Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25694 del 15/11/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 25694 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: CHINDEMI DOMENICO

SENTENZA

sul ricorso 7180-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

ERCOLANI MARCELLO;
– intimato

avverso la sentenza n. 136/2007 della COMM.TRIB.REG.
di ANCONA, depositata il 01/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Data pubblicazione: 15/11/2013

e-

udienza del 03/10/2013 dal Consigliere Dott. DOMENICO
CHINDEMI;
udito per il ricorrente l’Avvocato D’ASCIA che si
riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

.:

R.G. 7180/2009
Fatto
La Commissione tributaria regionale delle Marche, con sentenza n. 136/02/07, depositata il
1.2.2008, in riforma della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Pesaro
191/0572005, annullava, nei confronti nei confronti di Ercolani Marcello, legale rappresentante
della società Free Style di Ercolani Marcello & C. s.n.c., esercente l’attività di commercio al
dettaglio di articoli sportivi, l’avviso di irrogazioni sanzioni, a seguito di ispezione Inps in data

nei libri obbligatori.
Proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate deducendo i seguenti motivi:
a) violazione dell’art. 360, n. 1, c.p.c. rilevando, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale
14/5/2008, n. 130, il difetto di giurisdizione del giudice tributario sulle controversie relative alle
sanzioni irrogate dagli uffici finanziari per l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture
obbligatorie;
b) violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 3, nel testo vigente ratione temporis, D.L.
22/2/2002, n.12, convertito con modificazioni in 1. 23/4/2002, n. 73„ in relazione all’art. 360, n. tre,
c.p.c.,rilevando come, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 14472005, era onere del
datore di lavoro produrre documentazione idonea a provare che i lavoratori sorpresi a lavorare
presso di lui non erano suoi dipendenti, ritenendo irrilevanti, ai fini probatori, le dichiarazioni rese
dalla lavoratrice stessa agli ispettori Inps;
c) violazione dell’ art. 2700 cc, in relazione all’art. 360, n. tre, c.p.c.,non avendo fornito il datore di
lavoro alcuna prova circa il giorno in cui il lavoratore irregolare ha effettivamente iniziato a
lavorare presso la stessa, non potendo assurgere al valore di confessione la dichiarazione resa dalla
lavoratrice agli ispettori Inps;
d) insufficiente motivazione circa un punto decisivo e controverso, in relazione all’art. 360, n.
cinque, c.p.c.„ non avendo fornito il datore di lavoro alcuna prova sull’effettiva durata del rapporto.
L’intimato non ha svolto attività difensiva.
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 2.10.2013, in cui il PG ha concluso come in
epigrafe.
Motivi della decisione
1. In relazione al primo motivo, se è vero infatti che a seguito della sentenza della Corte
Costituzionale n. 130 del 2008, con cui è stata dichiarata la illegittimità costituzionale del D.Lgs. n.
546 del 1992, art. 2 (come sostituito dalla L. n. 448 del 2001, art. 12, comma 2) nella parte in cui
attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative a tutte le sanzioni irrogate dagli
1

31.8.2004, ai sensi dell’art. 3 1. 73/2002, per l’impiego di una lavoratrice subordinata non iscritta

Uffici finanziari, anche quando conseguano a violazione di disposizioni non aventi natura
fiscale(quali quelle in esame), la presente controversia appartiene alla giurisdizione del giudice
ordinario (Cass. S.U. 15846/2008), la pronuncia del giudice delle legge non può incidere su una
situazione già esaurita, quale – nella specie – il giudicato implicito sulla giurisdizione formatosi a
seguito della decisione di merito pronunciata in primo grado e non impugnata in sede d’appello in
punto di difetto di giurisdizione, sebbene tale difetto fosse stato già rilevato dalla Corte
Costituzionale con le ordinanze n. 34 e 35 del 2006 e 395/2007, che avevano sottolineato
rapporto.
L’interpretazione dell’art. 37 cod. proc. civ., secondo cui il difetto di giurisdizione “è rilevato, anche
d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”, deve tenere conto dei principi di economia
processuale e di ragionevole durata del processo (“asse portante della nuova lettura della norma”),
della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e
dell’affievolirsi dell’idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo
essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto
della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. (Cass. Sez. U, Sentenza n.
24883 del 09/10/2008; cfr anche Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2067 del 28/01/2011; Cass. Sez. U,
Sentenza n. 26019 del 30/10/2008; Cass. Sez. U, Sentenza n. 26019 del 30/10/2008;
Il principio costituzionale della durata ragionevole del processo consente,quindi, come nella
fattispecie, di escludere la rilevabilità davanti alla Corte di cassazione, del difetto di giurisdizione
qualora sul punto si sia formato un giudicato implicito, per effetto della implicita pronuncia sul
merito in primo grado e della mancata impugnazione, al riguardo, dinanzi al giudice di appello.
È, quindi, inammissibile l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di
legittimità dalla Agenzia che, soccombente nel merito in primo grado, aveva appellato la sentenza
del giudice tributario senza formulare alcuna eccezione sulla giurisdizione, così ponendo in essere
un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire il difetto di giurisdizione e prestando
acquiescenza al capo implicito sulla giurisdizione della sentenza di primo grado, ai sensi dell’art.
329, comma 2 cod. proc. civ.
2. Gli ulteriori motivi, stante la loro connessione logica, sono essere esaminati congiuntamente.
La sentenza della Corte Cost. 12.4.2005 n. 144 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, in
relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, l’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 1992,
n. 12, convertito in legge dall’art. 1 della legge 23 aprile 2002, n. 72, nella parte in cui non ammette
la possibilità di provare che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al
primo gennaio dell’anno in cui è stata constatata la violazione.
2

l’imprescindibile collegamento tra la giurisdizione del giudice tributario e la natura tributaria del

L’irrogazione della sanzione prevista dall’art. 3, comma 3, del d.l. 22 febbraio 2002, n. 12, conv. in
legge 23 aprile 2002, n. 73 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 36 bis del d.l. 4
luglio 2006, n. 223, conv. in legge 24 agosto 2006, n. 248) non richiede, da parte
dell’Amministrazione, alcun onere di dimostrare l’effettiva durata del rapporto di lavoro irregolare,
essendo sufficiente il mero accertamento dell’esecuzione di prestazione lavorativa da parte di
soggetto che non risulti da scritture o da altra documentazione obbligatoria.
È, invece, specifico onere del datore di lavoro dimostrare l’effettiva durata della prestazione
compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione (Sez. 5, Sentenza n. 21778
del 20/10/2011)
Fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dall’art. 7 del d.lgs. 31
dicembre 1992, n. 546, nel processo tributario, sussiste il potere di introdurre, per entrambe le parti,
dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale – con il valore probatorio proprio degli elementi
indiziari, i quali, possono concorrere a formare il convincimento del giudice, per garantire il
principio della parità delle armi processuali nonché l’effettività del diritto di difesa.
I verbali di accertamento dell’ispettorato del lavoro e dei funzionari ispettivi degli enti previdenziali,
in materia di omesso versamento di contributi, fanno fede, fino a querela di falso, sulla loro
provenienza dal pubblico ufficiale che li ha formati, nonchè sui fatti che il medesimo attesti
avvenuti in sua presenza o da lui compiuti e possono,altresì, fornire utili elementi di giudizio,
liberamente apprezzabili, in ordine agli altri fatti che i verbalizzanti abbiano dichiarato di aver
desunto o attinto dall’inchiesta da essi svolta, ivi comprese le dichiarazioni di terzi tra cui vanno
ricomprese anche le dichiarazioni dei lavoratori oggetto di indagine ispettiva. (Cass. Sez. L,
Sentenza n. 14158 del 02/10/2002)
Peraltro il verbale ispettivo da contezza unicamente della situazione riscontrata dagli ispettori al
momento dell’accesso e non è finalizzato a individuare la durata dell’illecito ai fini della sanzione
in questione, stante la presunzione (relativa) di retrodatazione dell’assunzione (superabile dal
datore di lavoro), essendovi una evidente differenza tra i comparti normativi che regolano il
recupero dei contributi previdenziali, la repressione degli illeciti connessi all’assunzione e le
sanzioni di contrasto alla c.d economia sommersa.
Tuttavia non è sufficiente a provare la data di inizio del rapporto di lavoro la sola dichiarazione del
dipendente, in mancanza di ulteriori elementi di prova che facciano ritenere plausibile tale
affermazione, apparendo la motivazione sopra riportata del tutto insufficiente a dimostrare la data
di effettivo inizio del rapporto di lavoro (cfr Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1960 del 10/02/2012)

3

lavorativa per evitare che l’entità della sanzione pecuniaria sia determinata “ex lege”, “per il periodo

Nella fattispecie non emergono elementi probatori ulteriori rispetto alle dichiarazioni dei lavoratori
o della parte stessa
In conclusione, va rigettato il primo motivo di ricorso, accolti gli altri, cassata l’impugnata sentenza
e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., rigettato l’originario
ricorso introduttivo della società.
L’evolversi della giurisprudenza in epoca successiva alla presentazione del ricorso costituisce
giusto motivo per la compensazione delle spese dell’intero giudizio
Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie gli altri, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel
merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente
Dichiara compensate le spese dell’intero giudizio
Così deciso in Roma, il 3.10.2013

PQM

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