Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25672 del 27/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 27/10/2017, (ud. 12/09/2017, dep.27/10/2017),  n. 25672

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23190-2016 proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO GALLEANO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI NARO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 76, presso lo studio

dell’avvocato PIETRO POZZAGLIA, rappresentato e difeso dall’avvocato

ANTONIETTA ALONGI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 788/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 05/08/2016 R.G.N. 112/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/09/2017 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SERGIO GALLEANO;

udito l’Avvocato CALOGERO CAMILLERI MASSIMO per delega Avvocato

ANTONIETTA ALONGI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n. 788 del 5 agosto 2016, decidendo sull’impugnazione proposta da M.V. nei confronti del Comune di Naro, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Agrigento n. 23 del 14 gennaio 2015, rigettava l’impugnazione confermando la suddetta sentenza di primo grado.

2. La sentenza del Tribunale di Agrigento, che veniva confermata, aveva rigettato la domanda proposta dal M. di declaratoria dell’illegittimità del termine – per mancata indicazione e/o insussistenza delle ragioni giustificative imposte dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1, ovvero per la violazione della clausola 5 della direttiva UE 1999/70 in tema di abusiva successione di contratti a termine – apposto con plurime convenzioni a tempo determinato sottoscritte, in ragione del pregresso status di LSU del lavoratore con il Comune di Naro, ed alla costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con l’ente convenuto, con conseguente diritto alla riammissione in servizio ed al pagamento della retribuzione non percepita dalla data di cessazione dell’ultimo contratto ovvero, in via subordinata, al risarcimento dei danni sofferti in ragione dell’illegittimità della condotta datoriale.

Come si legge nella sentenza di appello, il giudice di primo grado richiamando, in particolare, la normativa dettata dalle L.R. siciliana n. 17 del 2004 e L.R. n. 31 del 2003, ritenuta prevalente rispetto alle generali previsioni del D.Lgs. n. 368 del 2001, aveva escluso sia la possibilità di costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la pubblica amministrazione, sia l’istanza risarcitoria, poichè nessuna aspettativa giuridicamente rilevante poteva vantare il ricorrente al momento della sottoscrizione della convenzione a termine.

3. La Corte di Appello con la sentenza impugnata:

– ha dichiarato inammissibile, in quanto questione non prospettata in primo grado, il motivo di impugnazione con cui veniva dedotto l’improprio utilizzo da parte del Comune di LSU, in violazione dell’abrogato D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 4 sotto il profilo della mancata valutazione da parte del giudice di primo grado delle mansioni svolte in concreto dagli LSU;

– ha rigettato il motivo di appello relativo, peraltro, alla statuizione di primo grado che escludeva dall’applicazione dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio, e del D.Lgs. n. 368 del 2001 i rapporti di lavoro volti alla stabilizzazione dei soggetti impiegati in LSU, sul presupposto che non costituissero, a causa delle loro specifiche modalità costitutive, ordinari vincoli lavorativi a tempo determinato.

4. La Corte d’Appello ha affermato che i contratti in questione venivano stipulati in base alla potestà legislativa concorrente conferita alla Regione siciliana dall’art. 17, lett. t), dello statuito di autonomia, intervenuta in materia di legislazione sociale e rapporti di lavoro (L.R. n. 85 del 1995, artt. 11 e 12; L.R. n. 17 del 2004; L.R. n. 16 del 2006, art. 4; L.R. n. 24 del 2010, art. 7).

La causa tipica dei contratti in esame andava, quindi, rinvenuta non in esigenze temporanee organizzative e produttive dell’impresa, ma in esigenze di natura politico-sociale, volte a superare il rapporto assistenziale costituito dal lavoro socialmente utile e a far acquisire professionalità e qualificazione al personale appartenente a tale categoria.

Si tratta di contratti volti a contemperare sia le esigenze delle singole Amministrazioni pubbliche, che quelle di mantenimento di livelli occupazionali e di contenimento della spesa pubblica, con la finalità della stabilizzazione del personale precario proveniente dal regime transitorio dei lavoratori socialmente utili, stabilizzazione disciplinata dalla L.R. n. 16 del 2006.

In ragione di ciò, tali contratti sono esclusi da quelli disciplinati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, come stabilito dalla L.R. n. 17 del 2004, art. 77, comma 2. Ciò in conformità alla clausola 2, lettera b), dell’accordo quadro.

Ricorda, quindi, che la clausola 2 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio, prevede che “Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o le parti sociali stesse possono decidere che il presente accordo non si applichi ai: a) rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato; b) contratti e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi pubblici”.

Ed è la stessa legislazione regionale che stabilisce che le amministrazioni possano indire procedure di stabilizzazione conferendo alle stesse un potere discrezionale che dà luogo ad un’opportunità, e non ad un obbligo, anche avuto riguardo ai vincoli di natura economico-finanziaria (L.R. n. 24 del 2010, art. 6).

Da ciò la Corte d’Appello rileva la non pertinenza di tutte le doglianze relative alla violazione della normativa comunitaria in materia di abuso dei contratti a tempo determinato e della stessa Costituzione.

Pertanto il richiamo effettuato dalla L.R. n. 24 del 2010, art. 5, comma 2, al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e al D.Lgs. n. 368 del 2001, non contraddice la L. n. 17 del 2004, art. 77 che ha escluso detti contratti dall’applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, in ragione della peculiarità degli stessi.

La Corte d’Appello in ragione della natura pubblica del soggetto nei cui confronti si vuole ottenere la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato, afferma l’operatività nella vicenda per cui è causa di quanto previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 2, con la conseguenza che l’eventuale violazione delle norme poste a tutela dei diritti dei lavoratori non potrebbe determinare la trasformazione del rapporto in questione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

5. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre M.V. prospettando tre motivi di ricorso.

6. Resiste con controricorso il Comune di Naro, prospettando, in via preliminare, eccezioni di inammissibilità con riguardo sia all’intero ricorso, sia ad alcuni motivi.

7. In prossimità dell’udienza pubblica il ricorrente ha depositato memoria, con la quale nell’insistere nelle proprie difese ha dedotto che il Tribunale di Termini Imerese, in fattispecie analoga, con ordinanza 7 giugno 2017, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della L.R. siciliana n. 17 del 2004, art. 77.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. E’ preliminare l’esame delle eccezioni di inammissibilità prospettate dal controricorrente con riguardo all’intero ricorso.

2. Non è fondata l’eccezione proposta con riguardo al ricorso nella sua interezza per la violazione dell’art. 348-ter c.p.c., commi 3, 4 e 5, dedotta poichè verrebbe in rilievo una fattispecie di cd. “doppia conforme”.

Va rilevato, infatti, che il ricorrente non denuncia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione al quale si applica la disciplina della cd. “doppia conforme”.

E’ altresì non fondata l’eccezione di violazione degli artt. 366 e 360 c.p.c., atteso che la prospettazione delle doglianze è argomentata, ed è svolta in relazione alle statuizioni impugnate.

3. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c..

E’ impugnata la statuizione che ha ritenuto inammissibile in appello, perchè relativa a questioni mai prospettate dalla difesa del lavoratore nel precedente grado di giudizio, la censura con cui “rimarcato l’improprio utilizzo da parte del Comune dei lavoratori socialmente utili, assunti, in violazione del D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 5 non per l’esecuzione di specifici progetti di pubblica utilità, ma per essere assegnati allo svolgimento dell’ordinaria attività imprenditoriale e amministrativa”, si censurava la mancata valutazione da parte del giudice delle mansioni svolte in concreto dagli LSU.

Assume il ricorrente che nel giudizio di primo grado il Comune di Naro aveva introdotto in sede di costituzione la questione che l’assunzione a termine trovava la sua ragione nella trasformazione di originari rapporti ASU – attività socialmente utili, richiamata dal giudice di primo grado per giustificare l’inapplicabilità della disciplina dei contratti a termine.

Su questa questione esso lavoratore si era difeso replicando, nelle note depositate, sull’irrilevanza della stessa al fine della decisione, ma il giudice aveva rigettato il ricorso proprio argomentando in merito alla origine dei rapporti – nati come ASU – che avrebbe segnato geneticamente i contratti, sottraendoli alla ordinaria disciplina nazionale e comunitaria.

Dunque, tale punto meritava trattazione in appello, cosa che veniva fatta nelle premesse dei motivi di appello, svolte come considerazioni necessarie per contestare la soluzione giuridica che era stata assunta del primo giudice, ma senza dover costituire oggetto di pronuncia; pertanto, ritenerle inammissibili era stata una forzatura.

Comunque, rileva il ricorrente, qualora la Corte dovesse riteneste, che il relativo passo della sentenza di appello costituisca un capo autonomo della medesima, con effetti decisori, avverso tale capo è dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c..

4. Non sono fondate le plurime eccezioni di inammissibilità dedotte dal controricorrente – (mancata deduzione dei motivi di gravame ex art. 360 c.p.c., n. 1; mancata deduzione della nullità sentenza; difetto di autosufficienza ex art. 366 c.p.c.; mancanza di interesse) con riguardo al primo motivo di ricorso.

Ed infatti, con lo stesso, che in ragione delle argomentazioni supera il vaglio ex art. 366 c.p.c., si assume la mancanza di autonomia delle deduzioni difensive dichiarate inammissibili in appello in quanto connesse alla questione di diritto, così prospettandosi un vizio di violazione e falsa applicazione di legge e non un error in procedendo, sussistendo l’interesse all’impugnazione.

5. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 17 dello statuto della Regione siciliana, in connessione con la L.R. n. 10 del 1991 e con la L.R. n. 16 del 2006. Violazione della L.R. n. 24 del 2010, art. 77 in connessione con la L.R. n. 24 del 2010, art. 5. Violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, del D.Lgs.n. 165 del 2001, art. 36, delle clausole 2, 4 e 5 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CEdel Consiglio (Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato). Violazione dell’art. 115 c.p.c..

6. Prospetta il ricorrente che nè l’origine dei contratti, nè la normativa regionale possono assumere rilevanza, attesa la prevalenza della disciplina nazionale e di quella europea, la cui inosservanza contrasterebbe con gli art. 11 e 117 Cost., poichè l’art. 17 dello statuto di autonomia della Regione siciliana indica la potestà legislativa entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato e, in particolare, in materia di lavoro e previdenza sociale, dispone espressamente che la potestà normativa opera osservando i minimi stabiliti dalle leggi dello Stato.

Neppure può assumere rilievo dirimente la L.R. n. 17 del 2004, art. 77, comma 2, che prevede: “le disposizioni di cui al D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, non si intendono applicabili ai contratti a termine volti alla stabilizzazione dei soggetti destinatari del regime transitorio dei lavori socialmente utili”, poichè occorre considerare che la L. n. 24 del 2010, art. 5 (inserito nel Capo 2^ “Procedure di stabilizzazione e proroga di contratti”), riferibile anche alla normativa di stabilizzazione degli LSU, che ha richiamato, con riguardo al lavoro flessibile, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e il D.Lgs. n. 368 del 2001, avrebbe determinato l’abrogazione del citato art. 77.

Il lavoratore deduce la non pertinenza del richiamo operato dalla Corte d’Appello alla clausola 2 dell’accordo quadro, poichè nella specie, sia nei contratti che nella concreta esecuzione dei rapporti per cui è causa, non vi sarebbe alcun riferimento al programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale, con conseguente violazione dell’art. 115 c.p.c.

Lo svolgimento di fatto dei rapporti, riguardando l’esecuzione di mansioni proprie dell’ente pubblico, con pieno inserimento nell’attività amministrativa ordinaria, a copertura di posti vacanti, stabili e permanenti, esulerebbe dalla clausola 2 dell’accordo quadro, che comunque richiede la consultazione delle parti sociali.

Il ricorrente assume di essere stato impiegato in ordinarie mansioni, identiche a quelle dei lavoratori comparabili a tempo indeterminato di ruolo presso l’ente convenuto, come precisato nella parte in fatto del ricorso introduttivo.

Poco chiaro sarebbe l’asserito contemperamento tra due situazioni invece non conciliabili e cioè le esigenze delle singole amministrazioni pubbliche e il mantenimento dei livelli occupazionali e di contenimento della spesa pubblica, non ravvisandosi, inoltre, finalità assistenziali.

Il risparmio di spesa, deduce il ricorrente non può consistere nella precarietà della condizione di lavoro, ovvero nella mancanza di stabilità legata all’esigenza di finanziamenti regionali, con la conseguenza che sul rapporto pende l’incertezza del mancato rinnovo a causa della mancanza di fondi in ragione di una diversa allocazione delle risorse.

Ricorda il lavoratore che la giurisprudenza europea è intervenuta in ordine a contratti a tempo indeterminato spagnoli “di natura non permanente” di cui alla sentenza Leon Medialdea dell’11 dicembre 2014, in causa C-86/14 (in senso analogo le sentenze Diego Porras, in causa C569/14, Martinez Andres, in causa C-185/15, Perez Lopez, in causa C16/15), ovvero contratti stipulati a condizione che sussistano i finanziamenti da parte della pubblica amministrazione, affermandone chiaramente al riconducibilità nell’ambito della direttiva UE 1999/70.

Come emergeva dai contratti prodotti, il rapporto di lavoro del ricorrente risultava espressamente regolato dal CCNL enti locali e dalle leggi sul lavoro, tra cui il D.Lgs. n. 368 del 2001, per cui non vi era una ratio generica che potesse sottrarre tali contratti all’applicazione della disciplina invocata, con conseguente violazione dell’art. 115 c.p.c..

Il ricorrente richiama ulteriori pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione europea a conferma dell’applicabilità della direttiva nel caso di specie: sentenze Adelener del 4 luglio 2006 (in causa C-212/04) e Fenoli del 26 marzo 2015 (in causa C-316/13), in particolare con riguardo alla nozione di lavoratore.

Infine, chiede, in presenza di dubbio interpretativo sulla disciplina eurounitaria, che venga disposto rinvio pregiudiziale dinanzi alla CGUE in relazione, in particolare, al rapporto tra la clausole 1, 2, 3 e 5, nn. 1 e 2, dell’accordo quadro già sopra richiamato, il diritto regionale, il diritto nazionale e quello europeo che vengono in rilievo, osservando tra l’altro che i vincoli di natura finanziaria sono irrilevanti ai fini della compiuta attuazione della disciplina dell’Unione europea.

7. E’ infondata rispetto al secondo motivo di ricorso l’eccezione di inammissibilità dedotta in relazione alla mancata indicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, della prospettata censura di violazione dell’art. 115 c.p.c., atteso che non sussiste nella formulazione del motivo una censura di error in procedendo.

8. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 97 Cost., e della clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 70/1999. E’ censurata la statuizione che ha escluso la possibilità della costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

Premette il ricorrente che la mancata trasformazione in rapporto di lavoro a tempo determinato non esclude il risarcimento del danno.

Quanto alla mancata possibilità di costituire un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ricorda che in tal senso si sono pronunciate le Sezioni Unite della Corte con la sentenza n. 5072 del 2016, le cui motivazioni sono contestate – richiamando anche procedure di stabilizzazione nell’ordinamento nazionale in relazione a contratti a termine – assumendo come l’esigenza del concorso pubblico troverebbe risposta nelle procedure selettive iniziali.

Il lavoratore richiama, altresì, la sentenza n. 187 del 2016 della Corte costituzionale, affermando che le argomentazioni della stessa aprirebbero spazi alla stabilizzazione in ipotesi di abusivo ricorso ai contratti a termine, nonchè le sentenze CGUE Porras, Andres, Perez Lopez e la decisione C-371/04.

9. Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica il ricorrente, nel ribadire le difese svolte, e nel contestare le difese avverse, fa riferimento alla giurisprudenza di legittimità sui contratti a termine del Comparto scuola, che ha riconosciuto il risarcimento del danno, ove non intervenuta la stabilizzazione, e la giurisprudenza CGUE sull’interpretazione restrittiva delle direttive comunitarie.

10. I motivi del ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.

11. I suddetti motivi sono fondati nei sensi di cui in motivazione e vanno, pertanto, accolti nei sensi di cui in motivazione.

Va rilevato che come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura, per cui la Corte può procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura (Cass., n.14026 del 2012).

Nella specie la prospettazione delle censure fa rilevare la deduzione della violazione delle norme denunciate non solo come violazione ma anche come falsa applicazione di legge.

12. Occorre premettere che il ricorrente espone (pagg. 1-3 del ricorso per cassazione) di aver indicato nel ricorso introduttivo del giudizio i diversi contratti a termine che si erano succeduti – con il riferimento alla lettera progressiva del relativo documento allegato – la posizione economica, il profilo professionale e la qualifica rivestiti. Deduce, altresì, di aver rispettato la mancanza nei contratti del riferimento ad alcuna ragione obiettiva che giustificasse l’apposizione del termine, e l’avere operato su posizioni lavorative facenti parte del ruolo dell’ente o essenziali per lo svolgimento della sua ordinaria attività istituzionale, e comunque vacanti nella dotazione organica, con mansioni riconducibili al profilo professionale C, ai sensi del CCNL regioni ed autonomie locali.

Tanto non è specificamente contestato nel controricorso.

13. Preliminarmente, va ricordato che l’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio, stabilisce che gli Stati membri sono tenuti ad introdurre nelle rispettive legislazioni nazionali norme idonee a prevenire ed a sanzionare l’abuso costituito dalla successione nel tempo di tali tipi di contratto.

Ed infatti, dalla clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro, risulta che l’ambito d’applicazione di quest’ultimo è concepito in senso ampio, poichè riguarda in generale i “lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro”.

Spetta agli Stati membri e/o alle parti sociali definire ciò che costituisce un contratto o un rapporto di lavoro rientrante nell’accordo quadro, conformemente alla clausola 2, punto 1, del medesimo (tra le altre, sentenza del 15 marzo 2012, Sibilio, in causa C-157/11).

Tuttavia, la clausola 2, punto 2, dell’accordo quadro conferisce agli Stati membri un margine di discrezionalità per quanto attiene all’applicazione dell’accordo quadro a talune categorie di contratti o di rapporti di lavoro.

Infatti, la clausola 2, punto 2, dell’accordo quadro offre agli Stati membri e/o alle parti sociali la facoltà di escludere dal campo di applicazione di tale accordo quadro i “rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato” nonchè i “contratti e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi pubblici” (sentenza CGUE 11 aprile 2013, in causa C-290/12, Della Rocca; sentenza del 15 marzo 2012, Sibilio, in causa C-157/11).

La clausola 5, punto 1, di tale accordo quadro stabilisce “Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti”.

14. La Corte d’Appello ha escluso che i contratti in questione ricadano nell’ambito applicativo dell’accordo quadro e della disciplina statale di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001 che l’ha recepito. Pertanto non ha trattato la questione della compatibilità comunitaria con la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70.

Afferma il giudice di secondo grado che la legislazione regionale ha istituito e disciplinato i contratti in questione nell’esercizio della potestà legislativa concorrente di cui all’art. 17, comma 1, lett. f), dello statuto di autonomia (che reca “Entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato, l’Assemblea regionale può, al fine di soddisfare alle condizioni particolari ed agli interessi propri della Regione, emanare leggi, anche relative all’organizzazione dei servizi, sopra le seguenti materie concernenti la Regione: (…) legislazione sociale: rapporti di lavoro, previdenza ed assistenza sociale, osservando i minimi stabiliti dalle leggi dello Stato”), in ragione di esigenze di natura politico sociale, per il superamento del rapporto assistenziale costituito dal lavoro socialmente utile, e per far acquisire professionalità e qualificazione al personale appartente e a tale categoria, con la finalità della stabilizzazione del personale precario proveniente dal regime transitorio dei lavoratori socialmente utili, contemperata con le esigenze delle Amministrazioni e del contenimento della spesa pubblica, rientrando, pertanto, nella deroga di cui alla clausola 2, punto 2, dell’accordo quadro.

15. Dunque, il giudice di secondo grado ha affermato che la disciplina regionale dei contratti in questione non sarebbe stata in contrasto con la disciplina comunitaria, ma sarebbe stata adottata nel rispetto della clausola 2 dell’accordo quadro, nell’esercizio della suddetta potestà legislativa concorrente, venendosi a istituire, in particolare (dovendosi così intendere il grassetto usato a pag. 3 della sentenza di appello) contratti o rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi pubblici.

La previsione contenuta nella L.R. n. 17 del 2004, art. 77, comma 2, secondo la quale “le disposizioni del D.Lgs. n. 368 del 2001 non si intendono applicabili ai contratti a termine volti alla stabilizzazione dei soggetti destinatari del regime transitorio dei lavoratori socialmente utili”, afferma la Corte d’Appello, troverebbe fondamento nella finalità e diversità strutturale dei contratti in questione, esclusi dal novero di quelli di cui al suddetto D.Lgs. n. 368 del 2001.

16. In ragione del richiamo effettuato dalla Corte d’Appello alla L.R. siciliana n. 85 del 1995 – come prima fonte normativa regionale a cui ricondurre il fondamento dei contratti in questione – che giova ricordarlo ha disciplinato, tra l’altro, la realizzazione da parte degli enti locali di progetti di pubblica utilità avvalendosi, mediante la stipula di contratti di diritto privato, di lavoratori LSU, occorre ricordare la sentenza della Corte costituzionale n. 271 del 1996.

17. Il Giudice delle Leggi, con la citata sentenza, nel rigettare la questione di legittimità costituzionale della L.R. n. 85 del 1995, artt. 11 e 12 ha ritenuto sussistere nella specie la potestà legislativa regionale concorrente nella materia legislazione sociale, ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. f) dello statuto speciale, nei limiti dei principi ed interessi generali che informano la legislazione dello Stato, come esercitata, anche in ragione dell’interesse nazionale come positivizzato dalla legislazione statale.

Ciò in considerazione della circostanza che la regolamentazione dell’avviamento dei giovani al lavoro nelle aree ad alta disoccupazione (finalità alla quale il Giudice delle Leggi riconduce i lavori socialmente utili i progetti di pubblica utilità e la disciplina regionale in esame), non precludeva autonomi interventi delle Regioni nell’esercizio delle rispettive competenze costituzionali.

18. Tuttavia, con riguardo al riparto competenziale della potestà legislativa tra Stato e Regioni, va osservato che la Corte costituzionale ha affermato che la disciplina dei contratti a termine rientra nell’ambito della materia “ordinamento civile” rimessa alla potestà legislativa esclusiva dello Stato: “la disciplina della fase costitutiva del contratto di lavoro, come quella del rapporto sorto per effetto dello stesso – inclusa la regolamentazione delle collaborazioni coordinate e continuative a progetto e delle partite IVA, nonchè delle vicende del rapporto inerenti alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto stesso, fatta eccezione per i licenziamenti discriminatori – si realizzano mediante la stipulazione di contratti di diritto privato e, pertanto, appartengono alla materia dell’ordinamento civile” (sentenza Corte cost. n. 221 del 2012, che richiama le sentenze n. 51 del 2012 e n. 69 del 2011).

19. La Corte costituzionale ha, altresì statuito che (sentenze n. 77 del 2013, n. 225 del 2013, e n. 61 del 2014), la competenza statale esclusiva in materia di “ordinamento civile” vincola gli enti ad autonomia differenziata anche con riferimento alla disciplina del rapporto di lavoro con i propri dipendenti.

20. Peraltro, in relazione all’attuazione della disciplina eurounitaria, può rilevarsi che la competenza esclusiva dello Stato nella materia di cui all’art. 117, comma 1, lett. a), deve essere intesa tenendo conto che il medesimo art. 117 Cost. attribuisce alla competenza regionale concorrente la “materia” dei rapporti delle Regioni con l’Unione europea (comma 3), riconosce alle Regioni il potere di dare attuazione alla normativa comunitaria nelle materie di loro spettanza (comma 5); quindi, l’intervento del solo legislatore statale per l’adempimento di un obbligo comunitario si giustifica solo nel caso in cui esso incida su materie di competenza statale esclusiva (Corte cost., sentenze n. 116 del 2006, n. 63 del 2008).

21. Tanto premesso, va ricordato che la Corte di giustizia ha affermato che la direttiva 1999/70/CE e l’accordo quadro ad essa allegato devono essere interpretati nel senso che essi si applicano ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico (decisioni causa C-177/10, Rosado Santana; sentenza 7 settembre 2006, in causa C-53/04, Marrosu e Sardino; causa C-212/04, Adeneler).

Ed infatti, come affermato, tra le altre, nella sentenza CGUE 26 novembre 2014, Mascolo e a., nelle cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, dalla formulazione stessa della clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro, risulta che l’ambito di applicazione di quest’ultimo è concepito in senso ampio, poichè riguarda in generale i “lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro”. Inoltre, la definizione della nozione di “lavoratore a tempo determinato” ai sensi dell’accordo quadro, enunciata alla clausola 3, punto 1, di quest’ultimo, include tutti i lavoratori, senza operare distinzioni basate sulla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro e a prescindere dalla qualificazione del loro contratto in diritto interno (cfr., sentenza CGUE 3 luglio 2014, Fiamingo e a., cause riunite C-362/13, C-363/13 e C-407/13).

22. Diverse sentenza della CGUE sono intervenute in merito alla portata della direttiva e dell’accordo quadro.

23. Nella fattispecie in esame, in particolare, assume rilievo la decisione della CGUE n. 157 del 15 marzo 2012, in causa C-157/11, Sibilio, ove si è affermato, con riguardo al punto 1 della clausola 2, che “Tenuto conto degli obiettivi perseguiti dall’accordo quadro (…), si deve rilevare che la qualificazione formale, da parte del legislatore nazionale, del rapporto costituito tra una persona che svolge lavori socialmente utili e l’amministrazione pubblica per cui vengono effettuati questi lavori non può escludere che a detta persona debba tuttavia essere conferita la qualità di lavoratore in base al diritto nazionale, se tale qualifica formale è solamente fittizia e nasconde in tal modo un reale rapporto di lavoro ai sensi di tale diritto”.

La CGUE ha inoltre affermato, nella suddetta sentenza, richiamando il punto 2 della clausola 2 dell’accordo quadro, che “tuttavia anche se il giudice del rinvio dovesse giungere alla conclusione che, tenuto conto delle sue caratteristiche e delle circostanze in cui vengono effettuati i lavori socialmente utili da persone quali il ricorrente principale, il rapporto tra quest’ultimo e l’amministrazione pubblica italiana che lo ha assunto costituisce, in realtà, un rapporto di lavoro ai sensi del diritto nazionale, occorre comunque ricordare che la clausola 2, punto 2, dell’accordo quadro conferisce agli Stati membri un margine di discrezionalità riguardo all’applicazione dell’accordo quadro a talune categorie di contratti o di rapporti di lavoro. Infatti, la clausola 2, punto 2, dell’accordo quadro offre agli Stati membri e/o alle parti sociali la facoltà di sottrarre al campo di applicazione di tale accordo quadro i “rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato” nonchè i “contratti e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi pubblici””.

Precisa la CGUE nella sentenza Sibilio (par. 56) che l’applicazione dei criteri stabiliti sul fondamento di detto potere discrezionale deve essere indubbiamente effettuata in modo trasparente e poter essere controllata per impedire che un lavoratore impiegato in un programma che non rientri nelle categorie elencate nella clausola 2, punto 2, dell’accordo quadro sia privato della tutela che quest’ultimo intende garantirgli (cfr., sentenza CGUE 8 settembre 2011, Rosado Santana, C177/10, par. 77, intervenuta con riguardo alla clausola 4 dell’accordo quadro).

24. Dunque l’applicabilità dell’accordo sussiste in presenza delle condizioni di cui al punto 1 della clausola 2, e in mancanza dei casi di sottrazione di cui al punto 2, lettere a) e b), della clausola 2.

25. La Corte d’Appello erroneamente ha fatto discendere la non applicabilità della disciplina dell’accordo quadro ai contratti per cui è causa in ragione della riconducibilità delle fonti regionali che prevedono le fattispecie legali alla potestà legislativa concorrente ex art. 17, comma 1, lett. f), dello statuto di autonomia, operando una assimilazione tra la materia “legislazione sociale; rapporti di lavoro” e, in particolare (pag. 3 della sentenza di appello, grassetto) il punto 2, lettera b), della clausola 2 “contratti e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi pubblici”, senza un compiuto e esteso vaglio dei rapporti di lavoro in questione con riguardo non solo alle fonti, ma all’atto negoziale costitutivo e al concreto conformarsi degli stessi in ragione dell’attività prestata, senza effettuare quindi, correttamente il processo di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, disciplinata dal legislatore, al fine di ravvisare le condizioni di esclusione dell’applicabilità dell’accordo quadro, così dando luogo, nei sensi indicati nella presente motivazione, ai vizi prospettati dal ricorrente con il primo ed il secondo motivo di ricorso (cfr., Cass., n. 18715 del 2016).

Va ricordato che il giudice nazionale costituisce un elemento essenziale nell’ordinamento giuridico comunitario: situato all’ “incrocio” di diversi sistemi giuridici, esso è in grado di fornire un rilevante contributo all’applicazione effettiva del diritto comunitario e, in definitiva, allo sviluppo del processo d’integrazione europea (CGUE sentenza 30 settembre 2003, Gerhard Kbbler, in causa C-224/01).

26. Occorre, altresì, rilevare che la affermata diversità strutturale dei contratti in questione rispetto agli ordinari contratti di lavoro a termine, che ne escluderebbe la riconducibilità all’accordo quadro, non può trarsi, come argomenta la Corte d’Appello nè dalle generali esigenze di natura politico-sociale che ne avrebbero costituito l’origine, nè dalla finalità (che la Corte d’Appello assume quale causa dello schema negoziale legale) di superare il rapporto assistenziale costituito dal lavoro socialmente utile contemperando l’esigenza di mantenere i livelli occupazionali e il contenimento della spesa pubblica con quella della stabilizzazione del personale precario proveniente dal regime transitorio dei lavoratori socialmente utili, da cui deriverebbe la causa tipica degli stessi, atteso che ai fini della non applicabilità dell’accordo quadro in ragione della clausola 2 dell’accordo quadro medesimo, deve procedersi all’esame del contratto e del concreto connotarsi del rapporto rispetto alla disciplina che prevede le fattispecie legali escluse.

27. In relazione agli istituti di cui al punto 2 della clausola 2 dell’accordo quadro, si può ricordare che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il contratto di apprendistato, nella prima fase è caratterizzata da una causa mista, atteso che al normale scambio tra prestazione di lavoro e retribuzione si aggiunge l’elemento specializzante costituito dallo scambio tra attività lavorativa e formazione professionale, mentre, nella seconda, qualora non intervenga recesso ex art. 2118 c.c., il rapporto (unico) continua con la causa tipica del lavoro subordinato (Cass., n. 17373 del 2017).

A sua volta, il contratto di formazione e lavoro, pur costituendo una specie del “genus” contratto di lavoro a tempo determinato, è dotato di una propria autonomia funzionale in quanto caratterizzato – a differenza dell’ordinario contratto a termine – da una causa complessa comprensiva di una finalità di formazione per consentire al lavoratore l’acquisizione della professionalità necessaria per immettersi nel mondo del lavoro (Cass., n. 8715 del 2017, n. 22866 del 2013).

Scopo del contratto di formazione e lavoro è quello di favorire un ingresso guidato dei giovani nel mondo del lavoro, attraverso un rapporto che dia loro anche gli strumenti per apprendere una determinata professionalità (Cass., n. 17603 del 2014), e gli obiettivi indicati nel progetto di formazione devono essere trasfusi nel contratto (Cass., n. 2247 del 2006, 6068 del 2014).

28. Con riguardo al punto 1 della clausola 2, occorre ricordare, tenuto conto di quanto affermato dalla sentenza CGUE Sibilio, le statuizioni della giurisprudenza di legittimità in merito ai lavori socialmente utili, con riguardo alla sussistenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato.

Cass. n. 6100 del 2017 ha affermato che “(…) non può qualificarsi quale rapporto di lavoro subordinato, nè a termine, nè a tempo indeterminato, l’occupazione temporanea in lavori socialmente utili dei lavoratori che beneficiano del trattamento di cassa integrazione straordinaria a norma del D.L. n. 366 del 1987, art. 3,convertito nella L. n. 452 del 1987, dalla quale scaturisce un rapporto speciale che coinvolge più soggetti (…) con una matrice assistenziale, ma con una componente formativa diretta alla riqualificazione del personale in cassa integrazione per una possibile ricollocazione”.

Con l’ordinanza Cass., n.17101 del 2017, tuttavia, si è chiarito che: “In tema di occupazione di lavori socialmente utili o per pubblica utilità, la qualificazione normativa di tale rapporto speciale, avente matrice assistenziale e componente formativa, non esclude che in concreto il rapporto possa avere le caratteristiche di un ordinario rapporto di lavoro subordinato con conseguente applicazione dell’art. 2126 c.c. e, ai fini della qualificazione come rapporto di lavoro prestato di fatto alle dipendenze di una pubblica amministrazione, rileva che il lavoratore risulti effettivamente inserito nella organizzazione pubblicistica e adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’amministrazione”, non rilevando in senso contrario l’assenza di un atto formale di nomina, nè che si tratti di un rapporto a termine, e neppure che il rapporto sia affetto da nullità per violazione delle norme imperative sul divieto di nuove assunzioni.

29. Come si è già osservato con l’ordinanza Cass., n. 17372 del 2017, sia pure con riguardo alla diversa controversia relativa all’applicazione della progressione economica orizzontale a lavoratori assunti dall’amministrazione comunale con contratti a tempo determinato e parziale ex lege L. n. 85 del 1995, l’esame della fattispecie in ragione della disciplina legale, statale, regionale, ed eurounitaria, anche con riguardo alle relative interferenze, non può prescindere dall’osteso vaglio analitico dei contratti posti a fondamento della domanda del ricorrente in relazione a numero, oggetto, causale e durata dei contratti stipulati tra i lavoratori ed il Comune, qualifiche e mansioni previste, non bastando la qualificazione formale del rapporto, come operata da parte del legislatore regionale.

30. Infine, si osserva che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 5072 del 2016, nel dettare le modalità di determinazione del danno risarcibile di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, hanno ricordato che la Corte costituzionale (sentenza 27 marzo 2003, n. 89) ha ritenuto che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36), per la parte in cui non consente, a differenza di quanto accade nel rapporto di lavoro privato, che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori possa dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le pubbliche amministrazioni, non viola gli artt. 3 e 97 Cost. è, infatti, giustificata la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di quelle disposizioni conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio, dato che il principio dell’accesso mediante concorso – enunciato dall’art. 97 Cost., a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione – rende non omogeneo il rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni rispetto al rapporto alle dipendenze di datori privati.

Pertanto, in presenza di una violazione della disciplina del contratto a termine nel lavoro pubblico contrattualizzato non può aver luogo la trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come invece prospettato dal ricorrente nel terzo motivo di ricorso, dovendo trovare applicazione i principi enunciati da Cass., S.U., n. 5072 del 2016.

31. Il ricorso va accolto nei sensi di cui in motivazione. La sentenza va cassata nei sensi di cui in motivazione con rinvio anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione, che si atterrà ai principi sopra enunciati. Tutte le questioni erroneamente non esaminate dalla Corte d’Appello perchè ritenute assorbite dovranno essere riproposte nel giudizio di rinvio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza nei sensi di cui in motivazione con rinvio anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

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