Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25689 del 11/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 11/10/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 11/10/2019), n.25689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10557/2015 proposto da:

M.G.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO IACOBELLI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO RAFFIO;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO

MARESCA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 38/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 09/02/2015, R.G.N. 588/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/07/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del 1 e 3

motivo, rigetto del 2 motivo del ricorso;

udito l’Avvocato CLAUDIO ZAZA per delega GIANNI EMILIO IACOBELLI;

udito l’Avvocato FRANCO BOCCIA per delega verbale avvocato ARTURO

MARESCA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda con la quale M.G.B. aveva chiesto la condanna di Poste Italiane s.p.a., sua datrice di lavoro, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti all’infortunio lavorativo occorsogli in data (OMISSIS), allorquando, mentre trasportava materiale postale da distribuire su un ciclomotore di sua proprietà alla cui utilizzazione era stato autorizzato ex lege n. 971 del 1969, perdeva il controllo del mezzo e cadeva a terra riportando un trauma contusivo distorsivo e varie fratture scomposte.

1.1. Il giudice di appello, premesso che l’art. 2087 c.c., non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva ma richiede la violazione di obblighi di condotta imposti da norme di legge o dalle conoscenze sperimentali e tecniche di un determinato momento e che l’obbligo di dimostrare la violazione di una cautela generica o specifica grava sul lavoratore, rilevato che la mancata fornitura del casco da parte della società datrice non si poneva in nesso causale con l’infortunio occorso concernente l’arto inferiore destro, ha ritenuto che l’utilizzo del mezzo proprio autorizzato ex lege n. 971 del 1969, a fronte della corresponsione di una specifica indennità, non poteva che implicare una completa autonomia operativa del prestatore con conseguente inapplicabilità delle prescrizioni che postulano la ricorrenza di un mezzo fornito ed approntato dal datore di lavoro.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso M.G.B. sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

3. Poste Italiane s.p.a. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo parte ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione alle modalità e caratteristiche della prestazione lavorativa richiesta, all’eccessivo carico imposto da portare sul ciclomotore, alla mancata fornitura di strumenti e dotazioni per il trasporto del carico e per il suo fissaggio, all’assenza dei “cd. sacchi di appoggio”, alla sussistenza di specifiche direttive aziendali circa il mancato riconoscimento dello straordinario e l’obbligo di consegna della posta in un solo giro ed entro il turno di servizio.

2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c. e all’art. 118 disp att. c.p.c. – nullità della sentenza e del procedimento, censurando la decisione di secondo grado per insufficiente ed incongrua esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.

3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2087,2697 e 1218 c.c., anche in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè violazione e falsa applicazione della L. n. 971 del 1969, art. 1,D.P.R. n. 547 del 1955, art. 169, L. n. 626 del 1994, artt. 4, 35 e 43 e degli artt. 24, 25 e 27 c.c.n.l. applicabile, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto che l’uso del mezzo proprio autorizzato ai sensi dell’art. L. n. 971 del 1969, esonerasse il datore di lavoro dall’adozione delle precauzione necessarie a garantire lo svolgimento in sicurezza della prestazione lavorativa.

4. Il secondo motivo di ricorso, che per il carattere dirimente collegato al suo eventuale accoglimento, viene esaminato con priorità rispetto agli altri, è infondato.

4.1. E’ noto che la motivazione meramente apparente – che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante – sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico-giuridico alla base del decisum. E’ stato, in particolare, precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. 22232 del 2016), oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017) oppure, ancora, nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. n. 20112 del 2009). Tali carenze, che l’odierna parte ricorrente assume sulla base di considerazioni del tutto generiche ed assertive, non sono riscontrabili nella sentenza in esame della quale è agevolmente riscontrabile il percorso argomentativo che ha indotto ad escludere la responsabilità risarcitoria della società datrice di lavoro., percorso fondato essenzialmente sulla considerazione della piena autonomia operativa del dipendente autorizzato all’uso del mezzo proprio.

4. Il terzo motivo è fondato con effetto di assorbimento dell’esame del primo motivo.

4.1. La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato (tra le tante, Cass. 15156 del 2011, Cass. n. 2491 del 2008 che la responsabilità dell’imprenditore ex art. 2087 c.c., pur non essendo di carattere oggettivo, deve ritenersi volta a sanzionare l’omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio.

4.2. L’osservanza del generico obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., impone al datore di lavoro l’adozione delle correlative misure di sicurezza cd. “innominate”, sicchè incombe sullo stesso, ai fini della prova liberatoria correlata alla quantificazione della diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle suindicate misure, l’onere di far risultare l’adozione di comportamenti specifici che, pur non dettati dalla legge o altra fonte equiparata, siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli “standards” di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe (Cass. n. 15082 del 2014, Cass. n. 34 del 2016, Cass. n. 10319 del 2017).

4.3. La responsabilità datoriale incontra l’unico limite rappresentato dalla inesigibilità dal datore di lavoro della predisposizione di accorgimenti idonei a fronteggiare cause d’infortunio del tutto imprevedibili (Cass. n. 8911 del 2019, Cass. n. 1312 del 2014); in questa prospettiva il datore di lavoro è stato ritenuto totalmente esonerato da ogni responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore presenta caratteri di abnormità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo “tipico” ed alle direttive ricevute, in modo da porsi quale causa esclusiva dell’evento (Cass. n. 3786 del 2009): così integrando il cd. “rischio elettivo”, ossia una condotta personalissima del lavoratore, avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa o anche ad essa riconducibile, ma esercitata e intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, al di fuori dell’attività lavorativa e prescindendo da essa, come tale idonea ad interrompere il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata (Cass. n. 18786 del 2014).

4.4. Tanto premesso, l’ampiezza del contenuto dell’obbligo di sicurezza gravante ex art. 2087 c.c., sulla parte datoriale, obbligo che deve necessariamente conformarsi e misurarsi sulle concrete modalità di espletamento della prestazione di lavoro dipendente, non consente di accedere all’assunto della Corte di merito secondo il quale l’autorizzazione all’uso del mezzo proprio ed il pagamento della connessa indennità, implicando la completa autonomia operativa del prestatore, comportano l’esonero per la parte datoriale da ogni responsabilità collegata alla guida del mezzo. Tale assunto, che si risolve nella prospettazione di una sorta di traslazione del rischio connesso all’espletamento della prestazione lavorativa per il solo fatto dell’autorizzazione all’uso del mezzo proprio, oltre a non trovare riscontro nelle specifiche disposizioni che regolano l’autorizzazione all’uso del mezzo proprio dei dipendenti postali, non è coerente con il rilievo costituzionale degli interessi coinvolti (artt. 4,32 Cost.).

4.5. La L. n. 321 del 1965, art. 7 (provvedimento abrogato dal D.Lgs. n. 212 del 2010) per quanto di interesse, così recita: “Il personale di cui al precedente art. 6 può essere autorizzato, a domanda, a fare uso di mezzo di sua proprietà riconosciuto idoneo dall’Amministrazione purchè abbia contratto idonea assicurazione per responsabilità civile secondo i criteri che saranno stabiliti dall’amministrazione stessa con titolo ad un’indennità mensile, globale per tutti gli oneri a carico dell’interessato derivanti dall’impiego ed uso del proprio mezzo e per la guida di essa, Il personale “di cui al precedente art. 6” richiamato nella disposizione è costituito dal personale dipendente dall'(allora) Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni e dell’azienda di Stato per i servizi telefonici, a qualsiasi carriera e qualifica appartenente, al quale il detto art. 6 prevedeva l’affidamento “per esigenze di servizio connesse all’espletamento delle proprie mansioni e in relazione all’organizzazione dei servizi ai sensi del R.D. 18 aprile 1940, n. 689, art. 4” della conduzione di veicoli a motore di proprietà dell’Amministrazione purchè in possesso dei requisiti prescritti dalla legge. A sua volta la disposizione direttamente richiamata in sentenza e cioè la L. n. 971 del 1969, art. 1 (Legge intitolata “Indennità forfettarie provvisorie sostitutive di quelle previste dalla L. 30 marzo 1965, n. 321, art. 7, in favore dei personale della carriera ausiliaria degli uffici locali dell’Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni addetto ai servizi di recapito, procacciato, portapacchi e vuotatura cassette eseguiti con mezzo di locomozione di proprietà degli agenti”) così recita: ” A decorrere dal 1/A gennaio 1970 gli agenti della carriera ausiliaria degli uffici dell’Ammministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni possono essere autorizzati a domanda, per esigenze di servizio a far uso di mezzo motorizzato di loro proprietà, purchè abbiano contratto idonea assicurazione per responsabilità civile… con titolo ad una indennità forfettaria… per gli oneri a carico dell’agente derivanti dall’impiego ed uso del proprio mezzo e per la guida di esso, qualunque sia la lunghezza del percorso…”.

4.6. Dal complesso di tali disposizioni specificamente regolanti la materia dell’autorizzazione all’uso del mezzo proprio da parte di dipendenti dell’allora Amministrazione Poste e Telecomunicazioni non è dato evincere alcuna indicazione nel senso di una trasferimento al dipendente del rischio per gli infortuni collegati alla guida dello stesso; in particolare, siffatta assunzione di responsabilità, non potrebbe discendere, come invece sembra opinare il giudice di secondo grado, dalla previsione di un’indennità forfettaria trattandosi di emolumento espressamente destinato a remunerare gli oneri a carico dell’agente derivanti dall’impiego ed uso del proprio mezzo e per la guida di esso e cioè, in sintesi, le spese di manutenzione del mezzo e per l’approvvigionamento di carburante. Argomentare diversamente, dei resto, significherebbe definire la fattispecie in esame sulla base di una inaccettabile logica di scambio tra sicurezza/e remunerazione economica, estranea all’ordinamento giuslavoristico ed in contrasto con i principi costituzionali in tema di tutela del lavoro e del diritto alla salute.

4.7. In base alle considerazioni che precedono deve, quindi, escludersi che l’autorizzazione all’uso del mezzo proprio si configuri ex se quale causa destinata, in ipotesi di infortunio lavorativo, ad esonerare la datrice di lavoro da ogni responsabilità connessa all’uso del mezzo; l’obbligo di sicurezza che fa capo alla parte datoriale implica, infatti, la necessità per questa di farsi carico della valutazione del rischio connesso a specifiche modalità di esecuzione della prestazione pretese in relazione all’utilizzazione del veicolo di proprietà al quale il dipendente è stato autorizzato.

4.8. Nello specifico, avendo il dipendente allegato che per disposizioni aziendali egli era tenuto ad effettuare la consegna di un carico notevole di posta (circa 40 kg) in un unico giro, in assenza “cd. sacchi di appoggio”, senza che gli venissero forniti strumenti idonei “al fissaggio” del carico trasportato sul ciclomotore onde garantirne la stabilità, occorrerà verificare se, tali circostanze e comunque il complesso degli elementi relativi alla modalità di effettuazione della prestazione, ove accertati, abbiano determinato, tenuto conto delle caratteristiche del mezzo, una situazione di specifico rischio per il lavoratore, conseguendone in ipotesi affermativa la responsabilità della società datrice di lavoro.

5. A tanto consegue la cassazione della decisione con rinvio ad altro giudice di secondo grado il quale procederà al riesame dei fatti di causa sulla base del seguente principio di diritto ” In ipotesi di autorizzazione del dipendente all’uso del veicolo di proprietà, in caso di infortunio lavorativo connesso alla conduzione del mezzo, la parte datrice non è esonerata dalla responsabilità ex art. 2087 c.c., ove tale infortunio possa essere posto in relazione causale con lo specifico rischio creato, in relazione alla conduzione del mezzo, da disposizioni datoriali relative alle modalità di esecuzione della prestazione”.

6. Al giudice del rinvio è demandato il regolamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il secondo motivo, accoglie il terzo, assorbito il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione alla quale demanda anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2019

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