Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25697 del 15/11/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 25697 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: CHINDEMI DOMENICO

SENTENZA

sul ricorso 9217-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

FAZI CELESTINO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
F. DENZA 20, presso lo studio dell’avvocato ROSA
LAURA, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato DEL FEDERICO LORENZO giusta delega a
margine;

Data pubblicazione: 15/11/2013

- controricorrente

avverso la sentenza n. 38/2008 della COMM.TRIB.REG. di
L’AQUILA, depositata il 20/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/10/2013 dal Consigliere Dott. DOMENICO

udito per il ricorrente l’Avvocato D’ASCIA che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato LAURA ROSA
che si riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

CHINDEMI;

R.G. 9217/2009
Fatto
La Commissione tributaria regionale dell’ Abruzzo, con sentenza n. 39/02/08, depositata il
20.2.2008, accogliendo l’appello incidentale di Fazi Celestino avverso la sentenza della
Commissione tributaria provinciale di L’Aquila n. 128/04/2006 (che aveva parzialmente accolto
l’appello del contribuente avverso l’avviso di irrogazioni sanzioni, a seguito di verbale Inps in data
iscritto nei libri obbligatori, rideterminando la sanzione in relazione al periodo dichiarato dal
lavoratore agli ispettori Inps) annullava la sanzione irrogata dall’Amministrazione Finanziaria,
rilevando trattarsi di lavoratore extracomunitario, sprovvisto di permesso di soggiorno, circostanza
che non avrebbe consentito al datore di lavoro una regolare assunzione.
Proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate deducendo i seguenti motivi:
a) violazione dell’art. 360, n. 1, c.p.c. rilevando, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale
14/5/2008, n. 130, il difetto di giurisdizione del giudice tributario sulle controversie relative alle
sanzioni irrogate dagli uffici finanziari per l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture
obbligatorie;
b) violazione dell’art. 3, comma 3, nel testo vigente ratione temporis, D.L. 22/2/2002, n.12,
convertito con modificazioni in 1. 23/4/2002, n. 73, in relazione all’art. 360, n. tre, c.p.c. rilevando
come, anche in caso di impiego di lavoratore subordinato sprovvisto di permesso di soggiorno,
irregolarmente occupato, il datore di lavoro sia soggetto alla sanzione amministrativa.
L’intimato si è costituito con controricorso nel giudizio di legittimità, presentando anche memoria.
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 2.10.2013, in cui il PG ha concluso come in
epigrafe.
Motivi della decisione
1.In relazione al primo motivo, se è vero infatti che a seguito della sentenza della Corte
Costituzionale n. 130 del 2008, con cui è stata dichiarata la illegittimità costituzionale del D.Lgs. n.
546 del 1992, art. 2 (come sostituito dalla L. n. 448 del 2001, art. 12, comma 2) nella parte in cui
attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative a tutte le sanzioni irrogate dagli
Uffici finanziari, anche quando conseguano a violazione di disposizioni non aventi natura
fiscale(quali quelle in esame), la presente controversia appartiene alla giurisdizione del giudice
ordinario (Cass. S.U. 15846/2008), la pronuncia del giudice delle legge non può incidere su una
situazione già esaurita, quale – nella specie – il giudicato implicito sulla giurisdizione formatosi a
seguito della decisione di merito pronunciata in primo grado e non impugnata in sede d’appello in
punto di difetto di giurisdizione, sebbene tale difetto fosse stato già rilevato dalla Corte
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19.5.2003, ai sensi dell’art. 3 1. 73/2002, per l’impiego di un lavoratore extracomunitario non

Costituzionale con le ordinanze n. 34 e 35 del 2006 e 395/2007, che avevano sottolineato
l’imprescindibile collegamento tra la giurisdizione del giudice tributario e la natura tributaria del
rapporto.
L’interpretazione dell’art. 37 cod. proc. civ., secondo cui il difetto di giurisdizione “è rilevato, anche
d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”, deve tenere conto dei principi di economia
processuale e di ragionevole durata del processo (“asse portante della nuova lettura della norma”),
della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e
essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto
della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. (Cass. Sez. U, Sentenza n.
24883 del 09/10/2008; cfr anche Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2067 del 28/01/2011; Cass. Sez. U,
Sentenza n. 26019 del 30/10/2008; Cass. Sez. U, Sentenza n. 26019 del 30/10/2008;
Il principio costituzionale della durata ragionevole del processo consente,quindi, come nella
fattispecie, di escludere la rilevabilità davanti alla Corte di cassazione, del difetto di giurisdizione
qualora sul punto si sia formato un giudicato implicito, per effetto della implicita pronuncia sul
merito in primo grado e della mancata impugnazione, al riguardo, dinanzi al giudice di appello.
È, quindi, inammissibile l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di
legittimità dalla Agenzia che, parzialmente soccombente nel merito in primo grado, aveva appellato
la sentenza del giudice tributario senza formulare alcuna eccezione sulla giurisdizione, così
ponendo in essere un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire il difetto di
giurisdizione e prestando acquiescenza al capo implicito sulla giurisdizione della sentenza di primo
grado, ai sensi dell’art. 329, comma 2 cod. proc. civ.
È, invece, fondato il secondo motivo di ricorso.
L’art. 3, comma 3, D.L. 222.2002,n. 12, conv. in 1. 23.4.2002,n. 73, vigente ratione temporis,
prevede “ferma restando l’applicazione delle sanzioni previste, l’impiego dei lavoratori dipendenti
non risultanti dalle scritture od altra documentazione obbligatoria, è, altresì, punito con la
sanzione amministrativa dal 200 al 400 percento dell’importo, per ciascun lavoratore irregolare,
del costo del lavoro calcolato sulla base di vigenti contratti collettivi nazionali, per il periodo
compreso fra l’inizio dell’anno e la data di contestazione delle violazioni.
La citata normativa non opera alcun distinguo sulla possibilità o meno di effettuare la
regolarizzazione della posizione del lavoratore dipendente, quindi a prescindere dal permesso di
soggiorno, ai fini della comminazione della sanzione amministrativa.
Anche il lavoratore straniero, privo di permesso di soggiorno può, quindi, essere occupato “in
nero”, indipendentemente dalla possibilità di legittima assunzione.
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dell’affievolirsi dell’idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo

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Né la sanzione penale, prevista in tale circostanza dall’art. 12 D.Igs 286/ 1998, è assorbente di
quelle amministrativa, in mancanza di alcuna disposizione normativa al riguardo.
In conclusione va rigettato il primo motivo di ricorso, accolto il secondo, cassata l’impugnata
sentenza e non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, non essendo stata impugnata la
valutazione del giudice di primo grado che ha rideterminato la sanzione in relazione al periodo
dichiarato dal lavoratore, confermata la sentenza della Commissione tributaria provinciale di
L’Aquila n. 128/04/2006
giusto motivo per la compensazione delle spese dell’ intero giudizio
PQM
Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel
merito, conferma la sentenza della Commissione tributaria provinciale di L’Aquila n. 128/04/2006
Dichiara compensate le spese dell’intero giudizio
Così deciso in Roma, il 2.10.2013

L’evolversi della giurisprudenza in epoca successiva alla presentazione del ricorso costituisce

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