Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25692 del 13/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 13/11/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 13/11/2020), n.25692

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15175 – 2019 proposto da:

FALLIMENTO L. SPA, in persona del Curatore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato LUIGI ANDREA COSATTINI;

– ricorrente –

contro

L.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NOMENTANA,

78, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO SPAGNUOLO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati SIDO BONFATTI,

GIGLIOLA IOTTI;

– controricorrente –

avverso il decreto R.G. 5572/2018 del TRIBUNALE di BOLOGNA,

depositato il 09/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott.

MARGHERITA MARIA LEONE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Bologna con decreto n. 1249/2018 aveva accolto l’opposizione di L.E. alla esclusione del proprio credito dallo stato passivo del Fallimento L. spa, ritenendo provata la pregressa sussistenza del rapporto di lavoro subordinato tra la L. e la società L. spa.. Il Tribunale aveva ritenuto che l’esistenza del rapporto di lavoro fosse attestata dalla formalizzazione del rapporto di lavoro dipendente, dal conseguente trattamento e dalla circostanza che la stessa L. fosse stabilmente inserita nell’attività di lavoro della società, a ciò non ostando l’inserimento della stessa nel consiglio di amministrazione della società contestualmente alla prestazione di lavoro subordinato. Avverso tale decisione il Fallimento L. spa in persona del Curatore pro tempore, aveva proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi cui aveva resistito L.E..

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1) Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa contraddittoria e insufficiente motivazione sul punto. Parte ricorrente lamenta che sia stata positivamente valutata la presenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti senza alcun accertamento sulle sue concrete modalità di svolgimento.

2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa contraddittoria e insufficiente motivazione sul punto. Il motivo censura la valutazione della esistenza del rapporto di lavoro effettuata dal tribunale senza alcun accertamento sostanziale sulle modalità di svolgimento della prestazione e rileva il mancato assolvimento dell’onere della prova della subordinazione a carico della lavoratrice.

I motivi possono essere trattati congiuntamente perchè attinenti alla medesima questione relativa alla prova del rapporto di lavoro subordinato tra le parti.

Deve premettersi che la corte territoriale ha valutato la subordinazione sulla base delle prove testimoniali ed ha escluso che la posizione nel consiglio di amministrazione potesse incidere sulla natura del rapporto. In particolare ha fondato la decisione sulla esistenza di una formale assunzione della L. quale dipendente con funzione di Responsabile di stabilimento, sul trattamento retributivo, previdenziale e fiscale a ciò conseguito, nonchè sul materiale testimoniale acquisito, attestante le specifiche attività svolte. Rispetto a tale percorso logico giuridico seguito dalla corte di merito deve quindi ritenersi inammissibile il motivo di ricorso per cassazione in cui si deduca apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758/017; Cass. n. 18721/2018).

Anche le doglianze relative alla motivazione, ritenuta insufficiente, omessa e contraddittoria, non possono trovare ingresso in quanto comunque veicolate attraverso la denuncia di un vizio inconferente, quale la violazione di legge, e comunque inammissibili alla luce dei principi espressi da questa Corte in punto di anomalie motivazionali denunciabili in sede di legittimità.

A riguardo deve darsi prosecuzione e continuità al principio secondo cui “è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. L’assenza di precise indicazioni inerenti una delle ipotesi sopra enunciate rende quindi inammissibile la censura (Cass. SU n. 8053/2014; Cass. n. 22598/2018).

Il ricorso è pertanto inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3.800,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2020

 

 

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