Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25659 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 22/09/2021), n.25659

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12061-2020 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato FRANCESCO SAVERIO DEL FORNO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. cronol. 200/2020 del TRIBUNALE di CATANZARO,

depositato il 23/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Catanzaro del 23 gennaio 2020. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente, M.A., originario del Pakistan, potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato; con essa è stato altresì escluso che il detto attore potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su di un motivo. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente, nella parte del ricorso dedicata all’esposizione del motivo, denuncia anzitutto la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; deduce, inoltre che “a monte” risultano violate le norme sul rifugio e sulla protezione sussidiaria di cui al citato D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14; prospetta, poi, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; di seguito “ribadisce” – senza che il tema sia stato in precedenza affrontato nello svolgimento del motivo — la necessità di fare applicazione del principio di cooperazione istruttoria; l’istante accenna, poi, all'”inammissibile, arbitraria soggettivazione di opinioni personali” e lamenta che assuma forme di indubbia ragionevolezza il manifestato timore di patire pene ingiuste e sproporzionate; si duole che il Tribunale non abbia tenuto conto del “progressivo sradicamento dal paese di origine, con contestuale inserimento-radicamento nell’ambito del nuovo territorio, che accoglie e integra il ricorrente nel suo interconnettivo tessuto di comunità”; da ultimo, il ricorrente prospetta la violazione dell’art. 25 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo.

2. – Il ricorso è inammissibile.

Esso consta di una prima parte (pagg. 2-16) in cui il provvedimento impugnato è fatto oggetto di una serie disordinata di critiche, la cui articolazione appare incomprensibile, visto che i rilievi svolti non costituiscono oggetto del motivo di ricorso (art. 366 c.p.c., n. 4) il quale è trattato a parte (pagg. 16-19). Il vero e proprio motivo e’, poi, oltremodo confuso, cumulando plurime ragioni di censura che, oltre a succedersi senza un soddisfacente criterio logico, non risultano associate a una coerente esposizione delle argomentazioni del Tribunale che l’istante avrebbe inteso, volta per volta, confutare.

Occorre qui ricordare che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa (Cass. 24 febbraio 2020, n. 4905; Cass. 25 settembre 2009, n. 20652; Cass. 6 giugno 2006, n. 13259) e che ciò comporta, fra l’altro, l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero delle lamentate carenze di motivazione (Cass. 25 settembre 2009, n. 20652, cit.; Cass. 6 giugno 2006, n. 13259, cit.).

Ciò vale con particolare riguardo al vizio di violazione di legge, su cui pare incentrato il mezzo di censura. Infatti, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c., n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare, con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni, la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U. 28 ottobre 2020, n. 23745).

Preme infine sottolineare che l’articolazione di un singolo motivo in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione d’inammissibilità dell’impugnazione quando — come avviene nella fattispecie – la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l’individuazione delle questioni prospettate (Cass. 17 marzo 2017, n. 7009); in particolare, l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass. 23 ottobre 2018, n. 26790).

3. – Nulla è da statuire in punto di spese processuali.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della, 6a Sezione Civile, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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