Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25653 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 22/09/2021), n.25653

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26002-2020 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA 290, presso lo studio dell’avvocato CARLO PONZANO, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati. GIANFRANCO CECI,

CARLO PONZANO;

– ricorrente –

contro

O.F., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato RAFFAELLA SONZOGNI;

– controricorrente –

avverso il decreto n. cronol. 28/2020 della COME D’APPELLO di

BRESCIA, depositato il 13/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

SCALIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il signor C.M. ricorre con tre motivi, illustrati da memoria, per la cassazione del decreto in epigrafe indicato con cui la Corte di appello di Brescia, pronunciando ex art. 737 e ss. c.p.c., in parziale accoglimento dei distinti reclami proposti da C.M. e O.F. avverso il decreto n. 6404/2019, emesso su ricorso ex art. 337 bis e ss. c.c., dal Tribunale di Bergamo in data 5 luglio 2019, dichiarata la nullità del decreto impugnato, perché pronunciato prima della scadenza dei termini accordati alle parti per le difese, ha disciplinato l’affido, il collocamento e la visita dei figli minori, disponendo a carico del padre un assegno di contributo al loro mantenimento di Euro 500 mensili.

Resiste con controricorso O.F..

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, degli artt. 101, 190 e 354 c.p.c.; il decreto decisorio pronunciato in primo grado dal Tribunale di Bergamo era stato ritenuto correttamente nullo perché emesso prima del decorso dei termini concessi alle parti per il diritto di difesa, ma poi la Corte di appello aveva pronunciato sul merito senza rimettere le parti dinanzi al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c., norma che avrebbe dovuto, invece, trovare applicazione.

3. Con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, ed insufficienza di motivazione su fatto decisivo per la controversia relativo all’erronea quantificazione dei redditi del ricorrente ed all’assegnazione della casa familiare nel contesto alberghiero, promiscuo, nella titolarità della famiglia di origine del ricorrente.

La Corte aveva omesso di valutare il compendio in atti sull’ammontare dei redditi del signor C. ed aveva ricostruito questi ultimi in via presuntiva, in forza di mere asserzioni della controparte anche con travisamento di quelle rese con finalità meramente transattiva da C.P., padre del ricorrente, che si era offerto di partecipare, temporaneamente, alle spese di locazione di un nuovo immobile, offerta effettuata in un periodo in cui la signora O. ancora non lavorava e tanto là dove la stessa aveva, invece e successivamente, reperito un’occupazione con uno stipendio di Euro 1.300 mensili.

4. Il primo motivo è infondato.

La nullità rilevata dal giudice di appello del provvedimento adottato dal tribunale non integra alcuna delle ipotesi di rimessione tassative previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c., e l’appello costituisce un gravame generale a carattere sostitutivo che impone al giudice dell’impugnazione di pronunciarsi e decidere sul merito della controversia con rinnovo dell’atto nullo nella fattispecie integrato dalla stessa decisione adottata prima della scadenza dei termini concessi alle parti per le difese (vd. Cass. n. 19579 del 24/07/2018).

5. Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili perché di diretta rivisitazione nel merito dell’impugnata decisione, non dialoganti non la ratio della decisione impugnata e non autosufficienti.

Si deduce in ricorso che l’offerta con finalità transattiva effettuata dal ricorrente, a tanto coadiuvato dal padre, per risolvere il problema della individuazione della casa familiare presso la quale avrebbe potuto risiedere il coniuge collocatario dei figli minori era stata utilizzata dalla Corte di merito per inferirne, erroneamente, la disponibilità di un reddito in capo al ricorrente tale da permettergli di contribuire al mantenimento dei figli con un assegno di Euro 600 mensili.

La deduzione è inammissibile perché di merito.

In tema di giudizio di cassazione, la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (Cass. n. 5279 del 26/02/2020) e tanto nella fattispecie in esame non avviene; resta ferma quindi la natura di merito del rilievo.

E’ vero infatti che, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole: la parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – come nella specie ha fatto il ricorrente – bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito dalla L. n. 134 del 2012 (Cass., 12/10/2017, n. 23940).

In tema di ricorso per cassazione, pertanto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., 27/12/2016, n. 27000; Cass., 17/01/2019, n. 1229).

In ogni caso il ragionamento sviluppato dalla Corte di merito fa riferimento alla circostanza per la quale il ricorrente si è dichiarato disposto a sostenere “oltre ad Euro 600 anche quelle per un eventuale canone locatilo” che, come tale, neppure richiama, pienamente, quella contestata in ricorso, che si vuole inserita in un contesto transattivo raggiunto tra le parti, il tutto fermo il valore di merito della proposta censura.

Con i motivi dedotti il ricorrente deduce altresì evidenze sopravvenute della cui tempestiva deduzione non dà conto, quale il reperimento di un’attività lavorativa da parte della signora O., circostanze che, come tali, non sono deducibili nel giudizio di legittimità.

La motivazione articolata sulla individuazione della casa presso cui i figli dovranno continuare a vivere con il genitore collocatario dà conto degli esiti degli accertamenti disposti ed individua la ratio della decisione nella necessità di salvaguardare il valore integrato, quanto ai minori, dall’esigenza di stabilità di vita preservando dei figli le abitudini maturate all’interno dell’albergo in cui si svolge l’attività della famiglia del C., esigenza con cui il ricorso neppure si confronta.

6. Il ricorso è conclusivamente infondato ed il ricorrente va condannato a rifondere a controparte le spese di lite che si liquidano secondo soccombenza come in dispositivo indicato.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere ad O.F. le spese di lite che liquida in Euro 4.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre 15% forfettario sulle spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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