Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25680 del 13/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 13/11/2020, (ud. 22/10/2020, dep. 13/11/2020), n.25680

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20319-2019 proposto da:

B.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA E GIANTURCO

5, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO VILLARI, rappresentato e

difeso dagli avvocati SALVATORE SANTONOCITO, GIUSEPPE BOTTARI;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 292/2019 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 11/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

B.L. ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza 11 aprile 2019, n. 292/2018, resa dalla Corte d’appello di Messina.

L’intimato Condominio (OMISSIS) non ha svolto attività difensive.

La Corte d’appello di Messina, rigettando il gravame proposto da B.L., ha confermato la decisione presa in primo grado dal Tribunale di Messina, che aveva rigettato l’impugnazione della deliberazione assembleare 5 marzo 2013 del Condominio (OMISSIS), quanto al terzo punto all’ordine del giorno, ovvero alla “ratifica” della precedente Delib. 22 giugno 2009. La Corte d’appello ha ritenuto infondata la censura di Letterio B.L. in punto di conflitto di interessi dei condomini L., C. e C. (conflitto già negato dal Tribunale, essendo l’interesse di tali condomini finalizzato al rifacimento del tetto comune e perciò coincidente con l’interesse condominiale), affermando perciò che l’iniziale Delib. 22 giugno 2009 doveva al più qualificarsi annullabile (e non nulla) e, “in quanto tale ratificabile”. Così anche l’omessa convocazione di B.L. alla pregressa assemblea del 22 giugno 2009 risultava, per i giudici di secondo grado, sanata dalla nuova Delib. adottata il 5 marzo 2013. Infine, la sentenza impugnata evidenziò come il B. fosse venuto a conoscenza del contenuto della Delib. 22 giugno 2009, avendone fatto copia dopo la riunione del 26 giugno 2012.

Il primo motivo del ricorso di B.L. deduce la nullità della sentenza impugnata, in quanto deliberata in camera di consiglio il 9 aprile 2019 senza tener conto della memoria di replica dell’appellante, giacchè depositata soltanto il giorno precedente, ovvero l’8 aprile 2019, allorquando veniva in scadenza il relativo termine ex artt. 352 e 190 c.p.c..

Il secondo motivo del ricorso di B.L. denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2373 c.c., evidenziando come la deliberazione assembleare del 5 marzo 2013 fosse stata approvata con il voto favorevole di soggetti ( L., C. e C.) in conflitto di interessi visto l’argomento trattato; tali condomini dovevano, pertanto, espungersi dalla votazione, e ciò avrebbe determinato il mancato raggiungimento delle necessarie maggioranze. In particolare, si deduce l’avvenuto annullamento della Delib. 22 giugno 2009 (con sentenze n. 1984/2014 del Tribunale di Messina e n. 258/2016 della Corte d’appello di Messina), con cui era stato disposto il rifacimento di una porzione del tetto condominiale. La censura sottopone la deliberazione impugnata del 5 marzo 2013 alla “prova di resistenza”, decurtando le quote dei condomini L., C. e C. e così deducendo che sarebbe mancata la maggioranza necessaria per “procedere alla ratifica” della Delib. 22 giugno 2009. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2377 c.c., comma 8, assumendo che l’ordine del giorno dell’assemblea del 5 marzo 2013 non faceva riferimento all’argomento oggetto della Delib. 22 giugno 2009 (lavori di rifacimento parziale del tetto), prevendendo al punto 3 soltanto la voce “ratifica Delib. assembleare 22 giugno 2009”. D’altro canto, la deliberazione del 22 giugno 2009 era poi stata sostituita all’assemblea del 5 marzo 2013 con altra tuttora affetta da conflitto di interessi.

Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c., in quanto la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare l’invalidità della Delib. 5 marzo 2013 e condannare il Condominio (OMISSIS) alle spese di lite.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il ricorrente ha presentato memoria. Va disattesa l’istanza di riunione del presente giudizio a quello contraddistinto da R.G. n. 16474/2016, pendente davanti alla Seconda Sezione civile di questa Corte, non sussistendo le ragioni di economia processuale che giustificano la trattazione congiunta di procedimenti relativi a cause connesse, ai sensi dell’art. 274 c.p.c..

Il primo motivo di ricorso è del tutto infondato.

Ove il giudice di appello, come nel caso di specie, abbia deciso la causa il giorno successivo alla scadenza dei termini assegnati alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, non è all’evidenza ipotizzabile alcuna nullità della sentenza, non ravvisandosi neppure in astratto un pregiudizio del diritto di difesa delle parti, le quali potranno, piuttosto, invocare la cassazione di detta sentenza ove la stessa non contenga motivata risposta in ordine alle argomentazioni, alle istanze o alle modifiche eventualmente addotte negli scritti difensivi che si assumano non esaminati dal giudice.

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che possono esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, risultano comunque infondati, pur dovendosi correggere la motivazione della sentenza impugnata. Le due censure pongono la questione del vizio del conflitto di interessi che avrebbe inficiato tanto la Delib. dell’assemblea del 5 marzo 2013, impugnata nel presente giudizio, quanto la Delib. 22 giugno 2009, che sarebbe stata “ratificata” dalla più recente, deducendo che tale vizio del procedimento collegiale avrebbe imposto un diverso calcolo delle necessarie maggioranze assembleari. Tale conclusione è contraria all’ormai consolidato orientamento interpretativo di questa Corte relativo alla questione di diritto da decidere.

E’ vero che in tema di impugnazione delle delibere condominiali, perchè possa verificarsi la rinnovazione sanante con effetti retroattivi, alla stregua dell’art. 2377 c.c., comma 8, è necessario che la deliberazione impugnata sia sostituita con altra che abbia un identico contenuto, e che cioè provveda sui medesimi argomenti, della prima deliberazione, ferma soltanto l’avvenuta rimozione dell’iniziale causa di invalidità (Cass. Sez. 6-2, 8 giugno 2020, n. 10847; Cass. Sez. 2, 09/12/1997, n. 12439; Cass. Sez. 2, 30/12/1992, n. 13740). Nel caso in esame, la deliberazione del 5 marzo 2013 poteva perciò spiegare efficacia sanante quanto alla dedotta mancata convocazione del condomino B. alla riunione del 22 giugno 2009, ma non quanto all’ipotizzato conflitto di interessi di alcuni condomini, ribadendo sul punto la portata organizzativa della precedente deliberazione.

D’altro canto, avuto riguardo alla allegazione da parte del ricorrente di precedenti decisioni della Corte d’appello di Messina, comunque prive di efficacia di giudicato nella vicenda in esame, va considerato come, nella concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto della decisione, il giudice non deve dimostrare esplicitamente l’infondatezza o la non pertinenza di eventuali precedenti giurisprudenziali difformi (neppure se si tratti di cd. autoprecedenti e, cioè, decisioni rese in fattispecie analoghe o simili dallo stesso ufficio), poichè i motivi della decisione, in tanto possono essere viziati, in quanto siano di per sè erronei, in fatto o in diritto, in relazione alla fattispecie concreta, non già perchè eventualmente in contrasto con quelli addotti in decisioni riguardanti altre fattispecie analoghe, simili o addirittura identiche.

E’ invece inammissibile il riferimento che si fa nel terzo motivo alla incompletezza dell’ordine del giorno comunicato per l’assemblea del 5 marzo 2013, trattandosi di questione di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, sicchè era il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, avrebbe dovuto allegare, agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, l’avvenuta tempestiva deduzione di tale questione innanzi al giudice di merito. Al contrario, nell’esposizione del contenuto dell’atto di citazione notificato il 3 aprile 2013, non si riferisce in ricorso di alcuna doglianza mossa in sede di impugnativa ex art. 1137 c.c., con riguardo alla idoneità dell’ordine del giorno della riunione del 5 marzo 2013 a prefigurare gli argomenti da trattare. La sostanza del secondo e del terzo motivo di ricorso non tiene comunque conto dell’orientamento in base al quale, in tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio, sia ai fini del “quorum” costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (e non debbono) astenersi dall’esercitare il diritto di voto, ferma la possibilità per ciascun partecipante di ricorrere all’autorità giudiziaria in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio (così Cass. Sez. 6 – 2, 25/01/2018, n. 1849; Cass. Sez. 6 – 2, 25/01/2018, n. 1853; Cass. Sez. 2, 28/09/2015, n. 19131; Cass. Sez. 2, 30/01/2002, n. 1201). Tale orientamento, che discende dal presupposto dell’ammissibilità, nella disciplina delle assemblee di condominio, di una “interpretazione estensiva” (o meglio, del ricorso ad un’applicazione analogica) dell’art. 2373 c.c., considera come nel testo del medesimo art. 2373 c.c., conseguente alla riformulazione operatane dal D.Lgs. n. 6 del 2003, è venuta meno la disposizione che portava a distinguere, in caso di conflitto di interesse, tra quorum costitutivo dell’assemblea e quorum deliberativo della stessa, e si afferma unicamente che la deliberazione approvata con il voto determinante di soci, che abbiano un interesse in conflitto con quello della società, è impugnabile, a norma dell’art. 2377 c.c., qualora possa recarle danno. Nella ricostruzione da ultimo offerta nell’interpretazione giurisprudenziale, dunque, soltanto se risulti dimostrata una sicura divergenza tra l'”interesse istituzionale del condominio” e specifiche ragioni personali di determinati singoli partecipanti, i quali non si siano astenuti ed abbiano, perciò, concorso con il loro voto a formare la maggioranza assembleare, la deliberazione approvata sarà invalida. L’invalidità della delibera discende, quindi, non solo dalla verifica del voto determinante dei condomini aventi un interesse in conflitto con quello del condominio (e che, perciò, abbiano abusato del diritto di voto in assemblea), ma altresì dalla dannosità, sia pure soltanto potenziale, della stessa deliberazione. Il vizio della deliberazione approvata con il voto decisivo dei condomini in conflitto ricorre, in particolare, quando la stessa sia diretta al soddisfacimento di interessi extracondominiali, ovvero di esigenze lesive dell’interesse condominiale all’utilizzazione, al godimento ed alla gestione delle parti comuni dell’edificio. In ogni modo, il sindacato del giudice sulle delibere condominiali deve pur sempre limitarsi al riscontro della legittimità di esse, e non può estendersi alla valutazione del merito, ovvero dell’opportunità, ed al controllo del potere discrezionale che l’assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei partecipanti (si veda, ad esempio, Cass. Sez. 2, 20/06/2012, n. 10199). L’impugnazione ex art. 1137 c.c., grazie anche al rinvio all’art. 1109 c.c., consentito dall’art. 1139 c.c., si amplia al più all’ipotesi in cui la delibera ecceda dai poteri dell’organo assembleare, non potendosi consentire alla maggioranza del collegio, distolta dal perseguimento di interessi particolari, di ledere l’interesse collettivo. Nel caso in esame, il Tribunale di Messina aveva escluso che, nell’approvare con la Delib. 5 marzo 2013 il rifacimento del tetto comune, l’assemblea, supportata dal voto dei condomini L., C. e C., avesse perseguito apprezzamenti obiettivamente rivolti alla realizzazione di interessi incompatibili con l’interesse collettivo alla buona gestione dell’amministrazione. Tale profilo non è stato nemmeno più oggetto di specifica censura devoluta al giudice d’appello.

Il ricorso va perciò rigettato. Non occorre provvedere in ordine alle spese del giudizio di cassazione, in quanto l’intimato non ha svolto difese in questa sede.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2020

 

 

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