Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25684 del 13/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 13/11/2020, (ud. 22/10/2020, dep. 13/11/2020), n.25684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 68-2019 proposto da:

P.A., rappresentata e difesa dall’avv. PAOLO MARIA

FEDERICO CANDIDA e domiciliata presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

UNIONE DI BANCHE ITALIANE S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

OMBRONE n. 14, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CAPUTI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO PESENTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1774/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 09/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/10/2020 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione in opposizione a precetto, notificato ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, il 03.07.2014, P.A. conveniva in giudizio innanzi il Tribunale di Alessandria la Banca Regionale Europea S.p.A., ora Unione di Banche Italiane S.p.A., chiedendo di accertare la nullità tanto del contratto di mutuo fondiario originariamente stipulato tra le parti in data 15.6.1999, quanto di quello derivante dalla successiva rinegoziazione avvenuta in data 21.1.2005, per effetto della natura usuraria del tasso di interesse pattuito, nonchè per l’illecita applicazione di interessi anatocistici in danno del mutuatario, nonchè per il comportamento contrario a buona fede serbato dalla banca convenuta. Si costituiva in giudizio l’istituto di credito, resistendo alla domanda.

Con sentenza n. 1079 del 2016 il Tribunale di Alessandria respingeva le domande dell’attrice, ritenendo che gli interessi pattuiti tra le parti non presentassero natura usuraria ed escludendo sia la configurabilità dell’anatocismo che la mala fede della parte mutuante. Il giudice di prime cure condannava altresì l’opponente alle spese del primo grado di giudizio.

Interponeva appello la P. e si costituiva in seconde cure Unione di Banche Italiane S.p.A., resistendo al gravame.

Con la sentenza n. 1774 del 2018, oggi impugnata, la Corte di Appello di Torino rigettava l’impugnazione, condannando l’appellante alle spese.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione P.A., affidandosi a due motivi.

Resiste controricorso Maior Spv S.r.l., in qualità di successore a titolo particolare di Unione di Banche Italiane S.p.A.

In prossimità dell’adunanza camerale la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata in ordine ad un fatto decisivo per il giudizio, rappresentato dal superamento del tasso soglia, nonchè la violazione della L. n. 108 del 1996, art. 2, e dell’art. 1815 c.c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Ad avviso della P., la Corte di merito avrebbe erroneamente ricostruito i termini economici del rapporto negoziale intercorso tra le parti, escludendo in particolare la natura usuraria, o comunque superiore al tasso soglia, degli interessi convenzionali previsti contrattualmente, applicando criteri di calcolo erronei ed incorrendo pertanto nel denunciato vizio di insufficiente ed erronea motivazione.

La censura è inammissibile.

Il ricorso è soggetto, ratione temporis, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo in vigore a seguito della riforma attuata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012. A seguito di detta novella “non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza- di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017, Rv. 645828; conf. Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014, Rv. 632914; Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). La censura in esame, che – anche al di là delle indicazioni contenute nella sua rubrica – si risolve in una critica del procedimento motivazionale seguito dal giudice di merito, non soddisfa i requisiti minimi previsti per l’ammissibilità del vizio incidente sulla motivazione.

Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per “mancata ammissione di elementi probatori”, ed in particolare per non aver disposto la rinnovazione della C.T.U. invocata dalla P., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Ad avviso della ricorrente, tale vizio si risolverebbe in un error in procedendo, poichè per effetto della mancata ammissione dell’approfondimento istruttorio invocato dall’odierna ricorrente il giudice di merito ha finito per decidere la causa sulla base di elementi di conoscenza fallaci ed incompleti.

Anche questa doglianza è inammissibile.

Va, in argomento, ribadito il principio secondo cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).

Del pari, merita di essere ribadito l’ulteriore principio per cui il giudice di merito, quando decida di aderire al parere del C.T.U., “… non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poichè l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche per relationem dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente; diversa è l’ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori: in tal caso il giudice del merito, per non incorrere nel vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 15147 del 11/06/2018, Rv. 649560; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23637 del 21/11/2016, Rv. 642660). Nel caso specifico la ricorrente non allega di aver tempestivamente contestato, nel corso del giudizio di merito, le conclusioni del C.T.U., nè di aver proposto, direttamente ovvero mediante il proprio C.T.P., osservazioni specifiche all’elaborato peritale predisposto dall’ausiliario del giudice, nè che quest’ultimo non abbia tenuto conto delle dette osservazioni. Ne consegue il difetto del requisito minimo di specificità che deve assistere la censura diretta a contestare la sentenza di merito che abbia fatto riferimento alle conclusioni del C.T.U.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.700 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali in ragione del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2020

 

 

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