Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25684 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 22/09/2021), n.25684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 32875/2019 R.G., proposto da:

C.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Ranone Vincenzo, con

studio in Firenze, elettivamente domiciliato presso l’Avv. Valvo

Giuseppe, con studio in Roma, giusta procura in calce al ricorso

introduttivo del presente procedimento;

– ricorrente –

contro

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore

Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

della Toscana il 4 aprile 2019 n. 596/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28

ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 9, convertito nella L.18

dicembre 2020 n. 176, con le modalità stabilite dal decreto reso

dal Direttore Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del

Ministero della Giustizia il 2 novembre 2020) del 27 aprile 2021.

dal Dott. Lo Sardo Giuseppe.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

C.S. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana il 4 aprile 2019 n. 596/05/2019, che, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per l’IRPEF relativa all’anno 2010, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del medesimo avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Prato il 2 dicembre 2016 n. 208/01/2016, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha riformato la decisione di prime cure, sul presupposto che la somma di cui il contribuente si era indebitamente appropriato in danno del coniuge (mediante prelevamento dal conto corrente cointestato, dopo il versamento di danaro appartenente in via esclusiva a quest’ultimo) costituisse provento illecito assoggettabile a tassazione. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta formulata dal relatore è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. In vista dell’odierna adunanza, il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, si denuncia violazione e/o errata applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 38, comma 4, L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4, artt. 1854,2697,2728 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che la somma versata dal coniuge sul conto corrente cointestato al contribuente non potesse far presumere la donazione indiretta della metà a suo favore.

2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione e/o errata applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 32 e 58, art. 153 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che l’amministrazione finanziaria potesse produrre ulteriore documentazione.

Ritenuto che:

1. Ragioni di priorità logica impongono di invertire l’ordine di prospettazione nell’esame dei motivi, avendo il secondo carattere pregiudiziale rispetto al primo.

1.1 II secondo motivo è infondato.

1.2 Nell’ambito del processo tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 58 fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti posti dall’art. 345 c.p.c., ma tale attività processuale va esercitata – stante il richiamo operato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 61, alle norme relative al giudizio di primo grado – entro il termine previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 32, comma 1, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza, con l’osservanza delle formalità di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 24, comma 1, dovendo, peraltro, tale termine ritenersi, anche in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria, e quindi previsto a pena di decadenza, rilevabile d’ufficio dal giudice anche nel caso di rinvio meramente interlocutorio dell’udienza o di mancata opposizione della controparte alla produzione tardiva (tra le tante: Cass., Sez. 5, 13 novembre 2018, n. 29087; Cass., Sez. 5, 23 dicembre 2020, n. 29393; Cass., Sez. 5, 5 marzo 2021, n. 6158; Cass., Sez. 5, 11 marzo 2021, 6841).

1.3 In ogni caso, nel processo tributario i fascicoli di parte sono inseriti in modo definitivo nel fascicolo d’ufficio fino al passaggio in giudicato della sentenza, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 25, e non possono essere ritirati dalle parti, che possono solo acquisire copia autentica dei documenti e degli atti ivi contenuti; ne consegue che la documentazione depositata tardivamente nel giudizio di primo grado è utilizzabile in appello, ove acquisita al fascicolo processuale, purché depositata entro il termine perentorio di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 32, comma 1, (Cass., Sez. 5, 17 novembre 2020, n. 26115; Cass., Sez. 65, 14 aprile 2021, n. 9857).

1.4 Nella specie, la Commissione Tributaria Regionale aveva correttamente consentito all’amministrazione finanziaria di produrre taluni documenti (ivi compresa la sentenza depositata dal Tribunale di Firenze il 9 gennaio 2017 n. 44, con la quale il contribuente era stato condannato al risarcimento dei danni subiti dal coniuge in dipendenza dell’appropriazione indebita in questione), il cui deposito era stato considerato tardivo e, quindi, inammissibile nel giudizio di primo grado.

Difatti, la maturata (e rilevata) preclusione alla produzione di tali documenti nel giudizio di primo grado non poteva impedirne la rituale acquisizione nel giudizio di secondo grado. 2. Anche il primo motivo è infondato.

2.1. In tema di imposte sui redditi, i proventi derivanti da fatti illeciti, rientranti nelle categorie reddituali di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 1, devono essere assoggettati a tassazione anche se il contribuente è stato condannato alla restituzione delle somme illecitamente incassate ed al risarcimento dei danni cagionati o se in capo all’autore del reato sussisteva l’intenzione di non trattenere le ricchezze percepite nel proprio patrimonio, ma di riversarle a terzi (tra le altre: Cass., Sez. 5, 5 giugno 2000, n. 7511; Cass., Sez. 6-5, 24 ottobre 2019, n. 27357).

2.2 Peraltro, anche sul piano strettamente civilistico, il versamento di una somma di danaro da parte di un coniuge su conto corrente cointestato all’altro coniuge non costituisce di per sé atto di liberalità. Difatti, l’atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito che risulti essere appartenuta ad uno solo dei contestatari, può essere qualificato come donazione indiretta solo quando sia verificata l’esistenza dell’animus donandi, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della detta cointestazione, altro scopo che quello della liberalità (in termini: Cass., Sez. 2, 12 novembre 2008, n. 26983; Cass., Sez. 2, 28 febbraio 2018, n. 4862).

Per cui, in assenza di circostanze univocamente suffraganti l’immanenza di uno spirito liberale, il mero versamento da parte del coniuge di danaro personale sul conto corrente cointestato al contribuente non era idoneo a fondare una presunzione di appartenenza pro quota a quest’ultimo.

2.3 Nella specie, secondo l’accertamento fattone dal giudice di appello, il contribuente era stato condannato dal giudice civile al risarcimento dei danni subiti dal coniuge per l’arbitraria appropriazione della somma depositata sul conto corrente cointestato, che era stata perciò considerata provento derivante da fatto illecito, non essendo stato ravvisato alcun indizio dell’esistenza di un animus donandi al momento del versamento del danaro di sua esclusiva pertinenza.

Ne’ gli elementi controdedotti dal contribuente (con particolare riguardo alla successiva stipulazione – insieme al coniuge – di contratti di investimento mobiliare in collegamento al conto cointestato) sono idonei a sovvertire tale conclusione. Difatti, lo spirito di liberalità può essere desunto da circostanze contestuali, ma non anche da circostanze successive (che possono, al più, confermarlo) all’atto qualificabile alla stregua di donazione indiretta.

3. Valutandosi l’infondatezza dei motivi dedotti, dunque, il ricorso non può che essere rigettato.

4. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura Euro 13.200,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito; dà atto della sussistenza, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma bis dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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