Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25680 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 22/09/2021), n.25680

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32487-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

I.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato PACE FABIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1548/3/2018 della COMMISSIONE TRIBUARIA

REGIONALE del PIEMONTE, depositata il 02/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CATALDI

MICHELE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza n. 1548/03/2018, depositata il 2 ottobre 2018, con la quale la Commissione tributaria regionale del Piemonte, giudice del rinvio, ha rigettato l’appello erariale avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Torino, che aveva accolto il ricorso del contribuente I.D. (ex dirigente ENEL) avverso il silenzio-rifiuto sulla richiesta di rimborso delle maggiori ritenute IRPEF operate sul trattamento di previdenza integrativa aziendale (fondo PIA, poi FONDENEL) con la stessa aliquota applicata sull’indennità di fine rapporto, piuttosto che con l’aliquota del 12,50% prevista per i redditi di capitale (rendimento di polizza assicurativa).

Il contribuente si è costituito con controricorso ed ha depositato memoria.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo l’Agenzia deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 384 c.p.c..

Premette infatti la ricorrente che questa Corte, con l’ordinanza n. 10344 del 26 aprile 2017, accogliendo il ricorso erariale (per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, dell’art. 384 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), ha cassato con rinvio la precedente sentenza emessa nella stessa controversia dalla medesima CTR (anche in quel caso quale giudice di precedente rinvio), formulando il seguente principio di diritto:” la sentenza impugnata va quindi cassata con (ulteriore) rinvio alla C.T.R. “perché accerti se e quando, sulla base delle norme contrattuali applicabili, i capitali rivenienti dalla contribuzione siano stati effettivamente investiti sul mercato, quali siano stati i risultati dell’investimento ed in qual modo sia stata determinata l’assegnazione delle eventuali plusvalenze alle singole posizioni individuali, e, sulla scorta di tale indagine, quantifichi la parte della somma complessivamente erogata al contribuente che corrisponda al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato del capitale accantonato mediante la contribuzione del lavoratore e del datore di lavoro e, quindi, calcoli l’imposta dovuta dal contribuente (e, conseguentemente, l’ammontare del suo credito restitutorio) applicando solo a tale parte l’aliquota del 12,5%, secondo la disciplina dettata dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; fermo restando, per il residuo, il regime di tassazione separata di cui all’art. 16 TUIR, comma 1, lett. a) e art. 17 TUIR” (v., in termini, Cass. sez. V n. 23472/16)”.

Assume quindi la ricorrente che il giudice a quo, nel rigettare l’appello erariale, ha omesso di applicare il principio di diritto elaborato da questa Corte, in particolare laddove quest’ultimo prescriveva “di quantificare la parte della somma complessivamente erogata al contribuente che corrisponda al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato del capitale accantonato”, sostituendo a tale doverosa e concreta verifica in fatto la propria convinzione astratta che “i rendimenti prodotti dalla gestione dei vecchi fondi non perdevano la loro caratteristica assicurativa di rendimenti di natura finanziaria anche se di origine assicurativa a condizione che vi fosse l’adozione da parte degli stessi fondi delle riserve matematiche e dei sistemi tecnico-finanziari della capitalizzazione, tipici delle imprese assicurative”.

Il motivo è fondato.

E’ infatti inequivoco, nel predetto principio di diritto espresso dalla precedente sentenza di cassazione con rinvio e da applicarsi al caso di specie, lo specifico riferimento alla necessità, al fine di applicare l’aliquota pretesa dal contribuente, che il ” rendimento” sia stato generato dall’effettiva gestione sul mercato delle somme accantonate.

Invece la lettura della motivazione della sentenza impugnata evidenzia sia la totale omissione di ogni riferimento all’accertamento concreto che il principio di diritto richiedeva, in particolare per quanto attiene al “rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato del capitale accantonato”; sia la sostituzione di tale concetto di rendimento con quello di “rendimento di polizza”, reinterpretato dalla CTR, discostandosi dal ridetto principio di diritto, come “rendimenti di natura finanziaria anche se di origine assicurativa a condizione che vi fosse l’adozione da parte degli stessi fondi delle riserve matematiche e dei sistemi tecnico-finanziari della capitalizzazione, tipici delle imprese assicurative”.

Tanto premesso, va ricordato che in caso di ricorso per cassazione avverso la pronuncia del giudice di rinvio per violazione della precedente statuizione di annullamento, il sindacato della S.C. si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice (Cass. Sez. U -, Sentenza n. 18303 del 03/09/2020).

E va, altresì, rammentato che la precedente sentenza di cassazione con rinvio è stata emessa a seguito di accoglimento di ricorso erariale per violazione di legge e che ” I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua “potestas iudicandi”, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione “ex novo” dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità.” (Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 448 del 14/01/2020).

Nel caso di specie, la tesi sostenuta dal contribuente nel controricorso e nella memoria, secondo cui il principio affermato dalle Sezioni Unite in subiecta materia andrebbe sezionato distinguendo, da un lato, il fondo P.I.A. (il cui rendimento di polizza sarebbe da ritenere comunque sottoposto al regime fiscale di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6, ancorché non ottenuto attraverso la gestione del capitale accantonato sul mercato) e, dall’altro, il fondo denominato Fondenel (al quale soltanto andrebbe correlato il riferimento al rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato del capitale accantonato), costituisce una posizione difensiva da considerarsi, comunque, nel caso di specie preclusa dal principio di diritto affermato nella sentenza di cassazione con rinvio che, pur richiamando il principio enunciato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 13642 del 2011, ne ha fornito una lettura che costituisce ormai irretrattabile regola del caso concreto (nello stesso senso, con riferimento al rapporto, nella medesima materia, tra il principio di diritto esposto da Cass., S.U., n. 13642/2011, richiamato nella precedente ordinanza di rinvio, ed i limiti del giudizio rimesso al giudice del rinvio, cfr. Cass. n. 10285/2017, in motivazione).

1.1. Peraltro, come questa Corte ha già rilevato (Cass.

15/06/2018, n. 15853, in motivazione; Cass., 30/10/2018, n. 27610, in motivazione), la pretesa distinta considerazione, al fine che qui interessa, tra P.I.A. e Fondenel non può comunque ricavarsi dal ripetuto arresto delle Sezioni Unite, il quale invero descrive il fondo de quo in termini chiari e univoci, e senza alcuna distinzione rispetto alle diverse configurazioni succedutesi nel tempo, quale “fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente” le cui prestazioni sono composte “da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore), e da un “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato”; data tale premessa non può dubitarsi – anche per la congiunzione “sicché” che lega i due periodi da nesso logico di conseguenzialità – che il successivo riferimento testuale al “rendimento di polizza (nella fattispecie P.I.A.)” abbia solo un valore descrittivo/esemplificativo della parte dei capitali corrisposti eventualmente tassabile nella misura del 12,5 per cento ai sensi della L. n. 482 del 1985, art. 6, fermo restando il requisito poco prima indicato perché un tale rendimento possa effettivamente identificarsi, rappresentato dall’essere lo stesso discendente dalla “gestione sul mercato del capitale accantonato”. Resta dunque confermato che il requisito del rendimento netto, derivante dalla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato, andrà ricercato anche per i capitali maturati e gli accantonamenti effettuati anteriormente alla trasformazione del fondo da P.I.A. a Fondenel, ai fini dell’applicazione dell’aliquota del 12,5%, ai sensi della L. n. 482 del 1985, art. 6, ai capitali maturati anteriormente al r gennaio 2001 dai soggetti iscritti al fondo di previdenza integrativa di che trattasi (P.I.A., poi Fondenel) prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, solo limitatamente a quella parte di essi che, per l’appunto, costituisca rendimento netto nel senso appena precisato.

1.2. Su una lettura del principio affermato dalle Sezioni

Unite, secondo la quale il predetto più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme rivenienti dall’effettivo investimento, da parte del fondo, sul mercato finanziario, del capitale accantonato e che ne costituiscano il rendimento, la successiva giurisprudenza di questa Corte si è già attestata con numerosissimi arresti (cfr. ex multis Cass., 19/06/2018, n. 16116; Cass., 7/3/2018, n. 5436; Cass., 19/06/2018, n. 16116; Cass., 18/10/2017, n. 24525; Cass., 26/4/2017, n. 10285; Cass., n. 720/2017; Cass., n. 10604/2015; Cass., n. 8310/2014; Cass., n. 3132/2014; Cass., n. 22950/2013; Cass., n. 7724-7728/2013), di gran lunga prevalenti su quelli di segno diverso (tra i quali, con riferimento alla P.I.A., Cass., n. 11830/2017 e Cass., n. 11836/2017, superate sul punto dalle già citate Cass. 15/06/2018, n. 15853 e Cass., 30/10/2018, n. 27610, che hanno ribadito puntualmente, in motivazione, la continuità dell’orientamento al quale in questa sede si intende aderire).

Ed in questo senso si è pronunciata anche la sentenza di questa Corte che, cassando la precedente decisione della CTR, ha fatto specifico riferimento, nel contesto del principio di diritto, proprio all’investimento sul “mercato finanziario”.

1.3. Per completezza, ed a prescindere dalla specifica

declinazione del principio di diritto formulata nella sentenza che ha rinviato nel caso di specie al giudice a quo, è opportuno aggiungere che, nel dare continuità al predetto orientamento, questa Corte ha tuttavia anche precisato che non v’e’ ragione di circoscrivere ulteriormente il requisito – necessario anche rispetto ai capitali maturati ed agli accantonamenti effettuati anteriormente alla trasformazione del fondo da P.I.A. a Fondenel- ai soli (eventuali) investimenti nel mercato finanziario, secondo l’indicazione fornita dalla Risoluzione n. 102/E del 26 novembre 2012 dell’Agenzia delle entrate ed avallata da diverse sentenze successive alla citata pronuncia delle Sezioni Unite (v. ex aliis Cass. nn. 7724-7728, 1249112496, 22950 del 2013; nn. 3136, 6380 e 8310 del 2014; n. 1977 del 2015), ma non contenuta in quest’ultima, che parla soltanto di “gestione sul mercato”, senza alcuna aggettivazione.

Pertanto, il requisito della derivazione del rendimento dalla “gestione sul mercato” del capitale accantonato, che identifica la ragione stessa della più favorevole tassazione del reddito, non presuppone necessariamente che lo stesso rendimento costituisca il risultato di investimenti, effettuati dall’ente di gestione della somma versata, indirizzati verso i vari prodotti del mercato finanziario (strumenti finanziari, valori mobiliari, etc.), ma comprende anche quelli diretti verso altri tipi di mercato (Cass., n. 10285/2017. Conformi Cass., 15/06/2018, n. 15853; Cass. 30/10/2018, n. 27610).

1.4. Va poi aggiunto che il “rendimento” derivante dalla

“gestione sul mercato” del capitale accantonato non può identificarsi, al fine di applicare l’aliquota del 12,50%, con quello determinato in corrispondenza alla redditività ottenuta sul mercato dall’intero patrimonio dell’Enel s.p.a., poiché la giurisprudenza di questa Corte ha già ritenuto che tale coerenza (del rendimento ottenuto dal capitale accantonato con quello ottenuto dal patrimonio dell’Enel s.p.a.) costituisce, comunque un dato estrinseco e non causale, nel senso che il primo non può comunque considerarsi frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato, come richiesto perché abbia a configurarsi il reddito da capitale della specie richiesta, essendo al contrario esso stesso dipeso da un predeterminato calcolo di matematica attuariale (così la citata Cass., n. 10285/2017.Nello stesso senso Cass. n. 5436/2018. Cfr. Cass. n. 4941/18).

1.5. La lettura della sentenza di rinvio – che rimetteva la causa al giudice del merito, affinché facesse concreto accertamento della natura dell’attribuzione patrimoniale su cui va applicata la tassazione – esclude poi la fondatezza della tesi del controricorrente secondo la quale, nel giudizio di merito, per effetto dell’asserita mancata contestazione da parte dell’Ufficio circa l’applicazione dell’aliquota del 12,50%, sarebbe divenuta incontestabile la sussistenza del “rendimento”, inteso nel senso sinora precisato.

Infatti, la verifica dell’esistenza o meno dei presupposti dell’applicazione dell’aliquota del 12,50%, che dalla stessa sentenza impugnata risulta contestata dall’Ufficio nel giudizio di merito, costituiva proprio l’accertamento demandato al giudice del rinvio, relativamente innanzitutto all’an di un “rendimento” da sottoporre alla pretesa minore imposizione, ed eventualmente al quantum delle somme sulle quali applicare l’aliquota ridotta.

Ciò esclude che l’asserita mancanza di una specifica contestazione, da parte dell’Ufficio, della documentazione, prodotta dal contribuente, che quantifichi e conteggi il preteso “rendimento netto”, possa aver reso incontestabile tale dato. Infatti, questa Corte (Cass., n. 29613/11) ha già precisato che “il difetto di specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa dell’attore, allorché il convenuto si limiti a negare in radice l’esistenza di tale credito, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione sull’an debeatur (Cass. SS.UU. 761/02)” e che ” il principio di non contestazione opera sul piano della prova, cosicché nel processo tributario (nel quale pure è certamente applicabile, vedi Cass. n. 1540/07) esso non elide l’operatività dell’altro principio – operante sul piano dell’allegazione e collegato alla specialità del contenzioso tributario – secondo cui la mancata presa di posizione sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in linea di subordine non equivale ad ammissione delle affermazioni che tali motivi sostanziano, né determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ufficio impositore, qualora le questioni da quello dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, le diverse argomentazioni difensive da opporre alle domande subordinate avversarie (cfr. Cass. 7789/ 06)”.

Con specifico riferimento proprio alla medesima materia qui sub iudice, è stato inoltre ritenuto (Cass., 12/05/2016, n. 9732) che “In tema di contenzioso tributario, il difetto di specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa dell’attore contribuente, che abbia articolato istanza di rimborso di un tributo, allorché il convenuto abbia negato l’esistenza di tale credito, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione dell'”an debeatur”, poiché il principio di non contestazione opera sul piano della prova e non contrasta, né supera, il diverso principio per cui la mancata presa di posizione sul tema introdotto dal contribuente non restringe il “thema decidendum” ai soli motivi contestati se sia stato chiesto il rigetto dell’intera domanda. (Fattispecie relativa alla non contestazione da parte dell’Ufficio dei dati risultanti dalla documentazione prodotta dal contribuente, in ordine al rendimento di polizza in presenza di contestazione dell’intera domanda introdotta).”.

1.6. Peraltro, in altre occasioni questa Corte ha comunque già avuto modo di chiarire che documentazione proveniente dall’Enel s.p.a. non è idonea ad assolvere all’onere probatorio gravante sul contribuente, che agisca per ottenere l’accertamento del suo diritto al preteso rimborso, se non contenga alcuna specificazione sui criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (confr. Cass., 21.12.2016, n. 720; Cass., 15.3.2017, n. 13278; Cass. 16.3.2017, n. 13281).

1.7. Tutto ciò premesso, deve quindi concludersi che,

così come denunciato dall’Agenzia ricorrente, il giudice a quo, non si è attenuto al principio di diritto già espresso da questa Corte con l’ordinanza n. 10344 del 26 aprile 2017.

La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio al giudice a quo, affinché si uniformi al principio di diritto già espresso da questa Corte con l’ordinanza n. 10344 del 26 aprile 2017.

2. Resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo il secondo, con il quale si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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