Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25682 del 13/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 13/11/2020, (ud. 22/10/2020, dep. 13/11/2020), n.25682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20652-2019 proposto da:

C.G., rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO

CASTALDO;

– ricorrente –

contro

G.I., rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO VITIELLO;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

10/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

C.G. impugna, articolando un unico motivo di ricorso ex art. 111 Cost. (violazione dell’art. 1129, comma 11 e dell’art. 64 disp. att. cc., e degli artt. 739 e 742 c.p.c.), il decreto n. 1530/2019 del 10 giugno 2019 della Corte d’Appello di Napoli. Tale decreto, pronunciando sulla richiesta della condomina G.I. volta alla modifica o revoca di precedente decreto della medesima Corte d’Appello, avente ad oggetto il rigetto della domanda di revoca giudiziale di C.G. dall’incarico di amministratore del Condominio (OMISSIS), ha evidenziato come l’istanza invocasse un riesame delle cause di “gravi irregolarità” poste alla base dell’iniziale domanda (quanto, in specie, al mancato utilizzo del conto corrente condominiale per l’incasso dei contributi ed all’irregolare tenuta della contabilità), e come perciò sussistesse la competenza della Corte adita ai sensi dell’art. 742 c.p.c., pervenendo alla statuizione di revoca dell’amministratore con condanna alle spese processuali.

Resiste con controricorso G.I..

C.G. critica la ritenuta ammissibilità della richiesta di revoca del decreto di rigetto del reclamo inerente alla domanda di revoca dell’amministratore di condominio. Ad avviso del ricorrente, G.I., a fronte del rigetto della sua domanda di revoca dell’amministratore, avrebbe dovuto piuttosto promuovere un giudizio a cognizione piena. Viene inoltre sostenuta nella censura la ricorribilità per cassazione della pronuncia sulle spese processuali contenuta nel decreto del 10 giugno 2019.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso proposto potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Le parti hanno presentato memorie.

C.G. ha altresì proposto istanza di rimessione del ricorso alle sezioni unite ex art. 376 c.p.c., comma 2, istanza rigettata dal Primo Presidente con provvedimento del 15 ottobre 2020.

Secondo consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso il decreto con il quale la corte di appello provvede sul reclamo avverso il decreto del tribunale in tema di revoca dell’amministratore di condominio, previsto dall’art. 1129 e dall’art. 64 disp. att. c.c., trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione; tale ricorso è, invece, ammissibile soltanto avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo (Cass. Sez. 6 – 2, 28/07/2020, n. 15995; Cass. Sez. 6 – 2, 11/04/2017, n. 9348; Cass. Sez. 6 – 2, 27/02/2012, n. 2986; Cass. Sez. 6 – 2, 01/07/2011, n. 14524; Cass. Sez. U, 29/10/2004, n. 20957).

Il ricorrente equivoca sulla “natura contenziosa” del procedimento in esame, che viene del pari riconosciuta in giurisprudenza, natura che non è affatto indizio contrastante con il carattere camerale dello stesso, nota essendo la categoria dei giudizi di natura contenziosa che si svolgono con il rito camerale, nei quali, piuttosto, deve comunque essere assicurato il diritto di difesa e, quindi, realizzato il principio del contraddittorio. E’, invero, caratteristica frequente dei procedimenti camerali plurilaterali, nei quali l’intervento giudiziale è pur sempre diretto all’attività di gestione di interessi, l’incidenza su un diritto altrui dell’esercizio, da parte del giudice, di un potere gestorio (si pensi all’analogo decreto della corte d’appello che decide sul reclamo avverso il provvedimento del tribunale reso ai sensi dell’art. 2409 c.c., parimenti non impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.), restando consentito al titolare del diritto di chiedere la tutela giurisdizionale a cognizione piena del diritto inciso.

Non sono dunque ammissibili avverso il decreto in tema di revoca dell’amministratore di condominio le censure proposte sotto forma di vizi in iudicando o in procedendo, dirette a rimettere di discussione la sussistenza, o meno, delle gravi irregolarità ex art. 1129 c.c., comma 12, ovvero la valutazione dei presupposti legittimanti la statuizione di cessazione della materia del contendere, o, ancora, l’omesso esame di elementi istruttori che avrebbero diversamente potuto determinare il giudice del merito nella declaratoria della soccombenza virtuale (cfr. in termini Cass. Sez. 2, 06/05/2005, n. 9516).

Va allora ribadito come il procedimento di revoca dell’amministratore di condominio si svolge in camera di consiglio, si conclude con decreto reclamabile alla cote d’appello (art. 64 disp. att. c.p.c.) e si struttura, pertanto, come giudizio camerale plurilaterale tipico, che culmina in un provvedimento privo di efficacia decisoria, siccome non incidente su situazioni sostanziali di diritti o “status” (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 23/06/2017, n. 15706; Cass. Sez. U, 29/10/2004, n. 20957).

Ne consegue che il decreto con cui la corte d’appello provvede, su reclamo dell’interessato, in ordine alla domanda di revoca dell’amministratore di condominio, non avendo carattere decisorio e definitivo, non è, come detto, ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., mentre può essere revocato o modificato dalla stessa corte d’appello, per un preesistente vizio di legittimità o per un ripensamento sulle ragioni che indussero ad adottarlo (restando attribuita al tribunale, giudice di primo grado, la competenza a disporre la revisione del provvedimento emesso in sede di reclamo, sulla base di fatti sopravvenuti: cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 18 marzo 2019, n. 7623; Cass. Sez. 1, 01/03/1983, n. 1540), ai sensi dell’art. 742 c.p.c., atteso che quest’ultima disposizione si riferisce, appunto, unicamente ai provvedimenti camerali privi dei caratteri di decisorietà e definitività (cfr. Cass. Sez. 1, 06/11/2006, n. 23673).

E’ comunque inammissibile la censura che, nel motivo di ricorso, C.G. rivolge al decreto impugnato, sotto forma di vizio in procedendo, diretta a sindacare la decisione sulla questione dell’ammissibilità di una revoca del decreto pronunciato dalla Corte d’Appello in sede di reclamo.

Il decreto con cui la Corte d’Appello dichiari, come nella specie, ammissibile l’istanza di modifica o revoca, ex art. 742 c.p.c., del decreto pronunciato in sede di reclamo sul provvedimento di revoca dell’amministratore di condominio, comunque non costituisce “sentenza”, ai fini ed agli effetti di cui all’art. 111 Cost., comma 7, essendo sprovvisto dei richiesti caratteri della definitività e decisorietà, in quanto non contiene alcun giudizio in merito ai fatti controversi, non pregiudica il diritto del condomino ad una corretta gestione dell’amministrazione condominiale, nè il diritto dell’amministratore allo svolgimento del suo incarico. Trattasi, dunque, di provvedimento non suscettibile di acquisire forza di giudicato, atteso che la pronuncia di inammissibilità resta pur sempre inserita in un provvedimento non decisorio sul rapporto sostanziale, e non può pertanto costituire autonomo oggetto di impugnazione per cassazione, avendo la pronuncia sull’osservanza delle norme processuali necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato (arg. da Cass. Sez. 1, 05/02/2008, n. 2756; Cass. Sez. 1, 01/02/2016, n. 1873; Cass. Sez. 6 – 1, 07/07/2011, n. 15070; Cass. Sez. 6 – 2, 18/01/2018, n. 1237).

Nè il ricorrente ha ragione di sostenere che la condanna al pagamento delle spese non sia dovuta nel provvedimento con cui la Corte d’appello decida sull’istanza di modifica o revoca del decreto in tema di revoca di un amministratore di condominio, essendo tale statuizione impugnata conforme al criterio della soccombenza indicato come normale dall’art. 91 c.p.c., Cass. Sez. U, 29/10/2004, n. 20957, seguita dalla costante interpretazione giurisprudenziale, ha espressamente affrontato e risolto affermativamente la questione dell’applicabilità dell’art. 91 c.p.c., al procedimento camerale azionato in base all’art. 1129 c.c., comma 11, ed all’art. 64 disp. att. c.p.c., chiarendo come il principio di soccombenza si riferisca ad ogni processo, senza distinzioni di natura e di rito, e come il termine “sentenza” sia usato dall’art. 91 c.p.c., nell’accezione di provvedimento che, nel risolvere contrapposte posizioni, chiude il procedimento stesso innanzi al giudice che lo emette, accezione perciò comprensiva delle ipotesi in cui tale provvedimento sia emesso nella forma dell’ordinanza o del decreto (si veda Cass. Sez. 2, 22/10/2013, n. 23955).

Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6-2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2020

 

 

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