Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25669 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2021, (ud. 04/05/2021, dep. 22/09/2021), n.25669

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14770-2020 proposto da:

EFFE4 SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato VITTORIO MENDITTO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SANTA MARIA A VICO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 101, presso lo

studio dell’avvocato MARIO LUPIS, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARIA ORLANDO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 405/2020 del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA A

VETERE, depositata il 10/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. UMBERTO

LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA e RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte:

rilevato che:

con sentenza del 10/2/2020 il Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere ha accolto l’appello proposto dal Comune di Santa Maria a Vico avverso la sentenza n. 143 del 2018 del Giudice di pace di Arienzo, notificata il 15/3/2019, rigettando la domanda proposta da Effe4 s.r.l. nei confronti del Comune, volta ad ottenere il pagamento della somma di Euro: 2.371,76 a titolo di interessi, per violazione del principio del ne bis in idem, con l’aggravio delle spese del giucli7io di secondo grado;

secondo il Tribunale, tale conclusione era determinata dal fatto che il Giudice di pace con precedente sentenza n. 929 del 2016 aveva rigettato la domanda per lo stesso importo e con riferimento allo stesso contratto del 27/9/2012, a titolo di interessi di mora, mentre nel presente giudizio la richiesta era stata formulata a titolo di “interessi legali e/ o di mora”;

avverso la predetta sentenza, notificata l’11/2/2020, con atto notificato il 8/6/2020 ha proposto ricorso per cassazione la Effe4, svolgendo due motivi, al quale ha resistito il Comune di Santa Maria a Vico con controricorso notificato il 24/6/2020 chiedendone l’inammissibilità o il rigetto;

e’ stata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. la trattazione in camera di consiglio non partecipata;

la controricorrente ha illustrato con memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, le proprie difese.

Diritto

RITENUTO

che:

con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 124 disp. att. c.p.c. per aver dato rilievo al passaggio in giudicato della sentenza n. 929 del 2016 del Giudice di pace di Arienzo, quale fatto non contestato e in difetto della debita attestazione di passaggio in giudicato;

la censura, così come proposta, era indubbiamente fondata, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il giudicato esterno – per quanto rilevabile d’ufficio – può far stato in accoglimento della relativa eccezione, solo se la certezza della sua formazione è provata attraverso la produzione della sentenza, completa della motivazione, posta a fondamento dell’eccezione, e recante il relativo attestato di cancelleria di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c. (Sez. L, n. 28515 del 29/11/2017, Rv. 646363 – 01; Sez. L, n. 10623 del 08/05/2009, Rv. 608047 – 01; Sez. L, n. 27881 del 24/11/2008, Rv. 605885 – 01);

in particolare, la parte che eccepisce il giudicato esterno ha l’onere di provarlo producendo la sentenza stessa corredata della idonea certificazione ex art. 124 disp. att. c.p.c., non potendosi ritenere che la mancata contestazione di controparte sull’affermato passaggio in giudicato significhi ammissione della circostanza (Sez. 2, n. 2524 del 19/03/1999, Rv. 524306 – 01; Sez. L, n. 12770 del 09/07/2004, Rv. 574422 – 01; Sez. 5, n. 22644 del 02/12/2004, Rv. 578288 – 01; Sez. 3, n. 4763 del 04/03/2005, Rv. 581167 – 01; Sez. 3, n. 19883 del 29/08/2013, Rv. 627590 – 01);

questa Corte (Sez. 6 – 1, n. 4803 del 01/03/2018, Rv. 647893 – 01) ha anche sostenuto, ulteriormente chiarendo la rilevanza dei comportamenti processuali delle parti, che la parte che eccepisca la definitività di una sentenza resa in altro giudizio, qualora la controparte ammetta esplicitamente l’intervenuta formazione del giudicato esterno, non ha l’onere di produrre la decisione munita della certificazione di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c., dalla quale risulti che la pronuncia non è soggetta ad impugnazione, a differenza di quanto invece deve avvenire nell’ipotesi di mera non contestazione del giudicato, a cui non può attribuirsi il significato di ammissione della definitività della decisione;

nella fattispecie il Tribunale ha dato rilievo alla sola mancata contestazione e il controricorrente non solo non ha indicato in modo specifico e autosufficiente una esplicita ammissione della ricorrente, ma anzi si è limitato a evidenziare la condotta processuale di controparte, consistita nel sostenere la diversità del contenuto delle due domande giudiziali e delle relative decisioni, che non configurerebbe una ammissione esplicita del passaggio in giudicato della sentenza n. 929 del 2016;

il controricorrente in memoria 19/4/2021 ha sostenuto che l’attestazione del passaggio in giudicato della sentenza 929/2016 era stata prodotto già nel giudizio di merito (“Invero, tale documento è stato prodotto anche innanzi al Tribunale di Santa Maria C. V. sebbene il Giudice Unico lo abbia evidentemente ritenuto ultroneo, non citandolo negli atti, per mancata contesta5zione al riguardo”): tale labiale affermazione è peraltro del tutto generica, in difetto di doverose precisazioni sul momento e modo della predetta produzione e della collocazione del documento nelle carte processuali;

tuttavia il controricorrente con la memoria del 19/4/2021 ha anche posto in evidenza di aver prodotto con il proprio controricorso, e quindi tempestivamente, come doc. 9, l’attestato di passaggio in giudicato della prima sentenza del Giudice di pace di Arienzo n. 929/2016 e invoca al proposito l’art. 372 c.p.c.;

tale disposizione ammette nel processo di legittimità il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo se riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso;

nella fattispecie la produzione è volta a dimostrare l’inammissibilità del ricorso in relazione all’esistenza del contestato giudicato esterno;

il giudicato esterno è rilevabile in sede di legittimità anche quando si sia formato successivamente alla sentenza impugnata, trattandosi della regula iuris che, essendo destinata a conformare con carattere di stabilità il caso concreto, incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, con la conseguenza che i documenti che ne attestano la sussistenza rientrano nel novero di quelli producibili ex art. 372 c.p.c.; essendo il giudicato assimilabile agli elementi normativi, il giudice di legittimità può direttamente accertarne l’esistenza e la portata con cognizione piena, tenendo conto che la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici (Sez. lav., 17/06/2020, n. 11703; Sez. lav., 12/02/2020, n. 3470; Sez. un., 16/06/2006, n. 13916);

il motivo, pur latore di una censura in origine fondata, deve essere rigettato alla luce del documento ammissibilmente prodotto in sede di legittimità che dimostra che effettivamente sulla sentenza 929/2016 inter partes era sceso il giudicato;

con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2909 c.c.;

il ricorrente sostiene che con la prima domanda giudiziale egli si si era limitato a richiedere la somma di Euro 2.371,76 a titolo di interessi di mora sulle somme a suo credito tardivamente corrisposte per stati avanzamento lavori, senza alcun riferimento agli interessi “commerciali” di cui al 9/11/2012 n. 192, estensivo delle disposizioni di cui al precedente D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231;

era stato il Giudice di pace – prosegue il ricorrente – a rigettare la sua domanda sotto tale profilo, sul presupposto che la disciplina di cui al D.Lgs. n. 192 del 2012 poteva trovare applicazione solo alle transazioni commerciali concluse a partire dal 1/1/2013;

con il secondo atto di citazione la ricorrente sostiene di aver proposto la domanda volta a vedersi riconoscere gli interessi legali e di mora, senza con ciò incorrere in alcuna preclusione rispetto alla prima sentenza che aveva semplicemente escluso la debenza degli interessi “commerciali” e non aveva delibato la mora dedotta dalla Effe4 in capo al Comune di Santa Maria a Vico;

così argomentando, tuttavia, la ricorrente riconosce di aver proposto in origine nel primo giudizio la stessa domanda del secondo giudizio e si duole dell’errata interpretazione di tale prima domanda da parte del Giudice di pace nella sentenza n. 929/2016, avverso la quale non ha proposto tempestivo gravame;

né sembrano pertinenti i riferimenti giurisprudenziali esposti dalla ricorrente, che sostiene che quando la sentenza di primo grado manchi di statuire su una delle domande introdotte in causa (e non ricorrono gli estremi di una sua reiezione implicita, né risulta che la stessa sia rimasta assorbita dalla decisione di altra domanda da cui dipenda) deve riconoscersi alla parte istante la facoltà di far valere tale omissione in sede di gravame, ovvero, in alternativa, di riproporre la domanda in separato giudizio, considerato che la rinunzia implicita alla domanda stessa di cui all’art. 346 c.p.c., per non avere denunciato quell’omissione in appello, ha valore processuale e non anche sostanziale, con l’ulteriore corollario che, stante la menzionata facoltà di scelta, nel separato giudizio non sarà opponibile il giudicato derivante dalla mancata impugnazione della sentenza per omessa pronuncia (Sez. 2, n. 3260 del 22/03/1995, Rv. 491302 – 01);

tuttavia quest’orientamento si riferisce alla ipotesi dell’omissione di pronuncia e non al diverso caso in cui la parte interessata lamenti un errore di interpretazione della sua domanda che abbia condotto alla pronuncia sfavorevole, ipotesi nella quale essa non può ritenersi esonerata dalla proposizione del gravame avverso il presunto errore interpretativo che abbia determinato un ingiusto rigetto;

ritenuto pertanto che il ricorso debba essere rigettato;

le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 1.700,00 per compensi, Euro 100,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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