Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25659 del 13/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 13/11/2020, (ud. 22/09/2020, dep. 13/11/2020), n.25659

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17221-2019 proposto da:

A.S.K., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLI AIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIOVANNA FRIZZI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTIZIONE INTERNAZIONALE DI VEERONA;

– intimati –

avverso il decreto n. R.G. 1192/2018 del TRIBUNALE di TRENTO,

depositato il 17/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

A.S.K., nato in Ghana, con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 ha impugnato dinanzi il Tribunale di Trento, con esito sfavorevole, il provvedimento della Commissione Territoriale di diniego del riconoscimento della protezione internazionale in tutte le sue forme.

In particolare, il Tribunale, che ha proceduto all’interrogatorio libero del richiedente, ha ritenuto non credibile il suo racconto – questi aveva riferito di essere fuggito, dopo essere stato aggredito e colpito con bastonate perchè era stato scambiato per un ladro, mentre era intento a svolgere un lavoro quale elettricista, in occasione del quale il ragazzo che collaborava con lui era morto per gli effetti di una scossa elettrica e di temere di essere arrestato – perchè non circostanziato, incoerente e contraddittorio sia in merito alla situazione familiare personale, che alle circostanze che lo avrebbero indotto alla fuga.

Il Tribunale ha, quindi ritenuto che la vicenda narrata, non integrava gli estremi per il riconoscimento dello status di rifugiato perchè non emergevano condotte persecutorie; stante la non credibilità del racconto del richiedente, ha escluso la riconoscibilità della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. a) e b); quanto alla protezione sussidiaria richiesta ex art. 14, lett. c), ha ritenuto, ripercorrendo le vicende storiche del Ghana degli ultimi anni, che non vi era una condizione oggettiva di pericolo direttamente riferibile alla zona geografica di provenienza, in quanto non si ravvisava la presenza di un conflitto armato tale da comportare una minaccia individualizzata a danno del ricorrente. Infine, ha denegato anche il permesso per motivi umanitari, poichè non ricorrevano le condizioni per la concessione, in difetto di situazioni di vulnerabilità oggettive o soggettive e di prova di integrazione sociale in Italia.

Avverso la suddetta pronuncia, il richiedente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi (erroneamente indicati come quattro), nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver omesso di decidere, relativamente alla domanda di protezione sussidiaria, in merito alla sussistenza dell’ipotesi del danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b).

Il ricorrente si duole che il Tribunale non abbia preso in esame il Rapporto del Ministero dell’Interno ed il Rapporto di Amnesty International 2018, nonostante lui li avesse depositati, dai quali si poteva evincere che il Ghana non era in grado di proteggere i propri cittadini e di garantire, attraverso le istituzioni, la promozione dei diritti fondamentali dell’uomo per cui era fondato il rischio di torture e di trattamento disumano in caso di arresto e detenzione.

1. Il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi e non la impugna.

Il Tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del ricorrente e, segnatamente, il suo timore di essere stato denunciato e di poter essere arrestato, una volta rientrato in patria, sia perchè il racconto non era convincente ed i fatti narrati erano comunque risalenti, sia perchè lo stesso ricorrente, che pure aveva affermato di aver mantenuto i rapporti con la sua famiglia, non aveva riferito di condanne a suo carico o di altro su cui fondare il timore del rientro in patria. Ne consegue che a fronte dell’accertamento – non impugnato – di non credibilità del racconto, gli elementi dedotti per comprovare il rischio di subire torture o trattamenti degradanti risultano privi di decisività perchè (anche ove confermati) non appaiono pertinenti alla personale vicenda del ricorrente.

2. Con il secondo motivo (erroneamente numerato “3”) si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 25, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, commi 6 e 19 ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per aver negato il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, omettendo di valutare i fatti oggetto della domanda e in particolare la mancanza di garanzie giudiziarie e le violazioni dei diritti umani perpetrate nel Paese di origine nonchè l’elevato grado di integrazione del ricorrente e la situazione di vulnerabilità in cui si troverebbe in caso di rimpatrio.

Il motivo è inammissibile: la valutazione di non credibilità del racconto preclude il riconoscimento della protezione per ragioni umanitarie, perchè è del tutto evidente che in presenza di un racconto non circostanziato e non credibile – come da accertamento di merito – non esista alcuna possibilità di comparazione con la situazione in cui aveva vissuto prima dell’allontanamento (Cass. n. 4455 del 23/2/2018, in motivazione), dovendosi apprezzare la situazione particolare del singolo soggetto e non quella del suo paese d’origine in termini generali ed astratti.

Nel caso in esame, il decreto di rigetto risulta idoneamente motivato giacchè il Tribunale ha anche accertato che non ricorreva il requisito dell’integrazione sul territorio dello Stato, mancando una stabile attività lavorativa ed il ricorrente sostanzialmente sollecita una rivalutazione del merito.

3. Con il terzo motivo (erroneamente numerato “4”) si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3, per avere il Tribunale omesso di decidere in ordine alla domanda di rilascio di permesso “costituzionale” per motivi umanitari, espressamente presentata dal ricorrente e per non aver valutato il principio di non refoulement.

La censura è infondata quanto al diritto di asilo, perchè la previsione di cui all’art. 3 Cost. è stata attuata dal legislatore mediante gli istituti della protezione internazionale ed umanitaria, già considerati nel caso in esame.

E’ infondata anche in merito alla violazione del principio di non refoulement perchè essa presuppone fatti non accertati dal giudice di merito, quale l’esposizione del richiedente al rischio di subire persecuzioni o trattamenti inumani o degradanti in caso di rimpatrio. In particolare non risulta violato il principio di non refoulement indicato dalla CEDU, alla luce del quale non deve essere sempre concesso l’asilo al richiedente ma solo evitare che nel suo paese sia sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti, circostanza questa esclusa dal giudice di merito.

4. In conclusione il ricorso va rigettato.

Non si provvede sulle spese, in assenza di attività difensive dell’intimato.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Rigetta il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2020

 

 

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