Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25673 del 11/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 11/10/2019, (ud. 07/02/2019, dep. 11/10/2019), n.25673

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19032-2014 proposto da:

AUTOSERVIZI Z.E. S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DI RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato GERARDO VESCI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MATTEO GOLFERINI,

MARGHERITA CAGGESE;

– ricorrenti –

contro

A.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AGRI 1, presso

lo studio dell’avvocato PASQUALE NAPPI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati PIERLUIGI BOIOCCHI, LUCA GIUSEPPE

PIZZIGONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 21/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 25/01/2014 R.G.N. 69/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/02/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GERARDO VESCI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 21/2014, pubblicata il 25 gennaio 2014, la Corte di appello di Brescia ha confermato la decisione di primo grado, con la quale il Tribunale di Bergamo aveva condannato la società Autoservizi Z.E. S.r.l. al pagamento in favore di A.N. della somma di Euro 30.182,39 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, a titolo di differenze retributive conseguenti al riconoscimento di superiore inquadramento, compenso per lavoro straordinario e indennità di agente unico, nonchè al pagamento della somma di Euro 100,00 mensili a decorrere da settembre 2005, e sino alla data della pronuncia, oltre interessi legali, a titolo di risarcimento del danno da demansionamento.

2. La Corte ha osservato a sostegno della propria decisione, quanto all’inquadramento nel parametro 193 c.c.n.l. Autoferrotranvieri in luogo del par. 175 formalmente assegnato dal datore di lavoro in relazione alle mansioni di autista, che l’ A., se pure non si era occupato del “coordinamento degli operatori”, e cioè della predisposizione dei turni di lavoro degli autisti (attività, questa, che risultava effettuata dai responsabili di esercizio), aveva nondimeno svolto plurime attività di controllo, non limitate alla verifica dei titoli di viaggio, tali da rientrare in quel “controllo sulla regolarità dell’esercizio” che costituiva un requisito essenziale per il riconoscimento del superiore parametro rivendicato; quanto al lavoro straordinario, che era corretta la quantificazione di 4,5 ore giornaliere operata dal giudice di primo grado, posto che, secondo ciò che era emerso dalle deposizioni dei testi, l’ A. era rimasto a disposizione dell’azienda per l’intera durata del “nastro lavorativo” di 12 ore al giorno, con conseguente applicabilità, ai fini del diritto al compenso, del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 1 e senza possibilità di deroga per effetto dell’art. 16 D.Lgs. citato, posto che le modalità, con le quali il dipendente effettuava la propria prestazione, non consentivano di qualificarlo come appartenente al “personale viaggiante”, tale qualifica spettando, nell’interpretazione della Corte, al personale che svolga la propria prestazione lavorativa esclusivamente o in modo del tutto prevalente sui mezzi adibiti al trasporto pubblico; quanto poi al demansionamento, la Corte di appello ha osservato che l’ A., tornando a svolgere (dall’ottobre 2005) la sola attività di autista, era rimasto privato delle mansioni superiori sino a quel momento esercitate e che avevano costituito la parte principale, anche sul piano qualitativo, della sua prestazione, con conseguente definitivo riflesso sulla professionalità acquisita, nè la società datrice di lavoro, per sottrarsi alla responsabilità derivante dalla violazione dell’art. 2103 c.c., aveva dedotto, e tanto meno provato, l’inesistenza all’interno dell’azienda di mansioni equivalenti a quelle in precedenza esercitate dal proprio dipendente e al nuovo livello che a questo competeva per effetto delle medesime.

3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Autoservizi Z.E. con sette motivi, assistiti da memoria, cui ha resistito il lavoratore con controricorso.

4. Il ricorso, già fissato per esame in sede camerale, è stato rinviato, con ordinanza del 25 ottobre 2018, a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Si deve preliminarmente rilevare che i motivi di ricorso, sebbene rechino numerazione progressiva da 1) a 8), devono considerarsi, in realtà, sette, atteso che il “motivo” sub 3) non contiene alcuna censura, nei confronti della sentenza impugnata, riconducibile ad uno dei vizi tassativamente indicati nell’art. 360 c.p.c., ponendosi come sviluppo di merito della ritenuta erroneità della decisione della Corte territoriale in punto di diritto del lavoratore al superiore inquadramento.

2. Con il primo motivo, deducendo il vizio di cui all’art. 360, n. 3 con riferimento all’Accordo nazionale del 27 novembre 2000 (classificazione del personale), costituente parte integrante del c.c.n.l. di settore, nonchè con riferimento agli artt. 1362, 1363, 2095 e 2103 c.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere adottato una lettura erroneamente riduttiva del parametro 193, profilo di “addetto all’esercizio”, trascurando, da un lato, di considerare la rilevante importanza, al fine di escludere il diritto al rivendicato inquadramento superiore, della mancata effettuazione, da parte dell’ A., dell’attività di coordinamento degli operatori (e cioè degli autisti, quanto a predisposizione dei turni e imposizione nei loro confronti di ordini e direttive), pure presente nella declaratoria del profilo, e, dall’altro, ritenendo che le mansioni dallo stesso svolte fossero tali da adeguatamente integrare l’elemento del “controllo sulla regolarità dell’esercizio”, senza valutare al riguardo, in contrasto con il criterio di interpretazione complessiva, gli altri profili appartenenti al parametro, contraddistinti da compiti di più ampio ed elevato contenuto professionale.

3. Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 c.c. nonchè vizio di motivazione, la ricorrente si duole che la Corte di appello, nel ritenere accertato il diritto all’inquadramento superiore, abbia trascurato di esaminare tutti i fatti da essa allegati e provati e, in particolare, di considerare l’integrale contenuto delle deposizioni assunte e le relazioni di controllo compilate dallo stesso A..

4. Con il quarto motivo (secondo la numerazione del ricorso: cfr. pp. 40-56) la società, deducendo violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1362 e 1363 c.c.; D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, artt. 1 e 16) e dei contratti e accordi collettivi di lavoro (art. 4 c.c.n.l. 23 luglio 1976), censura la sentenza per avere riconosciuto il diritto al compenso per lavoro straordinario, sulla base della disciplina di cui al D.Lgs. n. 66 del 2003, a partire dal mese di febbraio 2002 e, quindi, anche in relazione ad un periodo anteriore all’entrata in vigore di essa; censura inoltre la sentenza impugnata per avere escluso che l’ A. potesse rientrare tra il “personale viaggiante” (dei servizi pubblici di trasporto per via terrestre), ai sensi e per gli effetti di cui al D.Lgs. citato, art. 16 senza considerare che, per le modalità con cui veniva resa, la sua prestazione poteva essere ricondotta ad altre ipotesi di deroga alla disciplina della durata settimanale dell’orario di lavoro.

5. Con il quinto motivo (secondo la numerazione del ricorso: cfr. pp. 56-64) la società, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e vizio di motivazione, si duole che la Corte di appello, là dove ha affermato il diritto dell’ A. al compenso per lavoro straordinario, sia incorsa in una erronea valutazione delle risultanze probatorie, sia testimoniali che documentali.

6. Con il sesto motivo (secondo la numerazione del ricorso: cfr. pp. 65-68), deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,2103 e 2697 c.c., la società censura la parte di motivazione della sentenza impugnata in cui la Corte di appello ha considerato che per evitare la responsabilità derivante dalla violazione dell’art. 2103 c.c. l’onere del datore di lavoro non era limitato alla sussistenza di ragioni estranee all’azienda ma doveva estendersi alla dimostrazione dell’inesistenza, all’interno di questa, di mansioni equivalenti a quelle in precedenza esercitate e al nuovo livello spettante per effetto delle medesime ed inoltre osservato come tale circostanza non fosse stata dedotta in causa e tanto meno provata dal datore di lavoro, senza peraltro adeguatamente valutare che la soppressione di alcune delle mansioni svolte dall’ A. era stata determinata da fattori non riconducibili alla volontà datoriale e che non può porsi a carico dell’imprenditore, convenuto in giudizio per demansionamento, nè un obbligo di riorganizzazione della propria attività produttiva, nè un obbligo di repechage analogo a quello previsto in caso di licenziamento, tanto più in difetto di allegazioni da parte del lavoratore – come nella specie – circa la possibilità di una diversa e utile ricollocazione.

7. Con il settimo motivo (secondo la numerazione del ricorso: cfr. pp. 68-72), deducendo vizio di motivazione, la società si duole, con riferimento alla stessa parte di sentenza di cui al motivo precedente, che la Corte abbia omesso di esaminare circostanze obiettive, desumibili dalle testimonianze acquisite al giudizio e idonee a condurre ad una diversa decisione in ordine alla soppressione delle mansioni di controllore.

8. Con l’ottavo motivo (secondo la numerazione del ricorso: cfr. pp. 72-76), deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2059,2697 e 2729 c.c., nonchè vizio di motivazione, la società censura infine la sentenza impugnata per avere la Corte ritenuto dimostrato il danno da demansionamento, nonostante che il lavoratore non avesse specificamente allegato la natura e le caratteristiche del pregiudizio subito, e per avere completamente disatteso le risultanze probatorie in punto di danno alla professionalità.

9. Ciò premesso, si rileva anzitutto che il secondo motivo, nonchè i motivi sopra riassunti ai nn. 5, 7 e 8 (quinto, settimo e ottavo, secondo la numerazione del ricorso), risultano inammissibili, là dove è denunciato il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, e ciò in forza della preclusione (c.d. “doppia conforme”) di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c., a fronte di giudizio di appello (R.G. n. 69/2013) introdotto con ricorso depositato successivamente all’11 settembre 2012, data di entrata in vigore della legge di riforma.

10. Nè la ricorrente, al fine di evitare la dichiarazione di inammissibilità del motivo, ha indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528/2014 e successive conformi).

11. Quanto, poi, alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto, si deve anzitutto rilevare che – come più volte precisato da questa Corte – “la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5): Cass. n. 13395/2018, fra le numerose conformi.

12. Si osserva inoltre, con riferimento alla denuncia (nell’ambito del secondo motivo) di erronea applicazione dell’art. 2103 c.c., che essa si risolve in una mera deduzione di sussistenza dell’onere della prova in capo al lavoratore che agisca per ottenere un inquadramento superiore a quello assegnatogli, onere in alcun modo e in alcun luogo messo in dubbio nella sentenza impugnata; mentre con riferimento alla denuncia (ottavo motivo) di erronea applicazione degli artt. 1223,1226,2059 e 2729 c.c., è da rilevare come la Corte, sottolineando la “totale soppressione delle mansioni superiori prima esercitate” dall’ A. e l’idoneità di tale circostanza “a incidere in modo definitivo sulla professionalità acquisita per effetto delle stesse” (cfr. sentenza impugnata, p. 10), abbia posto in evidenza gli elementi essenziali per ritenere esattamente applicato il principio di diritto, secondo il quale “in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell’art. 2103 c.c., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del relativo danno, avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore, determinandone anche l’entità in via equitativa, con processo logico – giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto” (Cass. n. 4652/2009, già citata in sentenza; conforme, fra le più recenti, n. 19778/2014).

13. Il primo motivo è infondato.

14. Si deve premettere che è consolidato e risalente l’orientamento, secondo cui “anche nel caso in cui il datore di lavoro assegni al lavoratore inquadrato in una determinata categoria solo alcune delle mansioni corrispondenti alla categoria superiore, con prevalenza tuttavia rispetto agli altri compiti allo stesso affidati, opera il meccanismo di avanzamento automatico nella qualifica superiore quale previsto dall’art. 2103 c.c., atteso che tale norma non richiede che il lavoratore svolga tutte le mansioni di coloro che sono inquadrati nella suddetta qualifica superiore, ma prescrive soltanto che i compiti affidati al lavoratore siano superiori a quelli della categoria in cui è inquadrato” (Cass. n. 1537/1986 e successive numerose conformi).

15. Nella specie, la Corte di merito ha accertato come, con la sola esclusione dell’attività di predisposizione dei turni degli autisti, affidata ai due responsabili di esercizio, l’ A. avesse svolto molteplici attività di controllo; in particolare, come da concordi dichiarazioni di tutti i testimoni, effettuava “il controllo degli autisti al mattino all’inizio del turno, se essi rispettavano l’orario e se erano in ordine con la divisa aziendale, controllava le linee verificando se i passaggi erano regolari o avvenivano con ritardi e anticipi, controllava il rispetto dei tragitti da parte degli autisti e il loro comportamento, effettuando anche le eventuali segnalazioni alla direzione aziendale, interveniva in caso di problemi con i viaggiatori” (cfr. sentenza impugnata, p. 4).

16. Tali attività, le quali integrano una continuativa verifica di conformità ai modelli e parametri definiti dall’azienda sul piano del funzionamento della rete, sono certamente riconducibili alla nozione di “controllo sulla regolarità dell’esercizio”, quale requisito centrale per il riconoscimento del parametro 193 (profilo di “addetto all’esercizio”), in tale controllo rientrando – come esattamente rilevato (cfr. ancora sentenza, p. 4) – “non solo la verifica della idoneità dei turni degli autisti, bensì anche il controllo sulla puntualità, sul comportamento degli autisti e sulla regolarità dei passaggi e sul rispetto delle linee” e cioè la verifica di elementi che “concorrono alla complessiva regolarità dell’esercizio”.

17. D’altra parte, il motivo in esame, richiamando la sola declaratoria generale dell’Area di inquadramento (3a), non si è specificamente confrontato con il complessivo percorso ricostruttivo seguito dalla Corte territoriale, la quale ha posto in rilievo, a fronte della riferibilità delle mansioni in concreto e prevalentemente svolte al superiore livello rivendicato, altresì l’inadeguatezza dell’inferiore parametro 175, analizzando il profilo di “operatore di esercizio” attribuito dal datore di lavoro e motivatamente concludendo per la marginalità delle mansioni, che vi risultano elencate, rispetto ai compiti effettivamente esercitati dal lavoratore.

18. Parimenti infondato è da ritenersi il motivo sopra riassunto al n. 6 (sesto secondo la numerazione del ricorso), posto che la sentenza impugnata ha correttamente applicato il principio, secondo il quale “in tema di demansionamento illegittimo, ove venga accertata l’esistenza di un comportamento contrario all’art. 2103 c.c., il giudice di merito, oltre a sanzionare l’inadempimento dell’obbligo contrattualmente assunto dal datore di lavoro con la condanna al risarcimento del danno, può emanare una pronuncia di adempimento in forma specifica, di contenuto satisfattorio dell’interesse leso, intesa a condannare il datore di lavoro a rimuovere gli effetti che derivano dal provvedimento di assegnazione delle mansioni inferiori, affidando al lavoratore l’originario incarico, ovvero un altro di contenuto equivalente. L’obbligo del datore di lavoro è derogabile solo nel caso in cui provi l’impossibilità di ricollocare il lavoratore nelle mansioni precedentemente occupate, o in altre equivalenti, per inesistenza in azienda di tali ultime mansioni o di mansioni ad esse equivalenti” (Cass. n. 16012/2014); mentre non risulta specificamente censurata quella parte di motivazione in cui la Corte di merito, sulla scorta di tale principio, ha accertato come la società datrice di lavoro non avesse “neppure dedotto in causa e, quindi, tanto meno provato” l’inesistenza all’interno dell’azienda di mansioni equivalenti a quelle in precedenza esercitate e al nuovo livello spettante per effetto delle medesime, non potendo limitarsi l’onere datoriale alla sussistenza di ragioni ad essa estranee (cfr. sentenza, p. 10).

19. E’ invece fondato, e deve conseguentemente essere accolto, il quarto motivo.

20. Al riguardo, si rileva, sotto un primo profilo, che la Corte territoriale, nel riconoscere il diritto dell’ A. al compenso per lavoro straordinario, ha individuato come unica ed esclusiva fonte regolatrice il D.Lgs. n. 66 del 2003, senza considerare la decorrenza della domanda da una data (febbraio 2002) anteriore all’entrata in vigore di tale normativa.

21. Sotto altro profilo, si rileva che la Corte, una volta ricostruite le caratteristiche e le modalità della prestazione lavorativa, l’ha rapportata alla sola fattispecie derogatoria del “personale viaggiante dei servizi pubblici di trasporto per via terrestre” (D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 16, comma 1, lett. f)), per escludere che potesse rientrare in tale categoria, trascurando peraltro di confrontarla con altre previsioni del medesimo articolo (in particolare, con le previsioni di cui alle lett. d) ed n), astrattamente suscettibili di comprenderla) e così, in definitiva, ponendo in essere una operazione sussuntiva parziale e incompleta.

22. Ne consegue che in accoglimento del quarto motivo, rigettati gli altri, l’impugnata sentenza n. 21/2014 della Corte di appello di Brescia deve essere cassata e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla stessa Corte di appello in diversa composizione, la quale, individuate le fonti (collettive) regolatrici del rapporto, anche per il periodo anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 66 del 2003, procederà inoltre a confrontare la prestazione lavorativa resa dall’ A., così come ricostruita in fatto, alle previsioni di cui al D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 16 nei termini sopra indicati (n. 21).

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2019

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