Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25670 del 14/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 14/12/2016, (ud. 24/11/2016, dep.14/12/2016),  n. 25670

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 771-2015 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI TOR FIORENZA

156, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO DI GIORGIO, che lo

rappresenta e difende, giusta procura alle liti a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4731/49/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, del 9/06/2014 depositata il 09/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

IN FATTO

Il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti della Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della C.T.R. della Campania n. 4731/49/14, depositata in data 15/05/2014, con la quale – in controversia concernente avviso di accertamento, emesso per IRPEF e addizionali, relative all’anno di imposta 2004 – ha respinto il ricorso del contribuente, confermando la pronuncia della C.T.P. di Napoli.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

Si dà atto che il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, il ricorrente, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, per assoluta carenza di motivazione e di istruttoria”.

Il motivo è infondato.

2. Preliminarmente, occorre rilevare che la C.T.R. ha vagliato la fondatezza dell’avviso di accertamento – con il quale l’Ufficio erariale ha ritenuto il reddito dichiarato “incongruo” rispetto alla disponibilità di beni mobili e immobili – sia con riferimento al costo di gestione sia con riguardo a quello di manutenzione degli stessi: quindi i giudici di appello hanno espresso i motivi che li hanno indotti a ritenere l’infondatezza delle allegazioni difensive del contribuente appellante: affermazioni, alcune, ritenute non provate, altre, ritenute fondate su atti di vendita di immobili, effettuati in “epoca di molto lontana dall’anno cui si riferisce il presente accertamento”, ovvero di un immobile detenuto in comproprietà con la moglie del ricorrente o, infine, di altro immobile compravenduto, riferibile tuttavia ad anno successivo a duello oggetto di accertamento.

3. Tanto premesso, quanto alla lamentata carenza istruttoria, il motivo e viziato per contrasto col principio di autosufficienza del ricorso per cassazione. Invero, laddove venga lamentata la mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie” ricade sul ricorrente (S.U., sentenza n. 14824/2008) l’onere di “specificare, trascrivendole integralmente le prove non valutate o mal valutate, nonchè di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse, atteso che il mancato esame di una (o più) risultanze processuali può dar luogo al vizio di omessa o insufficiente motivazione unicamente se quelle risultanze non valutate o mai valutate siano tali da invalidare l’efficacia probatoria delle altre sulle quali il convincimento si formato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base” (Cass., sentenza n. 3326/2011; cfr.: Cass. n. 4205/2010, Cass. n. 3004/2004).

4. Non è fondata nemmeno la lamentata violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, anch’essa contenuta nel primo motivo, con la quale il ricorrente afferma che l’accertamento induttivo della Agenzia delle Entrate dovrebbe necessariamente essere corroborato da ulteriori elementi indiziati che siano, unitamente a questo, gravi precisi e concordanti. Invero, gli accertamenti induttivi dell’Agenzia delle Entrate sono eseguiti sulla base di tabelle di coefficienti, come stabiliti da appositi decreti ministeriali, che meccanicamente, riportano all’attenzione degli uffici dell’Amministrazione finanziaria gli scostatemi tra il dichiarato e le risultanze dei calcoli medesimi e vanno qui richiamati i principi di diritto già espressi da questa Corte (Cass. n. 4032/2015; Cass. n. 5228/2012).

Nel caso di specie, le prove asseritamente prodotte dal ricorrente sono state valutate dalla C.T.R. come insufficienti a vincere gli strumenti probatori prodotti dall’Agenzia delle Entrate.

5. Tutto quanto fin qui detto vale, per ciò stesso, ad escludere il vizio di motivazione, da scrutinare alla luce della riformulazione dell’art. 360 c.p.p., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134.

6. Con il secondo e terzo motivo il ricorrente lamenta la “assoluta carenza di istruttoria e motivazione” della sentenza impugnata. Entrambi i motivi sono inammissibili. Il ricorrente lamenta carenze istruttorie, riguardo alcuni elementi di prova prodotti dal contribuente non meglio specificati, con ciò incorrendo nel medesimo vizio di difetto di autosufficienza, esaminato per il primo motivo al precedente punto 3, al quale si fa rinvio.

7. Con il quarto ed ultimo motivo, il ricorrente lamenta, infine, “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. nonchè art. 360, n. 4), per l’omesso esame di motivi di appello”.

Il motivo è del pari inammissibile. Il ricorrente afferma, del tutto genericamente, che la C.T.R. ha “del tutto omesso di esaminare i motivi posti a base” dell’appello, giungendo ad una “assoluta mancata pronunzia sui fatti dedotti in giudizio”, al punto di integrare la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Tuttavia, dal contenuto del motivo, si evince che il ricorrente, oltre ad una confusa commistione di error in precedendo e vizio motivazionale (cfr. da ultimo Cass. 25761/2014), non lamenta tanto l’omessa pronuncia sui motivi di appello, quante motivazione del tutto “apparente”, che non consente di ricostruire l’iter logico seguito dai giudici. Risulta pertanto del tutto inconferente il vizio dedotto.

Peraltro, con riguardo al vizio di motivazione apparente, il motivo infondato. La sentenza della C.T.R. risulta immune da censure, avendo i giudici della C.T.R. esposto, anche in modo diffuso, le ragioni in base alle quali, come già vagliato dai giudici di primo grado, doveva essere ritenuta legittima e fondata la pretesa impositiva, con conseguente reiezione del gravame del contribuente.

8. Alla luce di quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2009, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidati in complessivi Euro 2.500,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2016

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