Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25673 del 14/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 14/12/2016, (ud. 28/10/2016, dep.14/12/2016),  n. 25673

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1099/2011 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, entrambi

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.F.A.F., elettivamente domiciliato in Roma,

viale Regina Margherita, n. 262, presso lo studio dell’Avv. Massimo

Nardi e dell’Avv. Luigi Marsico che lo rappresentano e difendono per

procura margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania, sezione staccata di Salerno, n. 282/2/24, depositata il

05/10/2010;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28

ottobre 2016 dal Relatore Cons. Emilio Iannello;

udito l’Avvocato dello Stato Carlo Maria Pisana per la ricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

SORRENTINO Federico, il quale ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. D.F.A.F. riceveva quale responsabile solidale la notifica di una cartella di pagamento per Irpeg e Ilor, oltre sanzioni ed interessi, relativamente all’anno d’imposta 1995, fondata su un avviso di accertamento intestato alla società MA.VI.AL., Marrone Vini Alcool S.r.l., della quale egli era stato rappresentante legale fino al 10 maggio 2004.

Il D.F. non impugnava la cartella, ma ricevuta, successivamente, comunicazione dell’avvenuta iscrizione di ipoteca sui suoi beni personali a seguito della cartella medesima, presentava prima una istanza di sgravio parziale per le imposte e gli interessi e poi, a revoca e sostituzione della precedente istanza, una domanda di autotutela per il totale sgravio delle somme poste a suo carico.

La domanda era accolta parzialmente dell’amministrazione che confermava l’iscrizione a ruolo soltanto con riferimento alle sanzioni.

2. Contro tale provvedimento di autotutela parziale il D.F. proponeva ricorso che, rigettato in primo grado, era accolto dalla C.T.R. della Campania, sezione staccata di Salerno, con la sentenza in epigrafe.

Secondo i giudici d’appello, posta la impugnabilità del rifiuto di esercizio di autotutela soltanto per motivi che attengono alla legittimità del rifiuto e non alla fondatezza della pretesa tributaria, nel caso di specie l’impugnato provvedimento dell’Agenzia delle entrate si rivelava sfornito di qualsiasi motivazione e di conseguenza il potere discrezionale dell’amministrazione doveva ritenersi non correttamente esercitato, avuto riguardo all’evoluzione del contesto normativo che deponeva per la riferibilità esclusiva delle sanzioni tributarie alla società.

3. Avverso tale decisione propone ricorso l’Agenzia delle entrate sulla base di quattro motivi, cui resiste il D.F. depositando controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con i primi tre motivi di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19 nonchè della L. 20 marzo 1865, n. 2248, All. E, art. 2 (c.d. legge abolitiva del contenzioso amministrativo), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver ritenuto ammissibile l’impugnazione proposta avverso un provvedimento di rifiuto parziale di autotutela, atto non compreso nella tassativa elencazione degli atti impugnabili contenuta nella prima delle citate disposizioni e, comunque, in subordine (secondo motivo), per aver violato i limiti da essa stessa posti per tale impugnabilità, oltre che i limiti posti al sindacato giurisdizionale degli atti della pubblica amministrazione (terzo motivo), di fatto valutando non solo la legittimità dell’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, ma anche il merito della fondatezza della pretesa erariale.

5. Con il quarto motivo la ricorrente deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – violazione dell’art. 24 Cost. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione alla erronea indicazione, nel frontespizio della sentenza impugnata, quale atto impugnato, della “CARTELLA DI PAGAMENTO N. (OMISSIS) IRPEG + ILOR 2004”, essendo invece pacifico che oggetto del contendere è il provvedimento di diniego parziale di autotutela.

Ove, per denegata ipotesi, si ritenesse tale indicazione rilevante ai fini della individuazione del contenuto della decisione impugnata e non mero frutto di errore materiale, la ricorrente deduce vizio di ultrapetizione essendo estranea alla controversia alcuna domanda di annullamento della cartella di pagamento.

6. E’ inammissibile il quarto motivo di ricorso che occorre esaminare per primo in ragione del suo rilievo preliminare.

La doglianza muove dalla premessa (peraltro dalla stessa ricorrente prospettata alla stregua di mera “ipotesi iperbolica”) che la sentenza impugnata pronunci su domanda di annullamento della cartella esattoriale.

Tale premessa non trova però riscontro nella motivazione e nel dispositivo della sentenza ma anzi ne è chiaramente smentita posto che dalla prima, in particolare, si ricava ampiamente e univocamente che la controversia su cui la C.T.R. si è pronunciata afferiva esclusivamente all’impugnazione di provvedimento di diniego parziale di autotutela.

Nessun rilievo può in senso contrario assegnarsi alla epigrafe della sentenza, essendo appena il caso di rilevare che nel contrasto tra epigrafe, da un lato, e motivazione e dispositivo, dall’altro, è a questi ultimi che occorre esclusivamente guardare per l’individuazione della decisione impugnata, dovendosi, per converso, le diverse indicazioni contenute nell’epigrafe, attribuire a mero ininfluente errore materiale nell’intestazione dell’atto che, come è stato detto, “non trasforma la sentenza in decisione di altro procedimento” (Cass., Sez. 5, n. 9204 del 06/05/2016; Sez. L, n. 2033 del 09/03/1999, Rv. 523966).

7. E’ invece fondato il primo motivo di ricorso, nei sensi appresso precisati.

In punto di fatto risulta pacifico tra le parti che – come detto – il solo atto impugnato sia effettivamente non la cartella di pagamento emessa nei confronti della parte, bensì il provvedimento reso sull’istanza di annullamento della stessa in autotutela: istanza accolta solo in parte, con lo sgravio di imposte e interessi ma non anche delle sanzioni.

Emerge altresì pacificamente, dalla incontestata esposizione dei fatti contenuta in ricorso, che la cartella predetta non è stata ex se impugnata ed è pertanto divenuta definitiva, ancor prima della emissione del provvedimento reso in autotutela dall’amministrazione di annullamento parziale della stessa.

In tale contesto viene pertanto in rilievo il principio affermato da Cass., Sez. U, n. 3698 del 16/02/2009 (Rv. 606565) – cui si intende dare in questa sede continuità – secondo il quale “in tema di contenzioso tributario, l’atto con il quale l’Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19 e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l’attività di autotutela è connotata in questo caso, sia perchè, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo”.

Non ignora questo Collegio che in senso difforme una giurisprudenza successiva ha ritenuto impugnabile l’annullamento parziale, adottato nell’esercizio del potere di autotutela, di un avviso impositivo già definitivo, trattandosi di un atto contenente la manifestazione di una compiuta e definitiva pretesa tributaria, rispetto a cui, pur se riduttivo dell’originaria pretesa, non può privarsi il contribuente della possibilità di difesa (Cass., Sez. 5, n. 14243 del 08/07/2015, Rv. 635875).

Tale precedente non offre però argomenti convincenti a supporto dell’accolta soluzione, apparendo di contro dirimente il rilievo che, se si tratta di annullamento parziale o comunque di provvedimento di autotutela di portata riduttiva rispetto alla pretesa impositiva contenuta negli atti divenuti definitivi, esso non può comportare alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui già noto e consolidatosi in ragione della mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, per converso potendo e dovendo ammettersi una autonoma impugnabilità del nuovo atto (solo) se di portata ampliativa rispetto all’originaria pretesa (Sez. 5, n. 7511 del 15/04/2016, Rv. 639628).

La sentenza dei Giudici di appello è, dunque, affetta da nullità per error in procedendo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, al cui rilievo non osta l’errata indicazione numerica in rubrica della norma processuale di riferimento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, anzichè n. 4), essendo comunque identificabile in modo univoco il vizio dedotto, di natura eminentemente processuale, in quanto consistente nella errata affermazione della impugnabilità del provvedimento di che trattasi (v. Sez. U, n. 17931 del 24/07/2013, Rv. 627268).

Essa deve quindi essere cassata, restando conseguentemente assorbito l’esame del secondo e del terzo motivo di ricorso.

8. In conclusione il ricorso deve essere accolto.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito ex art. 384 c.p.c. con la declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo.

Considerato che, al momento della proposizione del ricorso, non risultava ancora consolidato un orientamento univoco della giurisprudenza di legittimità sulla specifica questione, sussistono i presupposti per la integrale compensazione delle spese di ambo i gradi del giudizio di merito.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, sono poste a carico della parte soccombente.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti il secondo e il terzo; dichiara inammissibile il quarto; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile il ricorso introduttivo; compensa le spese di ambo i gradi del giudizio di merito; condanna il controricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 8.000, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2016

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