. 1218 cod. civ., che impone criteri particolarmente rigorosi di valutazione della responsabilità contrattuale.

Anche con riferimento alle obbligazioni di fare ed a quelle aventi ad oggetto prestazioni di mezzi anzichè di risultato, quali sono normalmente le prestazioni sanitarie, la responsabilità per inosservanza del dovere di diligenza, di cui all’art. 1176 cod. civ. non può essere esclusa sulla base di interpretazioni corrive o lassiste del testo normativo, considerata anche la natura e l’entità dei danni che possono derivare dall’inesatto adempimento.

Più precisamente, con riguardo alle prestazioni professionali sanitarie la natura dell’attività esercitata, a cui deve essere commisurato il giudizio sulla diligenza (art. 1176, comma 2), da un lato può comportare un’attenuazione del rigore nell’imputazione della responsabilità, in considerazione di peculiari difficoltà della prestazione (art. 2236 cod. civ.); dall’altro lato, impone però di adottare maggiore severità di giudizio, in considerazione della gravità dei danni che il comportamento negligente può procurare alla persona (sia pur nei limiti in cui si tratti di danni prevedibili). E’ appena il caso di ricordare che le prestazioni sanitarie incidono su diritti costituzionalmente garantiti, quali sono il diritto alla salute ed all’integrità fisica, quando non alla vita.

Il giudizio in materia deve essere pertanto orientato secondo i criteri indicati.

Il caso in esame manifesta: a) una indubbia facilità nel pervenire alla diagnosi generale di infezione, trattandosi di evento che la stessa Corte di appello ha dichiarato essere frequente in ambiente ospedaliere ed in relazione al parto e ad interventi chirurgici del genere di quello in oggetto; b) una certa difficoltà di individuare lo specifico agente patogeno – che i consulenti tecnici hanno detto essere raro a verificarsi – mitigata e neutralizzata però dalla semplicità dei mezzi a disposizione per la diagnosi, in quanto l’emocoltura è indagine largamente praticata e priva di controindicazioni, che permette di dissipare agevolmente ogni dubbio;

c) la notevole e prevedibile gravità delle conseguenze che possono derivare dalla mancata, tempestiva adozione di cure adeguate, a fronte di un’infezione che si riveli resistente agli antibiotici;

donde l’obbligo del medico autenticamente sollecito della salute del paziente di ricorrere a tutti i mezzi a sua disposizione – per di più di agevole impiego – al fine di intervenire in modo efficace.

La prova della corretta esecuzione della prestazione – il cui onere è a carico del personale sanitario – avrebbe quindi richiesto la dimostrazione di avere adottato tutte le misure adeguate a prevenire l’infezione od a limitarne gli effetti, con i mezzi all’epoca disponibili.

Le valutazioni incerte e probabilistiche che la Corte di appello ha posto a base del giudizio assolutorio, con riferimento ai dati – altrettanto incerti e fra loro discordanti – offerti dai consulenti tecnici nominati di ufficio, non sono in linea con questi principi.

Una manifesta dimostrazione di negligenza (omessa registrazione di dati rilevanti nella cartella clinica) non è stato affatto preso in considerazione.

La mancata somministrazione di antibiotici prima dell’operazione è stata ritenuta irrilevante, travisando il contenuto di un documento.

L’omessa analisi emocolturale, con la conseguente adozione di medicinali rivelatisi inefficaci, è stata giustificata sulla base di palesi forzature, quali il carattere improbabile del verificarsi di quel tipo di infezione (che peraltro il medico sarebbe tenuto a ipotizzare, considerata la gravità delle conseguenze che ne possono derivare e la facilità dell’adozione dei mezzi di indagine), ed il generico riferimento all’adozione di un criterio empirico epidemiologico, che non costituisce una cura o diagnosi alternativa, ma sembra consistere nella mera, oggettiva giustificazione del comportamento omissivo.

Vale a dire, per ognuno dei quattro capi di imputazione della responsabilità il giudizio assolutorio o manca di ogni motivazione, o si fonda su dati errati, o manifesta l’adozione di criteri di notevole larghezza, nella valutazione della responsabilità: criteri che si potrebbero forse giustificare con riferimento ad un singolo addebito, in un contesto ineccepibile sotto ogni altro profilo. Non quando l’adempimento delle prestazioni sanitarie risulti a dir poco discutibile, od ai limiti dell’accettabile, con riferimento a tutti gli addebiti.

La sentenza impugnata configura, pertanto, la denunciata violazione dell’art. 1174 c.c., comma 2.

4. – Le censure attinenti al capo in cui la Corte di appello ha ritenuto mancante la prova di una seria probabilità che la somministrazione di cure specifiche avrebbe potuto evitare il danno risultano assorbite, dovendo la questione essere riesaminata, in esito alle valutazioni in tema di responsabilità da compiersi dal giudice di rinvio.

5.- In accoglimento del ricorso la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, affinchè decida la controversia con motivazione corretta, completa e adeguata ai principi sopra indicati in tema di adempimento delle prestazioni sanitarie.

6.- Il giudice di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte di cassazione accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA