Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25670 del 27/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 27/10/2017, (ud. 12/09/2017, dep.27/10/2017),  n. 25670

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amalia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17200-2016 proposto da:

AZIENDA POLICLINICO UMBERTO I, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

114, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO VALLEBONA, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NOCERA

UMBRA 103, presso lo studio dell’avvocato BIANCA MORGIGNI, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2747/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/07/2016 R.G.N. 3057/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/09/2017 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANTONIO VALLEBONA;

udito l’Avvocato BIANCA MORGIGNI.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 4 luglio 2016), in parziale accoglimento dell’appello di S.S.A. avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 3 giugno 2014: 1) dichiara che, dopo la conclusione del procedimento disciplinare da parte dell’Università con l’irrogazione della sanzione della censura, è diventata illegittima la permanenza della sospensione dall’attività assistenziale e dell’allontanamento dall’Azienda Policlinico “Umberto I” di Roma disposto dal Direttore generale (d’ora in poi: DG) dell’Azienda stessa, con delibera n. 538 del 30 agosto 2013, nei confronti dell’appellante S.S., medico ricercatore universitario confermato presso l’Università “La Sapienza” di Roma svolgente anche attività assistenziale presso la suddetta Azienda Policlinico nonchè dirigente sindacale della Federazione Italiana Autonomie Locali e Sanità (FIALS) e responsabile sindacale presso l’Azienda medesima; 2) condanna l’Azienda stessa al ripristino del rapporto di servizio assistenziale; 3) condanna l’Azienda al risarcimento del danno patrimoniale per la perdita del reddito (quantificato nella somma lorda annua di Euro 10.000,00, oltre interessi legali) relativo allo svolgimento dell’attività professionale intra moenia, per il periodo compreso tra la conclusione del procedimento disciplinare da parte dell’Università e il deposito del ricorso d’appello; 4) condanna l’Azienda al pagamento della metà delle spese processuali dei due gradi di merito e compensa l’altra metà delle spese stesse.

La Corte d’appello di Roma, nell’ampia motivazione, per quel che qui interessa, precisa che: – a) è inammissibile l’eccezione di difetto di legittimazione passiva riproposta dall’Azienda Policlinico in quanto, in base al D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, art. 5, comma 2, le attività assistenziali svolte dai professori e dai ricercatori universitari si integrano con quelle di didattica e ricerca e il personale universitario risponde al direttore generale dell’Azienda sanitaria dell’adempimento dei doveri assistenziali;

b) la norma attribuisce al direttore generale il ruolo e le funzioni di datore di lavoro per le attività assistenziali e quindi radica la legittimazione passiva dell’Azienda nel presente giudizio;

c) quanto al merito delle censure, la nozione giuridica di “doveri d’ufficio” assume valenza diversa, rispettivamente in ambito penale e in ambito lavoristico, pertanto nella specie i fatti commessi dall’appellante nella qualità di dirigente sindacale, a prescindere dalle valutazioni in sede penale, sono da considerare idonei a riflettersi sui doveri inerenti al rapporto di servizio di natura medico-assistenziale e quindi legittimano l’applicazione del D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 5, comma 14, tanto più che in ambito sanitario le funzioni e il ruolo del dirigente sindacale devono essere indirizzate alle medesime finalità di quelle del dirigente sanitario, indicate nell’art. 6 del CCNL da applicare;

d) è di per sè sufficiente a giustificare la “misura cautelare” adottata l’invio al DG di un numero eccessivo (38) di diffide – della veridicità del cui contenuto qui non si discute – per le modalità con le quali è stato effettuato, risultate più di tipo intimidatorio che volte alla soluzione dei problemi evidenziati nonchè, nella loro diffusione alla stampa, lesive dell’immagine dell’Azienda e tali da ingenerare inutile allarme nell’utenza, tanto più che in sede penale (GUP del Trib. di Roma, sentenza 21 marzo 2014, n. 144), sia pure in un procedimento ancora in corso, si è ipotizzato che tale comportamento sia stato posto in essere per scopi personali e strumentalmente alla commissione di un tentativo di violenza privata ai danni del DG;

e) invece si devono considerare rientranti nella normale dialettica sindacale nei luoghi di lavoro le dichiarazioni rilasciate dal S.S. al Corriere della sera relativamente ad un incidente verificatosi in uno degli ascensori dell’Azienda;

f) tuttavia, il provvedimento di sospensione previsto dal D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 5, comma 14, adottato senza alcun contraddittorio, va configurato come “strumentale” rispetto al procedimento disciplinare, di competenza dell’Università, sicchè non può essere a tempo indeterminato ma ha carattere temporaneo e quindi nel momento in cui il procedimento disciplinare si conclude con una sanzione conservativa che consente l’immediato ripristino del rapporto – quale è il rimprovero scritto (c.d. censura) di cui si è avuta applicazione nella specie – il provvedimento adottato ex art. 5, comma 14, cit. è destinato a venire meno;

g) infatti, l’allontanamento contemplato nella suindicata norma non può essere inteso come risoluzione del rapporto di servizio ma soltanto come strumento di attuazione in concreto della “sospensione” – termine che implica, di per sè, la temporaneità – del rapporto stesso;

g) nella specie, l’esigenza cautelare è venuta meno con l’adozione della sanzione della censura a conclusione del procedimento disciplinare, sicchè dal giorno successivo è sorto il diritto dell’appellate al ripristino del rapporto di servizio assistenziale presso l’Azienda, con il risarcimento del danno patrimoniale suindicato, che pur essendo sfornito di prova rigorosa non è stato contestato dall’Azienda la quale si è limitata ad opporsi alla sola richiesta di danno non patrimoniale.

2. Il ricorso dell’Azienda Policlinico “Umberto I” di Roma domanda la cassazione della sentenza per un unico motivo; resiste, con controricorso, S.S.A..

Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi del ricorso.

1. Con l’unico motivo di ricorso l’Azienda Policlinico “Umberto I” di Roma denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, art. 5, comma 14, per l’erronea configurazione, da parte della Corte d’appello, del potere di “allontanamento” spettante al Direttore generale (d’ora in poi: DG) dell’Azienda ospedaliera, come “strumentale rispetto al procedimento disciplinare adottato dall’Università” e quindi come temporaneo, dato il suo conseguente venire meno nel momento in cui il procedimento disciplinare si conclude con una sanzione conservativa che consente l’immediato ripristino del rapporto, quale è il rimprovero scritto (c.d. censura), di cui si tratta nella specie.

Si sottolinea che – come anche la Corte territoriale afferma nella sentenza impugnata – le attività assistenziali svolte dai professori e dai ricercatori universitari si integrano con quelle di didattica e ricerca, ma sono da queste distinte, in base al consolidato indirizzo delle Sezioni Unite di questa Corte.

In questo quadro, l’Università e l’Azienda sanitaria sono enti diversi che non perseguono i medesimi interessi, come è dimostrato, nella specie, dal fatto che l’Università ha adottato soltanto la sanzione della censura perchè ha reputato gli addebiti non lesivi dei suoi interessi (non riferendosi all’attività di docenza e di ricerca), mentre l’Azienda ha disposto l’allontanamento, considerando i fatti contestati come “gravissime mancanze ai doveri d’ufficio”, inerenti al rapporto di assistenza medica.

Ed è proprio per tale ultima evenienza che al direttore generale – privo di poteri disciplinari sui medici universitari – è attribuito il potere di allontanamento in discussione, il quale non può che essere considerato autonomo – anzichè strumentale rispetto al procedimento disciplinare di competenza dell’Università – tanto più che, a differenza del potere disciplinare (e di licenziamento), il relativo esercizio non è limitato da regole sostanziali di necessaria giustificazione, ma è condizionato soltanto da una regola procedimentale consistente nel previo parere del Comitato dei garanti.

Infatti, se si attribuisce a tale potere la configurazione – erronea sostenuta dalla Corte territoriale, una Azienda sanitaria – quale, nella specie, il Policlinico “Umberto I” di Roma – non potrebbe mai disfarsi di un medico universitario che abbia commesso gravi inadempimenti nell’ambito dell’attività assistenziale (e, quindi, lesivi degli interessi dell’Azienda stessa) se l’Università non decide di licenziarlo, sicchè l’Azienda verrebbe a trovarsi – illegittimamente – in una posizione di dipendenza rispetto alle scelte operate dall’Università al riguardo.

D’altra parte, lo svolgimento dell’attività assistenziale da parte dei professori di medicina è un corollario rispetto all’attività universitaria e questo, da un lato, esclude il diritto dell’interessato di svolgere la suddetta attività presso una determinata struttura, ma comporta altresì che l’eventuale allontanamento dall’Azienda sanitaria non implica la perdita del posto di lavoro pubblico, in quanto il medico universitario continua a svolgere l’attività di docenza e ricerca per l’Università.

3 – Esame delle censure.

2. L’esame di tutti i profili di censura – quali chiaramente indicati nell’unico motivo di ricorso – porta all’accoglimento del ricorso stesso, per le ragioni di seguito esposte.

3.- Deve essere, in primo luogo, precisato che a partire dalla L. 18 marzo 1958, n. 311 – la quale, nel ridefinire lo stato dei professori universitari, ebbe a prevedere che le esercitazioni nei laboratori e nelle cliniche fossero elencate tra i doveri di insegnamento (art. 6, tuttora vigente, ai sensi del D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, art. 1, comma 1 in combinato disposto con l’allegato 1 allo stesso decreto, come modificato dall’allegato C al D.Lgs. 13 dicembre 2010, n. 213) – la stretta connessione ed inscindibilità dell’attività di assistenza ospedaliera con quella didattico-scientifica affidate al personale medico universitario rappresenta un principio-cardine del sistema, che nel corso degli anni è stato oggetto di ulteriori riconoscimenti legislativi, sempre più incisivi (vedi: Corte costituzionale: sentenze n. 71 del 2001, 136 del 1997, n. 126 del 1981, n. 103 del 1977; vedi anche Cons. Stato, Sez. 6, 10 marzo 2011, n. 1539 e Cons. Stato, Sez. 3, 15 giugno 2017, n. 2933).

Peraltro è altrettanto pacifico che i due suddetti tipi di attività, pur integrandosi, restano distinti per molti aspetti, a partire – per quel che riguarda la giurisprudenza di questa Corte – dall’individuazione del giudice cui sono devolute, rispettivamente, le relative controversie.

Infatti, secondo il consolidato orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte, le controversie riguardanti sia l’esercizio dell’attività assistenziale svolta dai professori e dai ricercatori universitari, sia il loro rapporto con le Aziende sanitarie, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario perchè ad esse si applicano le norme stabilite per il personale del Servizio Sanitario Nazionale e rispetto ad esse la qualifica di professore universitario funge da mero presupposto del rapporto lavorativo mentre l’attività svolta si inserisce nei fini istituzionali e nell’organizzazione dell’Azienda sanitaria, determinandosi perciò l’operatività del principio generale di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63, comma 1, che sottopone al giudice ordinario le controversie dei dipendenti delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale. Invece le controversie che riguardano direttamente il rapporto di lavoro del professore con l’Università sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 63, comma 4 citato (vedi, per tutte: Cass. civ. SU 6 maggio 2013, n. 10406; Cass. SU 15 febbraio 2007 n. 3370; Cass. SU 5 maggio 2011 n. 9847; Cass. SU 15 maggio 2012 n. 7503).

4.- La suindicata integrazione, reiteratamente affermata nella legislazione nazionale, deriva dal riconoscimento della natura necessariamente teorico-pratica dell’insegnamento della medicina, a livello sia universitario sia post-universitario, non solo da sempre presente nella normativa nazionale ma ribadito anche dalla normativa UE in tema di reciproco riconoscimento dei diplomi medici, nel corso del tempo, resa operante nel nostro ordinamento con D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368(attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia), con D.Lgs. 8 luglio 2003, n. 277 (attuazione della direttiva 2001/19/CE), con D.Lgs. 9 novembre 2007, n. 206(attuazione della direttiva 2005/36/CE etc.) nonchè con il D.Lgs. 28 gennaio 2016, n. 15 (attuazione della direttiva 2013/55/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, recante modifica della direttiva 2005/36/CE etc.).

5.- Anche nel D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, che viene qui in considerazione, si attribuisce grande rilievo a tale caratteristica dell’insegnamento della medicina, sottolineandosi la necessaria complementarietà dell’attività assistenziale rispetto a quella didattica e di ricerca, ma anche ribadendosi l’autonomia di tali attività, sotto diversi profili.

Infatti, nei primi due commi del D.Lgs. n. 517 cit., art. 1 si stabilisce che le funzionalità e coerenza dell’attività assistenziale con le esigenze della didattica e della ricerca deve essere assicurata da specifici Protocolli d’intesa stipulati dalla Regione con le Università ubicate nel proprio territorio relativi anche al collegamento della programmazione della facoltà di medicina e chirurgia con la programmazione aziendale.

Poi, nei primi due commi del successivo art. 5 (Norme in materia di personale), si specifica che:

a) l’individuazione dei professori e ricercatori universitari, che svolgono attività assistenziale presso le aziende sanitarie del SSN deve avvenire con apposito atto del Direttore generale dell’Azienda di riferimento d’intesa con il Rettore, in conformità ai criteri stabiliti nel Protocollo d’intesa tra la Regione e l’Università relativi anche al collegamento della programmazione della facoltà di medicina e chirurgia con la programmazione aziendale;

b) ai professori e ricercatori universitari di cui al comma 1, “fermo restando il loro stato giuridico”, si applicano, per quanto attiene all’esercizio dell’attività assistenziale, al rapporto con le Aziende e a quello con il Direttore generale, le norme stabilite per il personale del Servizio sanitario nazionale;

c) le attività assistenziali svolte dai professori e dai ricercatori universitari si integrano con quelle di didattica e ricerca;

d) dell’adempimento dei doveri assistenziali il personale universitario risponde al Direttore generale.

6.- Tale impostazione è stata ulteriormente “rafforzata” dalla successiva legislazione e dagli atti conseguenti (Linee guida, Protocolli di intesa, Codici di comportamento etc.) per entrambi i suddetti profili, cioè sia per quel che riguarda l’integrazione delle suindicate attività sia per la loro differenziazione per molteplici profili, a cominciare da: 1) il riconoscimento del diritto in favore del personale medico universitario allo svolgimento di adeguata attività assistenziale in strutture del SSN, la cui concreta individuazione compete al Direttore generale dell’Azienda di riferimento d’intesa con il Rettore (da ultimo: TAR Campania, Sez. 2, 23 giugno 2017, n. 3442); 2) la ribadita conseguente per il suddetto personale universitario di rispondere al Direttore generale dell’Azienda ospedaliera del corretto adempimento dei doveri inerenti all’attività assistenziale, non potendo la suddetta integrazione tradursi nell’ammissibilità di comportamenti di professori e ricercatori universitari che incidano negativamente sull’esercizio dell’attività dell’Azienda sanitaria alla quale sono assegnati (vedi, per tutte: Cons. Stato, Sez. 6, 10 marzo 2011, n. 1539 e Cons. Stato, Sez. 3, 15 giugno 2017, n. 2933).

Del resto, l’obbligo dei medici e ricercatori universitari di rispondere dell’adempimento dei propri doveri assistenziali al Direttore generale dell’Azienda sanitaria è il portato del generale principio di buona amministrazione (che ha il suo principale riferimento nell’art. 97 Cost.), il quale ha particolare pregnanza per le Aziende sanitarie del Servizio Sanitario Nazionale o Regionale, visto che si tratta di enti preposti alla tutela del fondamentale diritto alla salute delle persone, di cui all’art. 32 Cost.

7.- Ciò si desume chiaramente, fra l’altro, dai seguenti atti, alcuni dei quali, seppur successivi alla vicenda in oggetto, sono comunque utili in via di interpretazione evolutiva, nel senso che dimostrano come, nel corso del tempo, i suddetti principi abbiano avuto ulteriore conferma, in modo non equivoco, a vari livelli (arg. ex Cass. SU 14 aprile 2011, n. 8486; Cass. SU 26 luglio 2004, n. 13967; Cass. 13 maggio 1071, n. 1378; Cass. 26 giugno 1962, n. 1654):

1) l’atto di indirizzo e coordinamento approvato con D.P.C.M. 24 maggio 2001, recante le Linee guida concernenti i Protocolli di intesa da stipulare tra Regioni e Università per lo svolgimento delle attività assistenziali nel quadro della programmazione sanitaria nazionale e regionale, ove, tra l’altro, si dettano le direttive riguardanti le modalità della collaborazione tra suddetti enti, allo scopo di assicurare l’integrazione delle attività assistenziali, didattiche e di ricerca, fissando inoltre i criteri per l’organizzazione interna delle Aziende ospedaliero-universitarie (vedi spec. artt. 2 nonchè art. 6 ove si precisa che ì Protocolli d’intesa devono indicare criteri volti ad informare i rapporti tra il Servizio Sanitario Regionale e le Università a principi di leale collaborazione assicurando a tale scopo, fra l’altro, “l’autonomia organizzativa e gestionale delle aziende ospedaliero-universitarie e degli organi delle medesime nonchè delle altre strutture nelle quali si attua l’integrazione tra attività assistenziale, didattica e di ricerca, nel rispetto dell’ordinamento vigente delle presenti Linee guida e dei Protocolli d’intesa” (lett. g);

2) la L. 4 novembre 2005, n. 230, che nell’art. 1, comma 2, a proposito dell’esercizio da parte dei professori universitari medici delle funzioni assistenziali inscindibili da quelle di insegnamento e ricerca fa espresso rinvio alle disposizioni di cui al D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, art. 5;

3) la L. 30 dicembre 2010, n. 240 (vedi, per tutte: Cons. Stato, Sez. 6^, 4 novembre 2013, n. 5284);

4) il Protocollo d’Intesa 2016-2018 firmato il 10 febbraio 2016 dalla Regione Lazio e dall’Università La Sapienza che – nel dare piena attuazione al D.Lgs. n. 517 del 1999, che ha sancito la nascita delle Aziende ospedaliere universitarie integrate con il Servizio Sanitario Nazionale – ha definito concretamente il “perimetro” dell’integrazione tra il sistema sanitario regionale e le strutture sanitarie dell’Ateneo: Azienda ospedaliera universitaria Policlinico Umberto I, Azienda ospedaliera universitaria Sant’Andrea, Azienda USL di Latina per le unità a direzione universitaria ed ha, per quanto interessa, previsto che: a) “ai professori e i ricercatori universitari, fermo restando il loro stato giuridico, si applicano, per quanto attiene all’esercizio dell’attività assistenziale, al rapporto con le Aziende e a quello con il Direttore Generale, le norme di legge e di contratto stabilite per il personale dirigente del SSN, nei limiti e agli effetti di cui al D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 5” (art. 24, comma 5); b) “dell’adempimento dei doveri assistenziali il personale risponde al Direttore Generale” (art. 24, comma 7); c) “per quanto non previsto nella presente Intesa, si richiamano il D.Lgs. n. 502 del 1992, il D.Lgs. n. 517 del 1999, il D.P.C.M. 24 maggio 2001, e la L.R. n. 18 del 1994” (art. 34);

5) il Decreto Rettoriale 20 maggio 2013, n. 1685 e il coevo D.R. n. 1686 con i quali, in applicazione della L. n. 240 del 2010, art. 10 e dell’art. 8 del vigente Statuto dell’Università La Sapienza, è stato, rispettivamente, emanato il Regolamento per il funzionamento del Collegio di disciplina e per lo svolgimento del procedimento disciplinare nei confronti dei professori e ricercatori universitari ed è stato nominato il Collegio di disciplina stesso, evidenziandosi che “l’avvio del procedimento disciplinare nei confronti del personale docente universitario spetta al Rettore, al quale potranno essere segnalati i fatti di rilievo disciplinare per l’istruttoria di competenza ai sensi e per gli effetti del precitato Regolamento per il funzionamento del Collegio di disciplina”;

6) il Decreto Rettoriale dell’Università La Sapienza di Roma, D.R. n. 662 del 2015 del 2 marzo 2015 classif. 4^/1, il cui art. 11 – replicando il testo del precedente D.R. 17 aprile 2014, n. 1000, art. 10 – ha stabilito che: “al personale docente strutturato operante presso le Aziende Policlinico Umberto I e Sant’Andrea o altre Strutture sanitarie convenzionate, per le gravi violazioni connesse allo svolgimento dell’attività assistenziale, si applicano le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 5, comma 14”.

8.- Tale ultima disposizione, deve essere messa in collegamento con quella del precedente art. 1, comma 1 stesso D.R., in cui viene ribadito che l’applicazione delle sanzioni disciplinari a carico di professori e ricercatori universitari, di competenza del Rettore e degli altri organi istituiti allo scopo nell’ambito dell’Università, si riferisce soltanto a “comportamenti contrari ai doveri d’ufficio e tali da ledere la dignità e la credibilità della funzione docente e l’immagine pubblica dell’Istituzione universitaria”.

Del resto, ciò si desume anche dal richiamato D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 5, comma 2, ove si precisa che lo “stato giuridico” dei professori e ricercatori universitari che svolgono attività assistenziale presso le aziende sanitarie del SSN resta inalterato, il che vuol dire che tali docenti restano dipendenti dell’Università – e quindi soggetti al potere disciplinare degli organi universitari competenti, a partire dal Rettore – ma è del tutto evidente che lo svolgimento della loro attività assistenziale in modo corretto non può rimanere privo di controlli.

Per questo lo stesso art. 5, dopo aver stabilito che dell’adempimento di tali ultime attività i suindicati docenti debbano rispondere al Direttore generale dell’Azienda sanitaria, al comma 14 stabilisce che: “Ferme restando le sanzioni ed i procedimenti disciplinari da attuare in base alle vigenti disposizioni di legge, nei casi di gravissime mancanze ai doveri d’ufficio, il direttore generale previo parere conforme, da esprimere entro ventiquattro ore dalla richiesta, di un apposito comitato costituito da tre garanti, nominati di intesa tra rettore e direttore generale per un triennio, può sospendere i professori ed i ricercatori universitari dall’attività assistenziale e disporne l’allontanamento dall’azienda, dandone immediata comunicazione al rettore per gli ulteriori provvedimenti di competenza. Qualora il comitato non si esprime nelle ventiquattro ore previste, il parere si intende espresso in senso conforme”.

9.- All’evidenza il suddetto potere di sospensione dall’attività assistenziale e di allontanamento dall’Azienda sanitaria non ha carattere disciplinare – in quanto una simile configurazione si porrebbe in patente contrasto con il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 che attribuisce tale potere solo all’Amministrazione datrice di lavoro e ne rinvia la disciplina alla contrattazione collettiva- ma neppure può considerarsi “strumentale” rispetto al potere disciplinare del Rettore – come si afferma nella sentenza qui impugnata – in quanto questo equivarrebbe a negare l’autonomia e la pari-ordinazione connaturate al rapporto tra Università e Azienda sanitaria e da sempre riconosciute nel nostro ordinamento, con l’ulteriore specificazione della conformazione dei reciproci rapporti al principio di leale cooperazione.

Ne deriva che il suddetto potere deve essere configurato come un “potere autonomo” che il Direttore generale è abilitato ad esercitare tutte le volte in cui ritenga che ricorrano l’ipotesi di “gravissime mancanze ai doveri d’ufficio” commesse da un docente universitario nell’esercizio dell’attività assistenziale, alla sola condizione del previo parere conforme espresso, entro ventiquattro ore dalla richiesta, di un apposito Comitato di tre garanti, nominati di intesa tra Rettore e Direttore generale.

E’ inoltre previsto che il Direttore generale debba dare immediata comunicazione al Rettore del relativo provvedimento, per l’eventuale adozione degli “ulteriori provvedimenti di competenza”, espressione, quest’ultima che, per la sua ampiezza applicativa, può riferirsi sia ad iniziative di carattere disciplinare – da collegare all’ipotesi in cui il comportamento posto in essere nell’Azienda sanitaria sia rinvenibile da parte del Rettore anche la trasgressione dei doveri inerenti la dignità e la credibilità della funzione docente e l’immagine pubblica dell’Istituzione universitaria – sia ad altro tipo di provvedimenti, ad esempio collegabili all’individuazione d’intesa, con il DG, di altro docente universitario cui conferire compiti di attività assistenziale al posto di quello allontanato oppure di altra struttura ove inviare il docente medico allontanato, per effetto della procedura concertata da svolgere sulla base del Protocollo d’Intesa Regione/Università, D.Lgs. n. 517 del 1999, ex art. 5, comma 1.

10. L’esclusione della natura disciplinare – diretta o indiretta – del suindicato potere del Direttore generale, desumibile dalla lettura del citato art. 5 cit., comma 14 effettuata in armonia con i principi generali della materia, è, fra l’altro, confermata dalla duplice circostanza secondo cui: a) il CCNL Area Medico Veterinaria del SSN 6 maggio 2010 – Contratto integrativo del CCNL 17 ottobre 2008 non contiene alcuna disposizione specifica al riguardo, diversamente da quanto accade per i procedimenti disciplinari; b) comunque l’applicazione del suindicato art. 5, comma 14, è sempre tenuta distinta rispetto a quella delle sanzioni disciplinari e quindi dalla relativa normativa.

Ciò si riscontra non solo in tutti i testi normativi dianzi citati ma anche nel richiamato Decreto Rettoriale dell’Università La Sapienza di Roma, D.R. n. 662 del 2015, art. 11 del 2 marzo 2015 classif. 4^/1 e nell’art. 9 del vigente Regolamento dei procedimenti disciplinari nei confronti del personale dirigente dell’Azienda Policlinico Umberto I.

Quest’ultima disposizione prevede anche uno specifico procedimento nel quale si stabilisce che del provvedimento del Direttore generale debba essere data comunicazione, in primo luogo, all’interessato.

11. D’altra parte, dall’art. 6 del citato CCNL risulta che il dirigente – e quindi anche il Direttore generale – dell’Azienda sanitaria deve improntare il suo comportamento al perseguimento dell’efficienza e dell’efficacia dei servizi istituzionali nella primaria considerazione delle esigenze dei cittadini utenti, operando costantemente nel pieno rispetto del Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni nonchè dei codici di comportamento adottati dalle aziende ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 54, comma 5 e di quanto stabilito nelle Carte dei servizi, sulla cui applicazione “vigilano i dirigenti responsabili di ciascuna struttura” (in base al comma 6 dello stesso art. 54).

Il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici di cui al D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62 (entrato in vigore il 19 giugno 2013), che è stato riprodotto nel “Nuovo codice di comportamento dei dipendenti pubblici – Umberto I”, all’art. 13 detta disposizioni particolari per i dirigenti, stabilendo, fra l’altro, che: a) “il dirigente svolge con diligenza le funzioni ad esso spettanti in base all’atto di conferimento dell’incarico, persegue gli obiettivi assegnati e adotta un comportamento organizzativo adeguato per l’assolvimento dell’incarico” (comma 2); b) “il dirigente, nei limiti delle sue possibilità, evita che notizie non rispondenti al vero quanto all’organizzazione, all’attività e ai dipendenti pubblici possano diffondersi. Favorisce la diffusione della conoscenza di buone prassi e buoni esempi al fine di rafforzare il senso di fiducia nei confronti dell’amministrazione” (comma 9). Poi, al successivo art. 15, comma 1, si attribuisce, in primo luogo, ai dirigenti responsabili di ciascuna struttura l’obbligo di vigilare sull’applicazione del suddetto Codice e dei codici di comportamento adottati dalle singole Amministrazioni, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 54, comma 6.

Nel precedente “Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”, di cui al D.M. 28 novembre 2000 – abrogato dal citato D.P.R. n. 62 del 2013, art. 17, comma 3, – non vi era una specifica normativa per i dirigenti, ma in ogni caso – dato che le disposizioni contenute nei Codici di comportamento, “trovano applicazione in tutti i casi in cui non siano applicabili norme di legge o di regolamento o comunque per i profili non diversamente disciplinati da leggi o regolamenti” (art. 1, comma 3 D.M. cit.) – quel che conta è che, per legge (D.Lgs. n. 165 del 2001), incombeva loro il compito di vigilare sul corretto espletamento del servizio reso agli utenti dall’Amministrazione di appartenenza.

E tutto questo, per la dirigenza medica, trova riscontro nel D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 15, comma 6, secondo cui al direttore della struttura complessa, universitario o ospedaliero, sono fra l’altro attribuite funzioni di direzione e organizzazione della struttura, da attuare anche grazie all’adozione delle decisioni necessarie per il corretto espletamento del servizio.

Pertanto, può dirsi che, per il Direttore generale, l’esercizio del potere di sospensione e allontanamento de quo – in presenza della particolare ipotesi di “gravissime mancanze ai doveri d’ufficio” commesse da un docente universitario nell’esercizio dell’attività assistenziale – è una manifestazione della responsabilità conferitagli dalla legge in ordine alla buona organizzazione della Azienda sanitaria.

12.- Il procedimento previsto per l’esercizio di tale potere è piuttosto snello e rapido – il che corrisponde agli interessi sia dell’Azienda sia del medico universitario – ma comunque consente il pieno esercizio del diritto di difesa perchè il destinatario viene posto in condizione di conoscere l’iniziativa assunta dall’Amministrazione, l’oggetto del provvedere, nonchè l’organo investito dell’eventuale attività istruttoria.

Come è accaduto nella specie, visto che è pacifico che il S.S. sono state inviate dal DG due lettere, rispettivamente in data 7 marzo 2013 e 16 aprile 2013, nelle quali gli è stato contestato “l’atteggiamento persecutorio e reiterato” a detrimento dell’Azienda sanitaria e il destinatario ha tempestivamente svolto per iscritto le proprie difese.

Inoltre, l’intervento del Comitato dei garanti – chiamato ad un apporto consultivo esterno, che resta distinto dal potere di iniziativa riservato al Direttore generale dell’Azienda sanitaria – contribuisce ad assicurare la regolarità della procedura. Mentre la brevità del termine assegnato al Comitato per esprimere il proprio parere – entro le ventiquattro ore dalla relativa richiesta – è da collegare alla scelta legislativa di concludere il procedimento in tempi brevi, anche nell’interesse del destinatario, e trova riscontro anche nella previsione di chiusura della disposizione, ove è stabilito – sempre a garanzia della tempestiva conclusione del procedimento – che qualora il Comitato non si esprima nelle ventiquattro ore previste, il parere si intende espresso in senso conforme (vedi, sul punto: Cons. Stato, Sez. 6, 10 marzo 2011, n. 1539).

13. La determinazione di sospensione ed allontanamento dai compiti di assistenza è il risultato della scelta effettuata dal Direttore dell’Azienda ospedaliera, a salvaguardia dei superiori interessi di rilievo pubblico inerenti alla corretta erogazioni delle prestazioni sanitarie, ed è espressione delle sfera di discrezionalità tecnica di cui detto organo dispone in ordine agli aspetti organizzativi e gestionali del servizio ed quindi sindacabile in sede giudiziaria, nei limiti stabiliti (vedi: Cons. Stato. Sez. 6, 7 agosto 2007, n. 4384; Cons. Stato, Sez. 6, Sent., 10 marzo 2011, n. 1539; Cons. Stato, Sez. 3, 15 giugno 2017, n. 2933).

Si tratta, pertanto, di un potere il cui esercizio – in base all’art. 5 cit., comma 14 – è volto a tutelare interessi pubblici riconducibili all’art. 97 Cost., in un settore di particolare rilievo sociale, e che quindi deve essere esercitato dal Direttore generale dell’Azienda sanitaria nel rispetto delle clausole generali di correttezza e buona fede, a fronte di una situazione nella quale il destinatario ha posto in essere un comportamento (gravissime mancanze ai doveri d’ufficio) che si pone certamente in contrasto con le suddette clausole, cui tutti i dipendenti pubblici devono attenersi nello svolgimento del loro lavoro.

Al riguardo – mutatis mutandis – si può ricordare che la Corte costituzionale ha affermato che, onde garantire l’interesse generale al buon andamento della Pubblica amministrazione e il rapporto di fiducia dei cittadini verso la PA (di cui all’art. 97 Cost.), non si può negare al legislatore la facoltà di identificare ipotesi circoscritte di sospensione obbligatoria dei pubblici dipendenti dal servizio fermo sempre restando il controllo di ragionevolezza sull’esercizio della corrispondente discrezionalità legislativa (Corte cost. sentenze n. 206 del 1999 e n. 145 del 2002).

14. Quanto alle possibili conseguenze del provvedimento del Direttore generale – consistenti nella sospensione dei professori e dei ricercatori universitari dall’attività assistenziale e nell’allontanamento dall’Azienda sanitaria -va sottolineato che esse si riferiscono, come risulta chiaramente dal testo del comma 14 cit., alla sola attività assistenziale.

Questo significa che l’adozione delle suddette misure incide esclusivamente sul rapporto di servizio che il docente ha con una certa Azienda sanitaria, mentre non ha di per sè nè potrebbe avere – visto che il Direttore generale non è titolare del potere disciplinare sui medici universitari che lavorano nella Azienda stessa – alcun rilievo sul rapporto di impiego dell’interessato con l’Università.

Un simile rilievo può assumere soltanto se – e nella misura in cui – il Rettore e gli altri organi universitari competenti ritengano che la condotta posta in essere nell’ambito dell’attività assistenziale – di cui viene data loro comunicazione – si configurabile “anche” come comportamento contrario ai doveri d’ufficio che l’interessato deve rispettare come docente, considerandolo tale “da ledere la dignità e la credibilità della funzione docente e l’immagine pubblica dell’Istituzione universitaria”.

15. In altri termini, la sospensione e l’allontanamento di cui all’art. 5, comma 14, cit. sono strettamente legati all’attività assistenziale svolta in una determinata struttura, sicchè pur potendosi concordate con l’assunto della Corte d’appello secondo cui il termine “sospensione” implica, di per sè, una situazione temporanea, tuttavia deve essere precisato che, non essendo il provvedimento di sospensione previsto dal D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 5, comma 14, da configurare come strumentale rispetto al procedimento disciplinare di competenza dell’Università, la suddetta temporaneità non va collegata all’esito del procedimento disciplinare.

Infatti, non solo l’invio della relativa comunicazione al Rettore non comporta la necessaria instaurazione da parte sua del procedimento disciplinare, ma un simile procedimento se instaurato è comunque diretto alla tutela di interessi che sono diversi da quelli per la cui lesione il Direttore generale si avvale del potere di cui all’art. 5, comma 14, cit.

Sicchè, è del tutto evidente che anche l’esito di un simile procedimento non può condizionare, di per sè, gli effetti del provvedimento del Direttore generale.

Ne deriva che la conclusione del suddetto procedimento con l’irrogazione di una sanzione conservativa – quale è il rimprovero scritto (c.d. censura) dì cui si è avuta applicazione nella specie – non può certamente consentire l’immediato ripristino del rapporto di servizio con l’Azienda sanitaria, come si afferma nella sentenza qui impugnata. Infatti, il carattere “conservativo” della sanzione va riferito al rapporto di impiego che lega il docente all’Università e non a quello di servizio, riguardante l’attività assistenziale, di cui i medici universitari rispondono al Direttore generale dell’Azienda sanitaria cui sono assegnati, come afferma anche la Corte d’appello, sia pure ai soli fini della riconosciuta legittimazione passiva dell’Azienda nel presente giudizio.

16. Invero, la suddetta “temporaneità” della sospensione, cui viene data concreta attuazione con l’allontanamento, deve essere intesa come riferita dal punto di vista logistico – soltanto all’attività assistenziale svolta dal medico universitario nella Azienda sanitaria nella quale sono state commesse le gravi mancanze che hanno determinato l’adozione del relativo provvedimento del Direttore generale.

Ciò in quanto l’interessato – pur essendosi riscontrata la commissione delle suddette gravi mancanze – mantiene, salva diversa decisione da parte dell’Università, integra l’attribuzione del diritto a svolgere l’attività assistenziale, solo che, per effetto del provvedimento del Direttore generale, tale attività – per tutelare il buon andamento dell’Amministrazione (art. 97 Cost.) – si dovrà svolgere in un luogo diverso da quello originario, da individuare con apposito atto del Direttore generale dell’Azienda sanitaria di riferimento d’intesa con il Rettore, in conformità ai criteri stabiliti nel Protocollo d’intesa tra la Regione e l’Università relativi anche al collegamento della programmazione della facoltà di medicina e chirurgia con la programmazione aziendale (D.Lgs. n. 517 del 1999, ex art. 5, comma 1).

In altri termini, l’adozione della speciale misura di cui si tratta non può incidere, di per sè, sullo stato giuridico del destinatario, ma essendo stata determinata da mancanze gravissime commesse in una certa Azienda o Struttura sanitaria essa comporta la preclusione, per il destinatario, dell’esercizio in tale Azienda di ogni altra attività assistenziale, anche se di contenuto diverso e minore rispetto a quelle in precedenza esercitate, salvo restando il diritto di svolgere l’attività sanitaria in luoghi diversi, individuati come si è detto (vedi: Cons. Stato. Sez. 6, 7 agosto 2007, n. 4384; Cons. Stato, Sez. 6, Sent., 10 marzo 2011, n. 1539; Cons. Stato, Sez. 3, 15 giugno 2017, n. 2933).

In conclusione la previsione delle suddette misure, che precludono all’interessato l’esercizio dell’attività di assistenza nell’Azienda sanitaria presso la quale è strutturato, può configurarsi come un’applicazione del principio generale secondo cui le attività assistenziali svolte dai professori e dai ricercatori universitari devono integrarsi con quelle di didattica e ricerca. Tale integrazione, infatti, non può non comportare che tutte le suddette attività debbano svolgersi in modo altrettanto corretto e che, quindi, anche le attività assistenziali – che, di per sè, sfuggono al potere disciplinare delle Università da cui i docenti dipendono – non siano poste in essere in modo non conforme ai doveri che l’interessato deve rispettare nei confronti dell’Azienda sanitaria cui è assegnato.

17. Nella presente fattispecie è pacifico che:

a) il provvedimento di allontanamento con contestuale sospensione dell’attività assistenziale disposto dal Direttore generale l’Azienda Policlinico “Umberto I” di Roma nei confronti di S.S.A. è stato seguito dal tempestivo parere conforme del Comitato dei garanti;

b) il procedimento disciplinare iniziato dall’Università per gli stessi fatti si è concluso con la sanzione conservativa del rimprovero scritto (c.d. censura);

c) la Corte d’appello ha affermato che nella specie i fatti commessi dal S.S. nella qualità di dirigente sindacale, a prescindere dalle valutazioni in sede penale, sono da considerare idonei a riflettersi sui doveri inerenti al rapporto di servizio di natura medico-assistenziale e quindi a legittimare l’applicazione del D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 5, comma 14, tanto più che in ambito sanitario le funzioni e il ruolo del dirigente sindacale devono essere indirizzate alle medesime finalità di quelle del dirigente sanitario indicate nell’art. 6 del CCNL da applicare;

d) la stessa Corte ha configurato il provvedimento di sospensione previsto dal D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 5, comma 14, come strumentale rispetto al procedimento disciplinare, di competenza dell’Università e come tale destinato a venire meno nel momento in cui il procedimento disciplinare si conclude con una sanzione conservativa che consente l’immediato ripristino del rapporto, in quanto con l’adozione di una simile sanzione è venuta meno l’esigenza “cautelare” e dal giorno successivo alla conclusione del procedimento disciplinare è sorto il diritto dell’appellate al ripristino del rapporto di servizio assistenziale presso l’Azienda, con il risarcimento del danno patrimoniale suindicato, che pur essendo sfornito di prova rigorosa non è stato contestato dall’Azienda la quale si è limitata ad opporsi alla sola richiesta di danno non patrimoniale.

18. Con riguardo ai suddetti elementi, va sottolineato che non vengono qui contestate le statuizioni della Corte d’appello: a) sull’idoneità dei fatti commessi dal S.S. nella qualità di dirigente sindacale (a prescindere dalle valutazioni in sede penale), a legittimare l’applicazione del D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 5, comma 14; b) sul fatto che, in ambito sanitario, le funzioni e il ruolo del dirigente sindacale debbano essere indirizzate alle medesime finalità di quelle del dirigente sanitario indicate nell’art. 6 del CCNL da applicare.

Pertanto, non ha alcuna rilevanza la prima deliberazione (del 18 febbraio 2013) del Comitato dei garanti nella quale, pur dandosi atto della gravità degli addebiti e della loro contrarietà al Codice di comportamento da applicare, è stata dichiarata l’incompetenza del Comitato, sul presupposto dell’estraneità dell’attività sindacale rispetto alla sfera di applicazione dell’art. 5, comma 14, cit., deliberazione peraltro seguita dall’indicato parere conforme.

Al riguardo può anche essere ricordato che, in base al citato Codice di comportamento dei dipendenti pubblici di cui al D.M. 28 novembre 2000 (abrogato dal successivo Codice di comportamento): a) “il dipendente… non svolge alcuna attività che contrasti con il corretto adempimento dei compiti d’ufficio e si impegna ad evitare situazioni e comportamenti che possano nuocere agli interessi o all’immagine della pubblica amministrazione (art. 2, comma 2); b) “salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali e dei cittadini, il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche che vadano a detrimento dell’immagine dell’amministrazione. Il dipendente tiene informato il dirigente dell’ufficio dei propri rapporti con gli organi di stampa” (art. 11, comma 2).

Per il successivo Codice di comportamento dei dipendenti pubblici di cui D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, (riprodotto nel “Nuovo codice di comportamento dei dipendenti pubblici – Umberto I”: a) “il dipendente non usa a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni di ufficio, evita situazioni e comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o all’immagine della pubblica amministrazione” (art. 3, comma 3); b) “nei rapporti privati il dipendente… non assume nessun… comportamento che possa nuocere all’immagine dell’amministrazione” (art. 10); c) “salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali, il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti dell’amministrazione” (art. 12, comma 2); d) la violazione degli obblighi previsti dal Codice stesso integra di per sè comportamenti contrari ai doveri d’ufficio e che, ai fini disciplinari, le violazioni commesse si valutano con riguardo alla gravità del comportamento e all’entità del “pregiudizio, anche morale, derivatone al decoro o al prestigio dell’Amministrazione di appartenenza” (art. 16).

Inoltre, in base alla condivisa giurisprudenza di questa Corte, l’esercizio da parte del lavoratore del diritto di critica delle decisioni aziendali, incontra i limiti della correttezza formale che sono imposti dall’esigenza di tutela della persona umana, e tali limiti possono essere superati “con l’attribuzione all’impresa datoriale od ai suoi rappresentanti di qualità apertamente disonorevoli, di riferimenti volgari e infamanti e di deformazioni tali da suscitare il disprezzo e il dileggio” (Cass. 24 maggio 2001, n. 7091; Cass. 24 settembre 2003, n. 14179; Cass. 21 giugno 2011, n. 13575).

19. Detto questo, va osservato che la configurazione data dalla Corte territoriale alle misure che il Direttore generale di un’Azienda sanitaria può adottare in base all’art. 5, comma 14, del d.lgs. n. 517 del 1999 non trova riscontro nella normativa (di vario livello), nella giurisprudenza e in tutti principi dianzi riportati dai quali si desume che soltanto una configurazione del potere de quo del Direttore generale come autonomo rispetto all’eventuale esercizio del potere disciplinare da parte del Rettore e dell’Università risulta, per le anzidette ragioni, conforme al basilare principio della necessaria integrazione dell’attività di assistenza ospedaliera con quella didattico-scientifica affidate al personale medico universitario.

20. Di qui l’accoglimento del ricorso, con la precisazione che l’Azienda ricorrente ha anche chiesto – senza specifica contestazione sul punto in questa sede – il rigetto di “tutte le domande” proposte dal S.S. e che, tra le domande risarcitorie, l’unica accolta dalla Corte d’appello è stata quella, pur sfornita di prova rigorosa, relativa al danno patrimoniale per la perdita del reddito relativo allo svolgimento dell’attività professionale intra moenia, per il periodo compreso tra la conclusione del procedimento disciplinare da parte dell’Università e il deposito del ricorso d’appello, da collegare quindi alla configurazione delle misure in oggetto, qui non condivisa.

4 – Conclusioni.

21. In sintesi, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata va cassata. Trattandosi di cassazione per violazione di norme di diritto e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, va decisa nel merito, con il rigetto di tutte le domande proposte dal S.S. nel ricorso introduttivo del giudizio.

Il difforme esito dei giudizi di merito, la complessità delle questioni trattate e la loro sostanziale novità per la giurisprudenza di questa Corte, costituiscono giusti motivi per l’integrale compensazione fra le parti delle spese dell’intero processo.

22. Infine, in applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 1, si ritiene opportuno enunciare i seguenti principi di diritto:

1) l’applicazione del principio generale secondo cui le attività assistenziali svolte dai professori e dai ricercatori universitari di medicina devono integrarsi con quelle di didattica e ricerca comporta che tutte le suddette attività debbano svolgersi in modo altrettanto corretto e che, quindi, anche le attività assistenziali – che, di per sè, sfuggono al potere disciplinare delle Università da cui i docenti dipendono – non siano poste in essere in modo non conforme ai doveri che l’interessato deve rispettare nei confronti dell’Azienda sanitaria cui è assegnato;

2) il potere di sospensione dall’attività assistenziale e di allontanamento dall’Azienda sanitaria cui sono assegnati esercitabile nei confronti dei medici universitari da parte del Direttore generale della stessa, ai sensi del D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 5, comma 14, non ha carattere disciplinare – in quanto una simile configurazione si porrebbe in contrasto con il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 che attribuisce tale potere solo all’Amministrazione datrice di lavoro e ne rinvia la disciplina alla contrattazione collettiva- ma neppure può considerarsi “strumentale” rispetto al potere disciplinare del Rettore perchè questo equivarrebbe a negare l’autonomia e la pari-ordinazione connaturate al rapporto tra Università e Azienda sanitaria da sempre riconosciute nel nostro ordinamento, con la specificazione della conformazione dei reciproci rapporti al principio di leale cooperazione. Ne deriva che il suddetto potere va configurato come un potere autonomo che il Direttore generale è abilitato ad esercitare tutte le volte in cui ritenga che ricorra l’ipotesi di “gravissime mancanze ai doveri d’ufficio” commesse da un docente universitario nell’esercizio dell’attività assistenziale, alla sola condizione del previo parere espresso, entro ventiquattro ore dalla richiesta, di un apposito Comitato di tre garanti, (nominati di intesa tra Rettore e Direttore generale), parere che peraltro rappresenta solo un apporto consultivo esterno, che resta distinto dal potere di iniziativa riservato al Direttore generale dell’Azienda sanitaria”.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta tutte le domande proposte dall’attuale controricorrente nel ricorso introduttivo del giudizio. Compensa integralmente fra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 12 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

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