Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25658 del 13/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 13/11/2020, (ud. 22/09/2020, dep. 13/11/2020), n.25658

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16802-2019 proposto da:

G.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CHISIMAIO, 29,

presso lo studio dell’avvocato MARINLENA CARDONE, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI BRESCIA;

– intimata –

avverso il decreto n. R.G. 4008/2018 del TRIBUNALE di BRESCIA,

depositato il 18/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

G.B., nato in Senegal, con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 ha impugnato dinanzi al Tribunale di Brescia, con esito sfavorevole, il provvedimento di diniego della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale in tutte le sue forme.

In particolare, il Tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente – il quale aveva riferito di essere fuggito perchè aveva intrapreso una relazione sentimentale con una ragazza, che era rimasta incinta, relazione contrastata dalla di lei famiglia che aveva bruciato la sartoria dove lavorava, inducendolo a fuggire prima in Mali e poi in Libia ed in Italia, e di temere per la sua vita in caso di rientro in patria perchè non circostanziato e non plausibile in merito alla relazione che avrebbe intrapreso con una ragazza appartenente ad una delle famiglie più potenti del Senegal, atteso che non aveva saputo fornire alcuna informazione individualizzante circa la ragazza stessa.

Il Tribunale ha, quindi, ritenuto che la vicenda narrata, non integrava gli estremi per il riconoscimento dello status di rifugiato perchè non emergevano condotte persecutorie; stante la non credibilità del racconto del richiedente, ha escluso la riconoscibilità della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. a) e b); quanto alla protezione sussidiaria richiesta ex art. 14, lett. c), ha ritenuto che non vi era una condizione oggettiva di pericolo direttamente riferibile alla zona geografica di provenienza, in quanto in Senegal non si ravvisava la presenza di un conflitto armato tale da comportare una minaccia individualizzata a danno del ricorrente (come risultava da Report 2017/2028 – Amnesty International). Ha ritenuto assorbito dall’esame delle altre domande di protezione, la richiesta c.d. di asilo. Infine, ha denegato anche il permesso per motivi umanitari, ritenendo che non ricorrevano le condizioni per la concessione, in difetto di situazioni di vulnerabilità oggettive o soggettive del richiedente ed in assenza di prova della sua di integrazione in Italia.

Avverso la suddetta pronuncia, il richiedente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4, in relazione all’omessa applicazione del principio di verosimiglianza delle dichiarazioni rese dal richiedente.

Il ricorrente si duole del giudizio di non credibilità e critica la valutazione compiuta dal Tribunale, lamentando la mancata valorizzazione dei fatti narrati in merito alle aggressioni subite.

Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale, contrariamente a quanto assume il ricorrente, ha fondato il suo giudizio su un complesso di elementi, sottolineando in particolare le incongruenze e la genericità del narrato.

La doglianza si traduce in una impropria sollecitazione del riesame del merito, tanto più che nel caso di specie la motivazione senz’altro possiede i requisiti del minimo costituzionale ed il ricorrente non ha indicato alcun fatto di cui sia stato omesso l’esame, di guisa che la censura non risponde nemmeno al modello legale del vizio motivazionale (Cass. n. 27503 del 30/10/2018; Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 lamentando l’inosservanza dell’obbligo di cooperazione istruttoria sia in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, ben più grave di quanto ritenuto dal Tribunale, sia quanto alla verifica delle condizioni per il riconoscimento del permesso per ragioni umanitarie.

2.2. Con il terzo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 118 del 2018, in riferimento al denegato permesso per ragioni umanitarie.

2.3. I motivi secondo e terzo possono essere trattati congiuntamente, perchè strettamente avvinti.

Vanno dichiarati entrambi inammissibili.

La doglianza risulta essere assolutamente generica (Cass. n. 5001 del 2/3/2018; Cass. n. 24298 del 29/11/2016): quanto alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione e, per conseguenza, risulta priva di decisività, non solo perchè l’approfondimento istruttorio circa le condizioni socio/politiche del Senegal vi è stato, ma anche perchè non viene indicato quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso (in tema, Cass. n. 2119 del 24/1/2019), nè viene illustrato in che modo il richiedente abbia tempestivamente dedotto davanti al giudice di merito la sussistenza di elementi particolari, rilevanti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), cit., ovvero ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno umanitario (cfr. Cass. n. 4455 del 23/2/2018).

Invero, entrambe le censure configurano una pura e semplice critica di merito riguardante l’accertamento di fatto della insussistenza dei presupposti richiesti ed un’impropria sollecitazione al riesame.

3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di legittimità che liquida in Euro 2.100,00=, oltre spese prenotate a debito;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2020

 

 

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