Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25692 del 15/11/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 25692 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: CHINDEMI DOMENICO

SENTENZA

sul ricorso 7171-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

2013
2687

FRANZO PAOLO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA F.
GALIANI 68, presso lo studio dell’avvocato SELICATO
PIETRO, che lo rappresenta e difende giusta delega in
calce;
– resistente –

Data pubblicazione: 15/11/2013

avverso la sentenza n. 96/2007 della COMM.TRIB.REG. di
MILANO, depositata il 04/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/10/2013 dal Consigliere Dott. DOMENICO
CHINDEMI;

chiesto l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udito per il ricorrente l’Avvocato ZERMAN che ha

R.G. 7171/2009
Fatto
La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 96/40/07, depositata il
4.2.2008, confermava la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano
122743/2006,che aveva annullato, nei confronti nei confronti di dell’avv. Franzo Paolo l’avviso di
irrogazioni sanzioni, a seguito di ispezione Inps in data 23.9.2004, ai sensi dell’art. 3 1. 73/2002,
sanzione per il periodo 1 settembre- 23 settembre 2004, in base alle dichiarazioni rilasciate agli
ispettori Inps dalla stessa lavoratrice.
Proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate deducendo i seguenti motivi:
a) violazione dell’art. 360, n. 1, c.p.c. rilevando, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale
14/5/2008, n. 130, il difetto di giurisdizione del giudice tributario sulle controversie relative alle
sanzioni irrogate dagli uffici finanziari per l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture
obbligatorie;
b) violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 3, nel testo vigente ratione temporis, D.L.
22/2/2002, n.12, convertito con modificazioni in 1. 23/4/2002, n. 73, in combinato disposto con
l’art. 2697 cc, in relazione all’art. 360, n. tre, c.p.c.,rilevando come, a seguito della sentenza della
Corte Costituzionale n. 14472005, era onere del datore di lavoro produrre documentazione idonea a
provare che i lavoratori sorpresi a lavorare presso di lui non erano suoi dipendenti, ritenendo
irrilevanti, ai fini probatori, le dichiarazioni rese dalla lavoratrice stessa agli ispettori Inps;
c) violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 3, nel testo vigente ratione temporis, D.L.
22/2/2002, n.12, convertito con modificazioni in 1. 23/4/2002, n. 73, in combinato disposto con gli
artt. 2697, 2700, 2727, 2728, 2730 cc, in relazione all’art. 360, n. tre, c.p.c.,non avendo fornito il
datore di lavoro alcuna prova circa il giorno in cui il lavoratore irregolare ha effettivamente iniziato
a lavorare presso la stessa, non potendo assurgere al valore di confessione la dichiarazione resa
dalla lavoratrice agli ispettori Inps;
d) omessa motivazione circa un punto decisivo il controverso, in relazione all’art. 360, n. cinque,
c.p.c., con riferimento all’effettiva durata del rapporto di lavoro ( dal 1 settembre 2004 e fino al 23
settembre 2004), non avendo fornito il datore di lavoro alcuna prova sull’effettiva durata del
rapporto.
L’intimato non ha svolto attività difensiva.
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 2..10.2013, in cui il PG ha concluso come in
epigrafe.
1

per l’impiego di una lavoratrice subordinata non iscritto nei libri obbligatori, rideterminando la

Motivi della decisione
1. In relazione al primo motivo, se è vero infatti che a seguito della sentenza della Corte
Costituzionale n. 130 del 2008, con cui è stata dichiarata la illegittimità costituzionale del D.Lgs. n.
546 del 1992, art. 2 (come sostituito dalla L. n. 448 del 2001, art. 12, comma 2) nella parte in cui
attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative a tutte le sanzioni irrogate dagli
Uffici finanziari, anche quando conseguano a violazione di disposizioni non aventi natura
fiscale(quali quelle in esame), la presente controversia appartiene alla giurisdizione del giudice

situazione già esaurita, quale – nella specie – il giudicato implicito sulla giurisdizione formatosi a
seguito della decisione di merito pronunciata in primo grado e non impugnata in sede d’appello in
punto di difetto di giurisdizione, sebbene tale difetto fosse stato già rilevato dalla Corte
Costituzionale con le ordinanze n. 34 e 35 del 2006 e 395/2007, che avevano sottolineato
l’imprescindibile collegamento tra la giurisdizione del giudice tributario e la natura tributaria del
rapporto.
L’interpretazione dell’art. 37 cod. proc. civ., secondo cui il difetto di giurisdizione “è rilevato, anche
d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”, deve tenere conto dei principi di economia
processuale e di ragionevole durata del processo (“asse portante della nuova lettura della norma”),
della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e
dell’affievolirsi dell’idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo
essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto
della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. (Cass. Sez. U, Sentenza n.
24883 del 09/10/2008; cfr anche Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2067 del 28/01/2011; Cass. Sez. U,
Sentenza n. 26019 del 30/10/2008; Cass. Sez. U, Sentenza n. 26019 del 30/10/2008;
Il principio costituzionale della durata ragionevole del processo consente,quindi, come nella
fattispecie, di escludere la rilevabilità davanti alla Corte di cassazione, del difetto di giurisdizione
qualora sul punto si sia formato un giudicato implicito, per effetto della implicita pronuncia sul
merito in primo grado e della mancata impugnazione, al riguardo, dinanzi al giudice di appello.
È, quindi, inammissibile l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di
legittimità dalla Agenzia che, soccombente nel merito in primo grado, aveva appellato la sentenza
del giudice tributario senza formulare alcuna eccezione sulla giurisdizione, così ponendo in essere
un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire il difetto di giurisdizione e prestando
acquiescenza al capo implicito sulla giurisdizione della sentenza di primo grado, ai sensi dell’art.
329, comma 2 cod. proc. civ.
2. Gli ulteriori motivi, stante la loro connessione logica, sono essere esaminati congiuntamente.
2

ordinario (Cass. S.U. 15846/2008), la pronuncia del giudice delle legge non può incidere su una

In relazione all’ultimo motivo va,comunque, preliminarmente rilevata la mancanza del quesito di
diritto, con conseguente inammissibilità dello stesso.
L’ art. 3, comma 3, D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, (nel testo originario, introdotto dalla Legge di
Conversione 23 aprile 2002 n. 73, applicabile alla specie ratione temporis), è stata dichiarato
incostituzionale, per “lesione del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost.”, dalla competente
Corte (sentenza 12 aprile 2005 n. 144) “nella parte in cui non consente al datore di lavoro di provare
che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al primo gennaio dell’anno in

Tale norma è stato introdotta per inasprire ulteriormente il trattamento sanzionatorio per coloro che
continuino ad impiegare lavoratori irregolarmente, nonostante le agevolazioni di varia natura colte
ad incentivare l’emersione del lavoro sommerso. Il predetto meccanismo presuntivo esclude
qualsiasi obbligo dell’ente, che irroga la sanzione, di provare l’effettiva prestazione di attività
lavorativa subordinata per il periodo intermedio compreso tra il giorno di accertamento
dell’infrazione ed il primo gennaio dello stesso anno e prescrive al medesimo ente di commisurare
la sanzione a quella durata, fino a prova contraria, facente carico all’autore della violazione. (Cass.
Sez. U, del 13/01/2010 n. 356)
Non opera più, a seguito della citata sentenza della Corte Costituzionale n. 144/2005, il diverso
meccanismo di determinazione della sanzione fondato su una presunzione assoluta, divenuta
relativa, comminandosi la sanzione in base al tempo intercorso tra l’inizio dell’anno e la
constatazione della violazione, fatta salva la prova contraria da parte del datore di lavoro
I verbali di accertamento dell’ispettorato del lavoro e dei funzionari ispettivi degli enti previdenziali,
in materia di omesso versamento di contributi, fanno fede, fino a querela di falso, sulla loro
provenienza dal pubblico ufficiale che li ha formati, nonche sui fatti che il medesimo attesti
avvenuti in sua presenza o da lui compiuti e possono,altresi, fornire utili elementi di giudizio,
liberamente apprezzabili, in ordine agli altri fatti che i verbalizzanti abbiano dichiarato di aver
desunto o attinto dall’inchiesta da essi svolta, ivi comprese le dichiarazioni di terzi tra cui vanno
ricomprese anche le dichiarazioni dei lavoratori oggetto di indagine ispettiva. (Cass. Sez. L,
Sentenza n. 14158 del 02/10/2002)
Peraltro il verbale ispettivo da contezza unicamente della situazione riscontrata dagli ispettori al
momento dell’accesso e non è finalizzato a individuare la durata dell’illecito ai fini della sanzione
in questione, stante la presunzione (relativa) di retrodatazione dell’assunzione (superabile dal
datore di lavoro), essendovi una evidente differenza tra i comparii normativi che regolano il
recupero dei contributi previdenziali, la repressione degli illeciti connessi all’assunzione e le
sanzioni di contrasto alla c.d economia sommersa.
3

cui è stata constatata la violazione”.

Non è, quindi, sufficiente a provare la data di inizio del rapporto di lavoro la sola dichiarazione del
dipendente, in mancanza di ulteriori elementi di prova che facciano ritenere plausibile tale
affermazione, apparendo la motivazione sopra riportata del tutto insufficiente a dimostrare la data
di effettivo inizio del rapporto di lavoro (cfr Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1960 del 10/02/2012)
Nella fattispecie non emergono elementi probatori ulteriori rispetto alle dichiarazioni dei lavoratori
o della parte stessa
In conclusione, va rigettato il primo motivo di ricorso, accolti gli altri, cassata l’impugnata
c.p.c., rigettato il ricorso introduttivo.
L’evolversi della giurisprudenza in epoca successiva alla presentazione del ricorso costituisce
giusto motivo per la compensazione delle spese dell’intero giudizio
PQM
Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie gli altri, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel
merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente
Dichiara compensate le spese dell’intero giudizio
Così deciso in Roma, il E10.2013

sentenza e non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 comma secondo,

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