Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25677 del 15/11/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 25677 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: CHINDEMI DOMENICO

SENTENZA
sul ricorso 6036-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

GAUDENZI GIOVANNI nq di titolare della omonima ditta,
elettivamente domiciliato in ROMA Via CAETANA 13-A
(ST.LEGALE GRAZIANI), presso lo studio dell’avvocato
LOMBARDI ANDREA, rappresentato e difeso dagli avvocati
PAOLO LOMBARDINI, CAPARRINI CARLO giusta delega in

Data pubblicazione: 15/11/2013

calce;

avverso la sentenza n.

140/2007

controricorrente

della COMM.TRIB.REG.

di BOLOGNA, depositata il 18/01/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
19/09/2013

dal Consigliere Dott. DOMENICO

CHINDEMI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del 1 0 motivo del ricorso, accoglimento 2 ° e
30 motivo, assorbito il 4°.

udienza del

R.G. 6036/2009
Fatto
La Commissione tributaria regionale dell’Emilia, con sentenza n. 140/01/07, depositata il
18.1.2008, in parziale accoglimento dell’appello avverso la sentenza della Commissione tributaria
provinciale di Rimini 133/01/2006, rideterminava le sanzioni, nei confronti di Gaudenzi Giovanni
per l’anno di imposta 2002, ai sensi dell’art. 3 1. 73/2002, in complessivi C 1.950 (€ 1500 quale

essendo stata accertata, da parte degli ispettori di vigilanza dell’Inps, a seguito di ispezione
compiuta in data 8.7.2003, la presenza di tre lavoratrici irregolarmente occupate e non registrate nel
libro matricola.
Proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate deducendo i seguenti motivi:
a) violazione dell’art. 360, n. uno, c.p.c. rilevando, a seguito della sentenza della Corte
Costituzionale 14/5/2008, n. 130, il difetto di giurisdizione del giudice tributario sulle controversie
relative alle sanzioni irrogate dagli uffici finanziari per l’impiego di lavoratori non risultanti dalle
scritture obbligatorie;
b) violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 4, D.lgs n. 546/92, in relazione all’articolo
360, numero tre c.p.c, essendo necessario che nel processo tributario le dichiarazione di terzi ( nella
fattispecie dei lavoratori) provino adeguato conforto in ulteriori elementi convergenti, non potendo
concorrere da sole alla formazione del convincimento del giudice
e) violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 3, nel testo vigente ratione temporis, D.L.
22/2/2002, n.12, convertito con modificazioni in 1. 23/4/2002, n. 73, in relazione all’art. 360, n. tre,
ritenendo illegittimo il periodo da sanzionare sulla base dell’accertamento Inps effettuata ai fini
dell’applicazione delle sanzioni per l’omessa contribuzione e omessa corresponsione del premio
Inail, dovendo la sanzione amministrativa essere comminata per il periodo compreso tra l’inizio
dell’anno e la data di constatazione della violazione, salvo effettive concreta prova contraria a carico
della parte datoriale;
d) violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 3, nel testo vigente ratione temporis, D.L.
22/2/2002, n.12, convertito con modificazioni in 1. 23/4/2002, n. 73, in relazione all’art. 360, n. tre,
c.p.c.,rilevando come nella fattispecie avrebbe dovuto essere applicato l’art. 3, comma 3, D.L. n. 12
/2002 nel testo in vigore dal 25/4/2002 al 11/8/2006, prima della modifica introdotta dall’art. 36 bis,
comma 7, lett. a) e b) d.l. 223/2006 , convertito con modificazioni dalla 1. 4/8/2006, n. 248, entrate
in vigore in data 12/8/2006.
L’intimato si è costituito con controricorso.
i

importo fisso nella misura minima prevista + E 150 per un giorno di scopertura per tre lavoratrici),

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 19.9.2013, in cui il PG ha concluso come in
epigrafe.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo è infondato.
Se è vero infatti che a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 130 del 2008, con cui è
stata dichiarata la illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 (come sostituito dalla
L. n. 448 del 2001, art. 12, comma 2) nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le

violazione di disposizioni non aventi natura fiscale(quali quelle in esame), la presente controversia
appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario (Cass. S.U. 15846/2008), la pronuncia del giudice
delle legge non può incidere su una situazione già esaurita, quale – nella specie – il giudicato
implicito sulla giurisdizione formatosi a seguito della decisione di merito pronunciata in primo
grado e non impugnata in sede d’appello in punto di difetto di giurisdizione, sebbene tale difetto
fosse stato già rilevato dalla Corte Costituzionale con le ordinanze n. 34 e 35 del 2006 e 395/2007,
che avevano sottolineato l’imprescindibile collegamento tra la giurisdizione del giudice tributario e
la natura tributaria del rapporto.
L’interpretazione dell’art. 37 cod. proc. civ., secondo cui il difetto di giurisdizione “è rilevato, anche
d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”, deve tenere conto dei principi di economia
processuale e di ragionevole durata del processo (“asse portante della nuova lettura della norma”),
della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e
dell’affievolirsi dell’idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo
essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto
della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. (Cass. Sez. U, Sentenza n.
24883 del 09/10/2008; cfr anche Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2067 del 28/01/2011; Cass. Sez.
U,Sentenza n. 26019 del 30/10/2008; Cass. Sez. U, Sentenza n. 26019 del 30/10/2008)
Il principio costituzionale della durata ragionevole del processo consente,quindi, come nella
fattispecie, di escludere la rilevabilità davanti alla Corte di cassazione, del difetto di giurisdizione
qualora sul punto si sia formato un giudicato implicito, per effetto della implicita pronuncia sul
merito in primo grado e della mancata impugnazione, al riguardo, dinanzi al giudice di appello. È,
quindi, inammissibile l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di
legittimità dalla Agenzia che, soccombente nel merito in primo grado, aveva appellato la sentenza
del giudice tributario senza formulare alcuna eccezione sulla giurisdizione, così ponendo in essere
un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire il difetto di giurisdizione e prestando
acquiescenza al capo implicito sulla giurisdizione della sentenza di primo grado, ai sensi dell’art.
329, comma 2 cod. proc. civ.
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controversie relative a tutte le sanzioni irrogate dagli Uffici finanziari, anche quando conseguano a

2. Il secondo e terzo motivo, esaminati congiuntamente in quanto logicamente connessi, vanno
accolti.
La sentenza della Corte Cost. 12.4.2005 n. 144 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, in
relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, l’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 1992,
n. 12, convertito in legge dall’art. 1 della legge 23 aprile 2002, n. 72, nella parte in cui non ammette
la possibilità di provare che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al
primo gennaio dell’anno in cui è stata constatata la violazione.

legge 23 aprile 2002, n. 73 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 36 bis del d.l. 4
luglio 2006, n. 223, conv. in legge 24 agosto 2006, n. 248) non richiede, da parte
dell’Amministrazione, alcun onere di dimostrare l’effettiva durata del rapporto di lavoro irregolare,
essendo sufficiente il mero accertamento dell’esecuzione di prestazione lavorativa da parte di
soggetto che non risulti da scritture o da altra documentazione obbligatoria.
È, invece, specifico onere del datore di lavoro dimostrare l’effettiva durata della prestazione
lavorativa per evitare che l’entità della sanzione pecuniaria sia determinata “ex lege”, “per il periodo
compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione (Sez. 5, Sentenza n. 21778
del 20/10/2011)
Fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dall’art. 7 del d.lgs. 31
dicembre 1992, n. 546, nel processo tributario, sussiste il potere di introdurre, per entrambe le parti,
dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale – con il valore probatorio proprio degli elementi
indiziari, i quali, possono concorrere a formare il convincimento del giudice, per garantire il
principio della parità delle armi processuali nonché l’effettività del diritto di difesa.
I verbali di accertamento dell’ispettorato del lavoro e dei funzionari ispettivi degli enti
previdenziali, in materia di omesso versamento di contributi, fanno fede, fino a querela di falso,
sulla loro provenienza dal pubblico ufficiale che li ha formati, nonché sui fatti che il medesimo
attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti e possono, altresì, fornire utili elementi di
giudizio, liberamente apprezzabili, in ordine agli altri fatti che i verbalizzanti abbiano dichiarato di
aver desunto o attinto dall’inchiesta da essi svolta, ivi comprese le dichiarazioni di terzi tra cui
vanno ricomprese anche le dichiarazioni dei lavoratori oggetto di indagine ispettiva. (Cass. Sez. L,
Sentenza n. 14158 del 02/10/2002)
Peraltro il verbale ispettivo dà contezza unicamente della situazione riscontrata dagli ispettori al
momento dell’accesso e non è finalizzato a individuare la durata dell’illecito ai fini della sanzione
in questione, stante la presunzione (relativa) di retrodatazione dell’assunzione (superabile dal
datore di lavoro), essendovi una evidente differenza tra i comparti normativi che regolano il
recupero dei contributi previdenziali, la repressione degli illeciti connessi all’assunzione e le
3

L’irrogazione della sanzione prevista dall’art. 3, comma 3, del d.l. 22 febbraio 2002, n. 12, conv. in

sanzioni di contrasto alla c.d economia sommersa.
Nella fattispecie i giudici di merito hanno fondato la decisione sulla base “delle dichiarazioni
rilasciate dai dipendenti agli ispettori Inps e non è sufficiente a provare la data di inizio del
rapporto di lavoro la sola dichiarazione del dipendente, in mancanza di ulteriori elementi di prova
che facciano ritenere plausibile tale affermazione, apparendo la motivazione sopra riportata del
tutto insufficiente a dimostrare la data di effettivo inizio del rapporto di lavoro (cfr Cass. Sez. 5,
Sentenza n. 1960 del 10/02/2012)

La CTR non ha applicato l’art. 3, comma 3, D.L. n. 12 /2002 nel testo in vigore dal 25/4/2002 al
11/8/2006, prima della modifica introdotta dall’art. 36 bis, comma 7, lett. a) e b) d.l. 223/2006 ,
convertito con modificazioni dalla 1. 4/8/2006, n. 248, entrate in vigore in data 12/8/2006.
L’ art. 3, comma 3„ D.Igs n. 472/97, nel prevedere il principio del favor rei, afferma che ” se la
legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono
sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di
irrogazione sia divenuto definitivo”
Va, tuttavia, evidenziato che il D.lgs 472/97 concerne le ” disposizioni generali in materia di
sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’art. 3, comma 3, della
legge 23 dicembre 1996, n. 662.
Nella fattispecie in esame non si ravvisano violazione di norme tributarie, trattandosi di violazione
di sanzioni amministrative di natura non tributarie, attenendo alla disciplina lavoristica.
La stessa Corte Costituzionale, con sentenza n. 140/2002, ha ribadito che, con riferimento alle
sanzioni amministrative, rientranti nell’ambito di applicazione della legge 689/1981, vigono i
principi di legalità e di irretroattività della legge, principi diversi da quelli contemplati dal D.lgs
472/1997, ispirati al principio del favor rei, di matrice lavoristica, il cui risvolto è la retroattività
della lex mitior, come tale inconferente nel caso in questione.
In particolare , evidenzi la Consulta, “per quanto riguarda la disciplina generale e di principio
delle sanzioni amministrative pecuniarie non è dato rinvenire, in caso di successione di leggi nel
tempo, un vincolo imposto al legislatore nel senso dell’applicazione della legge posteriore più
favorevole, rientrando nella discrezionalità del legislatore – nel rispetto del limite della
ragionevolezza – modulare le proprie determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore a
seconda delle materie oggetto di disciplina; sotto tale profilo, non può ritenersi irragionevole che,
in riferimento a particolari tipologie di illeciti amministrativi (nella specie, tributari e valutari),
interessate da ampi interventi di riforma e caratterizzate da peculiarità sostanziali che ne
giustificano uno specifico trattamento sanzionatorio (cfr., ad esempio, sentenza n. 49 del 1999 in
materia bancaria e creditizia), il legislatore abbia optato per l’introduzione di una disciplina di
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4. È anche fondato l’ultimo motivo di ricorso.

maggior favore per l’autore della trasgressione, senza che, trasformando l’eccezione in regola,
dette scelte debbano essere generalizzate e poste come disposizioni di principio, come invece
prospettato dal giudice a quo; che le stesse considerazioni portano a concludere nel medesimo
senso in relazione alla seconda questione, sollevata dal rimettente in riferimento all’art. 7, comma
12, del decreto legislativo n. 389 del 1997, non sussistendo, alla stregua del principio di
uguaglianza, un obbligo di estensione della particolare disciplina dettata per determinate materie,
come gli illeciti tributari e valutari, ad altre tipologie di illecito, le cui caratteristiche possono
Va, quindi, applicato, alla fattispecie, l’art. 3, comma 3, D.L. 222.2002,n. 12, conv. In 1.
23.4.2002,n. 73, vigente ratione temporis, che prevede: “ferma restando l’applicazione delle
sanzioni previste, l’impiego dei lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture od altra
documentazione obbligatoria, è, altresì, punito con la sanzione amministrativa dal 200 al 400
percento dell’importo, per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base di
vigenti contratti collettivi nazionali, per il periodo compreso fra l’inizio dell’anno della data di
contestazione delle violazioni”
La CTR ha, quindi, erroneamente applicato una norma successiva alla riscontrata violazione, senza
che alla stessa potesse riconoscersi valenza retroattiva.
In conclusione va rigettato il primo motivo di ricorso, accolti gli altri, cassata la sentenza
impugnata e non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c.,
rigettato l’originario ricorso del contribuente.
Essendosi consolidata la giurisprudenza in epoca successiva alla proposizione del ricorso sussistono
giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.
PQM
Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie gli altri, cassa la sentenza impugnata e non essendo
necessari ulteriori accertamenti di merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., rigetta l’originario ricorso del
contribuente.
Dichiara compensate le spese dell’intero giudizio
Così deciso in Roma, il 19.9.2013

essere valutate dal legislatore anche ai fini che qui interessano”.

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