Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25685 del 15/11/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 25685 Anno 2013
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: VIRGILIO BIAGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ATESIA s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

y.

elettivamente domiciliata in Roma, via Reggio Calabria n. 6, presso l’avv.
Nicola Bultrini, rappresentata e difesa dall’avv. Enrico Potito giusta delega
in atti;
– ricorrente –

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

controricorrente

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n.
74/27/07, depositata il 6 luglio 2007.

Data pubblicazione: 15/11/2013

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25 settembre
2013 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;
udito l’avv. Enrico Potito per la ricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Ennio
Attilio Sepe, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. La ATESIA s.p.a. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza

quale, rigettando l’appello principale della contribuente ed accogliendo
quello incidentale dell’Ufficio, è stata affermata la legittimità dell’avviso di
recupero parziale del credito d’imposta per investimenti in aree
svantaggiate, previsto dall’art. 8 della legge n. 388 del 2000, emesso nei
confronti della ATESIA per l’anno 2001.
Il giudice d’appello ha ritenuto, per quanto qui interessa, che non
possono considerarsi nuovi investimenti i miglioramenti apportati su beni di
proprietà di terzi non dotati di una autonoma funzionalità, come avvenuto
nella specie, trattandosi di spese per la ristrutturazione e l’ampliamento di
un immobile condotto in locazione dalla contribuente. Ha, inoltre, escluso
che ricorressero le condizioni previste dall’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992
per la disapplicazione delle sanzioni.
2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
3. La ricorrente ha depositato memoria.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso, con il quale si denuncia l’omessa o
insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, è
inammissibile poiché, in violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ.
(applicabile ratione temporis), non contiene una chiara e sintetica
indicazione del fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si
assume omessa o contraddittoria, o delle ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione
(ex plurimis, Cass. nn. 2652 e 8897 del 2008, 27680 del 2009).
2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 8 del
d.lgs. n. 546 del 1992 (recte, della legge n. 388 del 2000) e formula, al
riguardo, il quesito di diritto se, “ai fini dell’agevolazione di cui all’art. 8 L.
23.12.2000, n. 388, comma 2 (credito d’imposta per investimenti in territori
2

della Commissione tributaria regionale del Lazio indicata in epigrafe, con la

J.

svantaggiati), sia consentito computare nel costo della nuova struttura
operativa (nella specie cali-center) installata in locali presi in affitto, non
solo il costo delle nuove apparecchiature rimovibili dalla muratura, ma
anche quello delle spese direttamente necessarie per consentire il
funzionamento della nuova struttura, quali impianti elettrici, di
riscaldamento, refrigerazione e comunque accessori benché stabilmente
inseriti sulle pareti dei locali stessi”.

Qualora gli investimenti suscettibili di agevolazione ai sensi dell’art. 8
della legge n. 388 del 2000 — il quale precisa che “per nuovi investimenti si
intendono le acquisizioni di beni strumentali nuovi di cui agli articoli 67 e
68” del TUIR, secondo la numerazione all’epoca vigente (ora, artt. 102 e
103) – consistano in spese sostenute su immobili non di proprietà
dell’impresa, ma, come nella specie, condotti in locazione, il criterio
distintivo in ordine alla applicabilità del beneficio è quello della sussistenza,
o meno, di un’autonomia funzionale del bene acquisito rispetto al bene del
terzo: in altre parole, affinché la spesa sostenuta dia diritto al credito
d’imposta occorre che essa riguardi beni dotati di una propria individualità,
tali, cioè, da essere iimovibili dall’immobile cui accedono e, quindi,
suscettibili di utilizzazione separata da parte del locatario (o comodatario) al
termine del periodo di locazione (o comodato).
Tale criterio trova conferma, oltre che nella lettera e nella ratio della
norma, anche nella disciplina in tema di determinazione del reddito
d’impresa. Le spese sostenute per interventi migliorativi privi di autonomia
funzionale, infatti, sono soggette alla disciplina delle “spese relative a più
esercizi” di cui all’art. 74, comma 3, del TUIR (vecchia numerazione, ora
art. 108), che stabilisce la loro deducibilità “nel limite della quota
imputabile a ciascun esercizio”: ciò significa che tali investimenti, anche se
hanno natura incrementativa, non costituiscono “beni” ai sensi dell’art. 8 in
esame, bensì meri costi.
In definitiva, nella fattispecie, la natura degli interventi effettuati
(ristrutturazione ed adeguamento impiantistico dell’immobile condotto in
locazione), pur se indubbiamente aventi carattere incrementativo delle
potenzialità dell’immobile locato, non possiedono le caratteristiche sopra
evidenziate per poter fruire dell’agevolazione in questione (cfr., in termini
3

Il motivo è infondato.

i

sostanzialmente analoghi, Cass. nn. 21411 del 2012 e 21541 del 2013).
3. Infine, con il terzo motivo, la ricorrente, in via subordinata, denuncia
la violazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere il giudice a quo
disatteso la richiesta di disapplicazione delle sanzioni; chiede che si affermi
il principio secondo il quale, a tal fine, “il giudice non è esonerato
dall’esercitare una sua autonoma indagine al fine di stabilire la sussistenza o
meno di un’oggettiva situazione di incertezza e pertanto non può limitarsi a

favorevole al contribuente, sia stato successivamente modificato a suo
sfavore, essendo la presenza di contrastanti interpretazioni ministeriali
soltanto sintomatica di detta incertezza”.
Il motivo è infondato.
E’, infatti, costante l’orientamento di questa Corte nel senso che, in tema
di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza
normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità
amministrativa tributaria, alla stregua dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. 27
luglio 2000, n. 212, e dell’art. 8 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, postula
una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari
della norma tributaria, ossia insicurezza ed equivocità del risultato
conseguito attraverso il procedimento di interpretazione, in presenza di
pluralità di prescrizioni di coordinamento difficoltoso per via di elementi
positivi di confusione, che è onere del contribuente allegare; dette
insicurezza ed equivocità, inoltre, vanno riferite non già ad un generico
contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano
capaci di interpretazione normativa qualificata, e tanto meno all’Ufficio
finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il
potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata
interpretazione (da ult. Cass. nn. 3245 e 4522 del 2013).
Nella fattispecie, il giudice d’appello, contrariamente a quanto sostiene la
ricorrente, non si è limitato a rilevare che l’amministrazione, all’epoca di
presentazione della dichiarazione, aveva ormai chiarito il suo pensiero, ma
ha egli stesso escluso, con autonoma valutazione, che siano configurabili i
detti presupposti per la disapplicazione delle sanzioni, non essendo rilevabili
particolari incertezze interpretative nella normativa de qua.
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
4

prendere atto del solo mutato orientamento ministeriale che, originariamente

t§t 1■117: P

5. La novità della questione rispetto all’epoca di proposizione del ricorso
induce a disporre la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma il 25 settembre 2013.

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