Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25694 del 14/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 14/12/2016, (ud. 22/11/2016, dep.14/12/2016),  n. 25694

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20231-2010 proposto da:

B.L. in proprio, CIRCOLO NUOVA FATA MORGANA in persona del

Presidente, D.L.V. in proprio e quale associata del

Circolo predetto, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI MONTI

PARIOLI 48, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARINI, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORIS TOSI giusta

delega a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

nonchè contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI VICENZA (OMISSIS) in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 68/2009 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 14/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/2016 dal Consigliere Dott. MARULLI MARCO;

udito per i ricorrenti l’Avvocato MARINI che ha chiesto la cessata

materia del contendere;

udito per il resistente l’Avvocato MADDALO che ha chiesto per i primi

sei motivi l’estinzione, per l’ultimo il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MASELLIS MARIELLA che ha concluso per la cessazione della materia

del contendere, l’inammissibilità e in subordine il rigetto del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1.1. Con sentenza in data 10.11.2009 la CTR Veneto, in riforma della decisione di primo grado, ha ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento, nonchè il correlativo atto di contestazione delle sanzioni, notificati al Circolo Nuova Fata Morgana nonchè per “trasparenza” ai dirigenti del medesimo, B.L. e D.L.V., con cui l’ufficio di Vicenza dell’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che l’attività disimpegnata dal circolo in veste di associazione non riconosciuta costituisse attività commerciale ed in ragione di ciò aveva proceduto a rideterminarne induttivamente il reddito di impresa delle parti per gli anni 2003 e 2004.

La CTR, a conferma dei rilievi dell’ufficio, ha previamente affermato la natura di società di fatto del sodalizio in quanto l’associazione, costituita tra il B. e la D.L., “di fatto non è mai esistita essendo soltanto enunciata nell’atto costitutivo al fine di godere dei benefici fiscali previsti per le associazioni”; e circa i costi ammessi in deduzione dal giudice di prime cure ha osservato che “in assenza delle scritture contabili obbligatorie non è possibile una semplice deduzione dei costi esposti dal contribuente” dovendo procedersi alla loro determinazione induttiva ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, sulla base dei dati e delle notizie comunque acquisiti dall’ufficio, mentre riguardo all’IVA “possono essere computati in detrazione solo i versamenti eseguiti dal contribuente ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, commi 1 e 2”.

1.2. Avverso la detta decisione il Circolo insta questa Corte per la sua cassazione sulla base di cinque motivi, ai quali non ha replicato l’Agenzia pur riservandosi di partecipare all’udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

1.3. Nelle more dell’odierna udienza di discussione l’Agenzia delle Entrate ha depositato comunicazione intesa a conseguire l’estinzione del giudizio limitatamente agli avvisi di accertamento oggetto di ricorso in considerazione dell’intervenuta definizione della lite a mente del D.L. n. 98 del 2011, art. 39 comma 12.

1.4. La parte ha quindi chiesto con memoria ex art. 378 c.p.c. che si dia atto dell’intervenuta estinzione della lite quanto agli avvisi di accertamento e si dichiari altresì la conseguente inefficacia dell’atto di contestazione delle sanzioni.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Preso atto della citata comunicazione dall’Agenzia delle Entrate, va previamente dichiarata, quanto agli avvisi di accertamento oggetto di impugnazione, l’estinzione del giudizio per intervenuta cessazione della materia del contendere a mente della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 8, richiamato dal citato D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, ed, in uno con essa, va disposta la compensazione delle spese di lite ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46 e la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata in quanto l’avvenuta composizione della controversia, per il venir meno di ragioni di contrasto fra i contendenti, impone la rimozione delle decisioni emesse non più attuali, perchè inidonee a regolare il rapporto fra le parti (Cass. 19533/11).

2.2. Contrariamente a quanto preteso dalle parti gli effetti estintivi della definizione della lite intervenuta riguardo agli avvisi di accertamento non si comunicano pure all’atto di contestazione delle sanzioni, decretandone, come richiesto, l’inefficacia e ciò per l’ostativo disposto che si ricava dalla L. n. 289 del 2002, art. 16, commi 3, lett. a) e b) e art. 4, – cui rinvia il citato art. 39 – in ragione dei quali la lite inerente le sanzioni è una lite autonoma rispetto a quella concernente gli avvisi e necessita ai fini della sua definizione l’attivazione di un’autonoma procedura di condono.

3.1. Persistendo dunque la lite riguardo alle sanzioni, va detto che con il primo ed il secondo motivo di ricorso gli impugnanti deducono, nell’ordine, un vizio di insufficiente motivazione ed un vizio di contraddittoria ed insufficiente motivazione poichè, sebbene da essi si fosse ribadito che la natura di associazione non riconosciuta del Circolo fosse testimoniata dalla sussistenza nella specie dei presupposti fiscalmente rilevanti ai sensi dell’art. 148 Tuir, la CTR aveva ricusato siffatta qualificazione in favore di quella di società di fatto limitandosi in ciò ad “un’enunciazione di principio” senza illustrare “sulla base di quali elementi il Circolo dovesse essere considerato società di fatto” (primo motivo) e non spiegando “per quale motivo il Circolo dovesse perdere la qualifica di ente commerciale” (secondo motivo).

3.2. Entrambi i motivi – che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente avvinti – sono infondati.

Essi non evidenziano invero alcuna lacuna o anomalia logica che induca a ravvisare il lamentato errore di giudizio nel ragionamento decisorio sviluppato dal decidente a supporto della decisione, che non si presta perciò a revisione di sorta in questa sede sulla base delle operate allegazioni atteso che esse, pur in disparte dalla loro genericità, limitandosi in buona sostanza a postulare la rinnovazione dell’apprezzamento di merito già esperito nelle pregresse fasi processuali, non confutano sul piano della coerenza logica il fondamentale asserto enunciato dal giudice d’appello osservando che risulta acclaramento di fatto incensurato in senso sostanziale che “le clausole dello statuto associativo non hanno mai trovato applicazione avendo il circolo sempre svolto attività commerciale senza alcun vincolo associativo fra i dirigenti e gli associati in realtà semplice frequentatori ed avventori del locale”.

4.1.1. Il terzo motivo di ricorso allega un errore di diritto nell’applicazione dell’art. 2709 c.c., poichè, contrariamente a quanto affermato dal giudice d’appello circa l’indeducibilità nella specie dei costi, “l’ufficio prima ed i giudici di seconde cure poi avrebbero dovuto tenere conto non solo dei ricavi desumibili dai prospetti fiscali, ma anche dei costi in essi riportati” e ciò in ossequio al principio, derivante dalla norma in indirizzo secondo cui chi vuole trarre vantaggio dalle scritture contabili dell’impresa – cui vanno assimilati anche i documenti rappresentativi di una contabilità in nero – non può scinderne il contenuto.

4.1.2. Parimenti con il quarto motivo si censura l’impugnata sentenza per violazione dell’art. 109 Tuir e per violazione dell’art. 53 Cost., in quanto la CTR, pronunciandosi nei riferiti termini quanto ai costi deducibili, non si è attenuta al disposto della prima delle norme citate che “consente di dedurre i costi non contabilizzati purchè questi siano afferenti ai ricavi e risultino da elementi certi e precisi” ed ha ignorato la seconda, in quanto il principio di capacità contributiva postula che il calcolo del carico fiscale sia determinato “in base al maggior reddito (e quindi sulla base della differenza fra ricavi e i costi) e non soltanto sulla base dei maggiori ricavi”.

4.2. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Ricordato invero che l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, che di detto principio costituisce la consacrazione normativa, prevede che il ricorso per cassazione debba contenere a pena di inammissibilità “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” e che in forza di quanto affermato da questa Corte (7558/15; 27042/14; 26174/14) la prescrizione va intesa nel senso che il ricorrente deve indicare non solo esattamente in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento, ma deve riprodurre esattamente il contenuto trascrivendolo o riassumendolo nel motivo di ricorso, nella specie la rappresentazione dei motivi in disamina si rivela palesemente lacunosa poichè, salvo lamentare, quanto al terzo motivo, che l’ufficio non avrebbe tenuto conto dei costi repertati nell’allegato al p.v.c. che li compendiava in un ammontare globale e non meglio specificato e salvo procedere ad una lunga elencazione di voci genericamente dedotte come rappresentative di spese senza alcuna altra precisazione in grado di soddisfare i criteri di riconoscibilità di cui all’art. 109 Tuir, la parte si astiene dall’offrire qualsiasi ulteriore ragguaglio che consenta di scrutinare scientemente il deliberato in parte qua, segnatamente alla luce del principio enunciato più volte da questa Corte secondo cui la deducibilità dei costi, anche quando alla determinazione del reddito si provveda induttivamente, è consentita ove essi siano documentati e ne sia così consentita la sindacabilità in termini di inerenza, effettività, certezza e determinabilità.

5.1. Con il quinto motivo di ricorso i ricorrenti si dolgono della violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 1 e dell’art. 19, vero che, contrariamente a quanto affermato dal giudice territoriale in ordine all’indetraibilità dell’IVA, la giurisprudenza ha riconosciuto la possibilità di detrarre l’IVA sugli acquisti non soltanto quando tale IVA risulti dalle liquidazioni periodiche “ma anche quando l’IVA sugli acquisti risulti da altri mezzi probatori” ove il contribuente sia – come qui, non essendo il Circolo in ragione della sua natura di associazione non riconosciuta, tenuto ad adempimento alcuno in materia di IVA – “incolpevolmente impossibilitato a produrre la documentazione richiesta” e la prova dell’IVA detraibile risulti “da elementi probatori compatibili con la disciplina dell’imposta” quali nella specie devono intendersi le fatture di acquisto.

5.2. Il motivo è infondato.

Come rettamente ricordato dalla deducente alla stregua dell’arresto costituzionale 115/97 – e di seguito della conforme giurisprudenza di questa Corte (5182711; 21233/06; 10174/05) – l’accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, non comporta automaticamente la perdita del diritto alla detrazione dell’IVA assolta per rivalsa sugli acquisiti di beni e servizi in quanto l’onere di provare i crediti vantati per la suddetta imposta può essere adempiuto con le modalità previste dall’art. 2724 c.c. e, quindi, con altri mezzi atti a dimostrare le operazioni che il contribuente stesso assume produttive di dette posizioni creditorie, ciò a però a condizione che l’impossibilità allegata dal contribuente di provare con i mezzi ordinari l’IVA assolta in rivalsa sia conseguenza di un comportamento incolpevole.

Nella specie difetta peraltro palesemente questa condizione in quanto le parti non possono invocare a propria scusante e pretendere perciò di essere incolpevolmente impossibilitate a documentare l’IVA a credito sul presupposto che il regime fiscale corrispondente allo statuto associativo da loro adottato non li obbligava alla registrazione delle relative operazioni, dal momento che, come già si è affermato in relazione al primo ed al secondo motivo di ricorso, la dedotta impossibilità era tutt’altro che incolpevole avendo essi deciso di esercitare un’attività imprenditoriale, che è ex lege fonte di operazioni imponibili, sotto la veste solo apparente dell’associazione non riconosciuta, ponendosi perciò essi stessi del tutto volontariamente nella condizione oggi invocata come impossibilità incolpevole.

6. Il ricorso, riguardo all’atto di contestazione delle sanzioni, va dunque respinto e le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione dichiara estinto il giudizio per intervenuta cessazione della materia del contendere quanto agli avvisi di accertamento oggetto di impugnativa cassa l’impugnata sentenza senza rinvio nei limiti della dichiarata estinzione e compensa le spese;

respinge il ricorso quanto all’atto di contestazione ed irrogazione delle sanzioni e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 3000,00= oltre eventuali spese prenotate a debito ed eventuali accessori.

Cosi deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 5 sezione civile il 2 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2016

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