Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25689 del 27/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 27/10/2017, (ud. 26/09/2017, dep.27/10/2017),  n. 25689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18618/2016 proposto da:

P.P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA

6, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI ACQUARELLI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PR.FA., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 86,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA VARANO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3879/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 26/09/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

P.P.F. ricorre per cassazione, con due motivi, avverso la sentenza della corte d’appello di Roma, sez. spec. in materia di impresa, depositata il 17-6-2016, con la quale è stata confermata la decisione di primo grado (del 17-7-2014), di rigetto della domanda di risarcimento dei danni avanzata dal P. nei confronti di Pr.Fa., socio e amministratore della FP Costruzioni Generali s.r.l.; domanda basata sull’art. 2476 c.c., a motivo dello svuotamento del patrimonio della società di cui P. si era detto creditore;

l’intimato resiste con controricorso;

il ricorrente ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

col primo mezzo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2394 c.c., in relazione agli artt. 2727 e 2729 c.c., imputando alla corte d’appello di non aver correttamente utilizzato, ai fini dell’applicazione della norma, il paradigma della prova presuntiva: a dire del ricorrente, “era possibile risalire al fatto ignorato (ovvero l’obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale) grazie ai fatti noti provati documentalmente”, consistenti (pag. 5 del ricorso) (1) nell’essere stato Pr. socio e amministratore unico della debitrice dalla sua costituzione fino al 25-2-2008, nonchè socio fondatore e amministratore della FP Interiors s.r.l. dal 2-2-2009; (2) nell’essere stato evidenziato nel sito internet di questa seconda società che essa aveva raccolto l’eredità e l’esperienza della FP Costruzioni Generali; (3) nell’avere avuto le due società sede nel medesimo luogo; (4) nella correlata intestazione delle utenze telefoniche presso la medesima sede; (5) nell’essere divenuti collaboratori della seconda società le persone che erano state dipendenti della prima; (6) nell’essere stato utilizzato l’acronimo FP (” Pr.Fa.”) nella denominazione di entrambe le società;

col secondo mezzo il ricorrente censura la sentenza per omesso esame di fatto decisivo, sostenendo che la corte d’appello non avrebbe tenuto in debita considerazione la documentazione rappresentativa della pagina Internet della FP Interiors, specificante la circostanza, appena sopra indicata, di avere la FP Interiors raccolto l’eredità e l’esperienza della FP Costruzioni Generali;

il ricorso è inammissibile perchè, direttamente nel secondo mezzo e sotto spoglie di violazione in iure nel primo, suppone un sindacato di fatto in ordine alla valutazione della prova, oltre tutto neppure pertinente rispetto a quanto affermato dal giudice a quo;

la corte d’appello di Roma, dando atto che P. aveva censurato le affermazioni del tribunale deducendo di aver fornito in primo grado la prova di alcuni fatti certi dai quali desumere, per presunzioni, la prova dell’avvenuto svuotamento, da parte di Pr., del patrimonio della FP Costruzioni Generali costituente garanzia del credito dell’attore, ha risolutivamente stabilito che nessuna prova era stata fornita in ordine alla specifica circostanza del detto “svuotamento”;

in particolare nessuna prova era stata fornita in ordine al fatto che, al momento della maturazione del credito vantato, esistessero, nel patrimonio della debitrice FP Costruzioni Generali, elementi attivi o mezzi per il soddisfacimento dell’obbligazione, e che detti elementi e mezzi fossero venuti meno a causa di trasferimenti privi di legittimo titolo compiuti dal Pr. in favore della società FP Interiors;

tale accertamento di fatto, istituzionalmente riservato al giudice del merito, non è punto sindacabile in questa sede, anche tenendo conto che la sentenza d’appello è conforme, sui fatti, a quanto parimenti accertato dal tribunale di Roma;

la cd. doppia conforme sui fatti rende il ricorso per cassazione non proponibile per il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (art. 348-ter c.p.c., comma 5), unico tramite per il sindacato indiretto della Corte di cassazione sulla quaestio facti;

consegue l’inammissibilità del ricorso con riguardo a entrambe le doglianze chiaramente orientate a una revisione del giudizio di merito circa il valore presuntivo degli elementi considerati;

le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 5.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

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