Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25692 del 14/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 14/12/2016, (ud. 21/11/2016, dep.14/12/2016),  n. 25692

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25426/2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INDUSTRIA ITALIANA PISTONI DI P.G. nella persona del

titolare, G.S., GR.PA. in proprio e nella qualità

di ex Soci della predetta Società, elettivamente domiciliati in

ROMA LARGO SOMALIA 67, presso lo studio dell’avvocato RITA GRADARA,

rappresentati e difesi dall’avvocato GAETANO SIGNORIELLO giusta

delega in calce;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 61/2011 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 16/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/11/2016 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per i controricorrenti l’Avvocato GRADARA per delega

dell’Avvocato SIGNORIELLO che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione e il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con tre distinti avvisi di accertamento notificati il 29.11.2006 l’ufficio di Reggio Emilia dell’Agenzia delle Entrate provvedeva a rettificare per l’anno 2003 il reddito di impresa della s.a.s. Industria Italiana Pistoni di P.G. & C., nonchè i redditi imputati ai soci per trasparenza, in applicazione degli studi di settore.

La sentenza di primo grado favorevole alle parti era appellata dall’ufficio avanti alla CTR Emilia Romagna che, con la decisione in epigrafe rigettava, per quanto di interesse, il gravame e confermava il deliberato di prima istanza affermando, sulla premessa che gli studi di settore sono fonte di una presunzione semplice e che l’accertamento di un maggior debito fiscale non può fondarsi solo sulle loro risultanze, che l’ufficio, nella predisposizione degli atti, “non ha fornito idonee allegazioni anche presuntive, dotate dei caratteri della gravità, della precisione e concordanza in grado di avvalorare le risultanze degli studi di settore applicati” ed in particolare, “non ha dato conto nella fattispecie trattata di elementi idonei alla configurazione di un maggiore reddito in capo al contribuente” non avendo infatti considerato il ricorso per sei mesi alla cassa integrazione, il mutamento della compagine clientelare ed il ribasso dei prezzi di listino.

Peraltro, soggiungeva il giudicante, nella specie gli atti in parola erano “stati notificati prima del termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7” senza che l’amministrazione desse conto delle ragioni di particolare e motivata urgenza che legittimano la notifica ante tempus.

Avverso la detta sentenza interpone ricorso a questa Corte la soccombente Agenzia sulla base di tre motivi cui replica la parte con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Osservato preliminarmente che la decisione è retta da una duplicità di ratio in quanto come si evince dalla trascritta narrativa di fatto la CTR ha inteso respingere il gravarne erariale sulla base della convinzione che gli studi di settore non sono probatoriamente autosufficienti, sicchè l’ufficio che li utilizzi a fini accertativi sarebbe tenuto a dar conto di altri “elementi idonei alla configurazione di un maggior reddito in capo al contribuente”, a cui ha fatto seguire, in chiave parimenti ostativa, la notazione che gli atti impugnati sono stati notificati prima del termine previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per i noti effetti caducatori, reputa il collegio che, in considerazione dell’assorbente efficacia che ciascuna autonoma ratio esplica rispetto ad ogni altro motivo di impugnazione, debba essere esaminato preliminarmente in ragione della sua pregiudizialità logica lungo la scala decisionale il secondo motivo di ricorso.

2.2. Con esso l’Agenzia delle Entrate lamenta l’errore di diritto in cui è incorso il giudice d’appello nel dare applicazione alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in quanto, contrariamente a quanto statuito da questi, la norma richiamata non era applicabile nel caso di specie “in quanto nella fase del contraddittorio la società ha potuto difendersi in maniera esaustiva, per cui non risultano in alcun modo violai i diritti del contribuente”.

2.3. Il motivo è infondato.

Essendovi stato, invero, pacificamente, accesso dei verificatori presso i locali dell’impresa al fine, come riferisce la deducente dell’acquisizione degli elementi rilevanti in funzione dell’applicazione degli studi di settore ed essendosi altrettanto pacificamente provveduto nella specie all’esito a rilasciare alla parte, notificandoglielo, in data 2 novembre 2006 processo verbale di constatazione, la specie ricade, come già rilevato dal giudice d’appello – verrebbe da dire del tutto pacificamene – sotto il dettato della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, giusta il quale “nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”. E come questa Corte ha già avuto occasione di statuire a SS.UU. (18184/13) ove – come nel caso di specie, dove l’avviso di accertamento è stato notificato il 29.11.2006 – l’atto impositivo che faccia seguito all’accesso sia notificato prima del decorso del ricordato termine dilatorio, l’inosservanza di detto “determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus”, onde nel caso di specie rettamente la CTR ha provveduto a dichiarare la nullità dei citati atti impositivi.

2.4. Nè vale obiettare in contrario che essendo stato attivato il contraddittorio in seguito alla proposta di accertamento inoltrata al contribuente dall’ufficio a seguito dell’applicazione degli studi di settore, essendo in tal modo soddisfatte le garanzie difensive sottese alla previsione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non sussisterebbe perciò la necessità di osservare il predetto termine dilatorio, in quanto nella fase che segue all’inoltro della proposta il confronto che costituisce condicio sine qua non ai fini della legittimità dell’accertamento standardizzato, il contribuente avrebbe modo di esplicare nel modo più ampio quelle stesse difese a garanzie delle quali è posto l’intervallo temporale dell’art. 12 citato. L’argomento, ancorchè non privo di apparente sostegno nella giurisprudenza di questa Corte – in tal senso si orienterebbe Cass. 7960/13 se non si dovesse notare che in quel caso l’accertamento operato in base agli studi di settore non era stato preceduto da alcun accesso e che il ricorrente si lagnava dell’inosservanza del termine di cui all’art. 12 citato rispetto al verbale di contraddittorio – non è pertinente, poichè nel caso che ne occupa, è, come si visto del tutto, pacifico che vi sia stato un pregresso accesso presso i locali aziendali, a nulla rilevando che poi sia stato attivato il contraddittorio obbligatorio ai fini di rendere operativi gli studi di settore, in quanto nel caso di accesso l’osservanza del termine è come affermato dalle SS.UU. adempimento ineludibile essendo primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed essendo diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Ragionando diversamente ovvero ritenendo, come erroneamente propala la ricorrente, che il termine possa essere eluso in caso di contraddittorio finalizzato all’accertamento standardizzato, comporta, come ha riconosciuto il citato precedente di questa Corte, “una commistione di normative aventi ambiti applicativi del tutto distinti”, operando un’impropria sovrapposizione di norme che non hanno nulla in comune se non la mera inerenza all’istituto del contraddittorio endoprocedimentale.

3. L’infondatezza del motivo fa salva la seconda ratio decidendi che sorregge l’impugnata sentenza e rende perciò superfluo per il ricordato insegnamento di questa Corte secondo cui “nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure” (SS.UU. 16602/05), la disamina degli ulteriori motivi di ricorso atteso che, quand’anche questi dovessero risultare fondati, la decisione potrebbe sempre contare sulla ratio non censurata.

5. Il ricorso va dunque respinto e la soccombenza regola le spese.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 4500,00, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 21 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2016

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