Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25657 del 15/11/2013
Civile Sent. Sez. 6 Num. 25657 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO
equa riparazione
SENTENZA
sentenza con motivazione
semplificata
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,
pro
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, presso
cui uffici in Roma, via
dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– ricorrente contro
ESPOSITO Maria;
– intimata avverso il decreto della Corte d’appello di Roma depositato
il 16 giugno 2011.
Data pubblicazione: 15/11/2013
Udita
la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 4 ottobre 2013 dal Consigliere relatore Dott.
Stefano Petitti;
sentito
il P.M.,
in persona del Sostituto Procuratore
l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 19 ottobre 2006
presso la Corte d’appello di Roma, Esposito Maria ha
chiesto la condanna del Ministero della giustizia al
pagamento dell’indennizzo per la irragionevole durata della
procedura relativa al fallimento Calzaturificio Garden
Shoes s.r.1., al cui passivo aveva chiesto di essere
ammessa per credito di natura retributiva, dichiarato nel
1997 e non ancora chiuso alla data di presentazione della
domanda di equa riparazione;
che l’adita Corte d’appello ha ritenuto il ricorso
fondato, poiché il caso, di natura non complessa, tenuto
anche conto dell’attività connessa alle procedure
concorsuali in relazione alle opposizioni allo stato
passivo, alle insinuazioni tardive e alle azioni
revocatorie, avrebbe potuto decidersi entro quattro anni,
liquidando un indennizzo di euro 3.250,00 per i quattro
anni di durata irragionevole, determinato applicando il
criterio di 750,00 euro per i primi tre anni di ritardo e
di 1.000,00 euro per i successivi;
Generale Dott. Ignazio Patrone, che ha concluso per
che il Ministero della giustizia ha proposto ricorso
per la cassazione di questo decreto;
che l’intimata non ha svolto attività difensiva in
questa sede.
che il collegio ha deliberato l’adozione
della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo di ricorso, il Ministero
ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, censurando il
decreto impugnato perché ha ritenuto ragionevole, per una
procedura fallimentare, la durata di quattro anni, lasso
temporale, questo, che costituisce la durata ragionevole di
un unico grado di una causa di complessità superiore alla
media, mentre, nel caso di specie, si era in presenza di
una procedura caratterizzata, per quanto desumibile dallo
stesso decreto impugnato, da una certa complessità, in
relazione alla quale la durata ragionevole avrebbe dovuto
essere stimata in sette anni;
che con il secondo motivo il Ministero della giustizia
deduce vizio di motivazione insufficiente e/o
contraddittoria con riferimento alla durata ritenuta
ragionevole, non essendo chiaro se la detta valutazione si
riferisce alla durata della procedura fallimentare ovvero
Considerato
al giudizio di opposizione allo stato passivo riguardante
l’intimata;
che con il terzo motivo l’amministrazione ricorrente
denuncia un ulteriore vizio di motivazione, dolendosi del
condotta della parte, la quale aveva chiesto l’ammissione
al passivo per crediti di gran lunga superiori a quello poi
ammesso;
che deve preliminarmente essere disattesa la richiesta
di dichiarazione di inammissibilità del ricorso per
violazione dell’art. 366 cod. proc. civ., formulata dalla
Procura generale sul rilievo che il ricorso è stato
confezionato con la tecnica della spillatura;
che, in contrario, è sufficiente rilevare che il
ricorso presenta una tecnica di redazione complessa, che
non si risolve nella mera spillatura di tutti gli atti del
giudizio presupposto, ma si articola nella ricostruzione
della vicenda processuale, nell’inserimento del testo del
decreto impugnato e nella esposizione di singoli motivi di
censura calibrati sulle questioni esaminate nel decreto
impugnato, sicché deve ritenersi che il ricorso stesso
superi il preliminare vaglio di ammissibilità formale;
che, venendo al merito, il Collegio ritiene che il
primo e il secondo motivo di ricorso – che per evidenti
4
fatto che la Corte d’appello non abbia tenuto conto della
ragioni
di
connessione
possono
essere
trattati
congiuntamente – siano fondati;
che questa Corte ha avuto modo di affermare che “in
tema di equa riparazione per la violazione del termine di
secondo, della legge n. 89 del 2001, la durata delle
procedure fallimentari, secondo lo
standard
ricavabile
dalle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, è
di cinque anni nel caso di media complessità e, in ogni
caso, per quelle notevolmente complesse a causa del
numero dei creditori, la particolare natura o situazione
giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie,
beni indivisi, ecc.), la proliferazione di giudizi connessi
o la pluralità di procedure concorsuali interdipendenti non può superare la durata complessiva di sette anni (Cass.
8468 del 2012);
che dal decreto impugnato emerge, da un lato, una
valutazione di non complessità della procedura, e,
dall’altro, la sussistenza di una serie di procedure
incidentali che certamente avrebbero dovuto indurre la
Corte d’appello a valutare la procedura fallimentare in
termini diversi da quelli della non complessità;
che, del resto, sulla base della lettura del decreto
impugnato non è dato neanche escludere che la valutazione
della Corte d’appello potesse essere riferita non alla
5
durata ragionevole del processo, a norma dell’art. 2, comma
procedura fallimentare nel suo complesso, ma al solo
giudizio di opposizione allo stato passivo concernente la
parte istante;
che, dunque, i primi due motivi di ricorso, con i quali
89 del 2001, sia il vizio motivazionale sul punto, sono
fondati;
che l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso
comporta la cassazione del decreto impugnato e
l’assorbimento del terzo motivo, atteso che la Corte
d’appello di Roma, in diversa composizione, dovrà procedere
a nuova valutazione della durata della procedura
fallimentare presupposta ai fini della determinazione della
soglia di ragionevolezza applicabile nella specie;
che al giudice di rinvio è demandata altresì la
regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso,
assorbito il terzo; cassa il decreto impugnato e rinvia,
anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte
d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di Cassazione,
il 4 ottobre 2013.
si denunciano sia la violazione dell’art. 2 della legge n.