Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25652 del 27/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 27/10/2017, (ud. 10/05/2017, dep.27/10/2017),  n. 25652

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2252/2015 proposto da:

F.F., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati FERDINANDO FELICE PERONE, ANDREA BORDONE,

PAOLO PERUCCO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

QUANTA SYSTEM S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMILIA, 86/90 (c/o

R&P LEGAL), presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CORAIN, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO TESTA,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 341/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 07/07/2014 R.G.N. 2808/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato MARA PARPAGLIONI per delega Avvocato ANDREA BORDONE;

udito l’Avvocato MAURIZIO CORAIN.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 7 luglio 2014, ha respinto l’appello di F.F. avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Busto Arsizio che aveva rigettato l’impugnativa di licenziamento intimato al lavoratore in data 11 luglio 2011 dalla Quanta System Spa per giustificato motivo oggettivo rappresentato dalla soppressione della posizione di responsabile commerciale per il mercato del Medio Oriente e dell’Africa in seguito al ridimensionamento dei costi inerenti le risorse dedicate all’area commerciale.

La Corte territoriale, premesso che, con l’atto introduttivo del giudizio, il F. aveva esclusivamente eccepito “la mancata valutazione da parte dell’azienda di possibili collocazioni alternative al licenziamento che avrebbero dovuto essergli offerte”, espletata istruttoria in grado d’appello, ha ritenuto accertato che l’azienda non avesse violato il cd. obbligo di repechage.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso F.F. con sei motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.. Ha resistito la società con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione di legge in riferimento al combinato disposto dell’art. 437 c.p.c., comma 2 e art. 421 c.p.c., per avere la Corte milanese ammesso in appello la prova testimoniale richiesta dalla società in comparsa di costituzione di primo grado; si deduce che la convenuta era decaduta dall’acquisizione dei relativi mezzi di prova in considerazione della implicita rinuncia agli stessi formulata in data 4 giugno 2012 innanzi al Tribunale, allorquando la difesa della Quanta System Spa “aveva insistito per la discussione della causa allo stato degli atti”; si eccepisce altresì che il Collegio non avrebbe potuto neanche ammettere d’ufficio mezzi di prova non nuovi, anche se ritenuti indispensabili ai fini della decisione della causa.

La censura è priva di fondamento.

Invero se nei rispettivi atti introduttivi delle parti di una controversia di lavoro sono stati tempestivamente articolati mezzi di prova, dalla mancata presentazione di un’ulteriore istanza di ammissione nelle udienze successive il giudice non può presumere l’abbandono e ritenerne la decadenza (v. Cass. n. 4717 del 2014, in motivazione). Tanto più che nella specie, dal verbale di udienza del 4 giugno 2012 innanzi al giudice di primo grado, risulta che “i procuratori (e quindi anche quelli della società) si riportano alle istanze ed eccezioni di cui ai rispettivi atti”, per cui alcun comportamento processuale inequivocamente teso a rinunciare alle prove richieste potrebbe essere desunto, come pretende il ricorrente, dalla circostanza che nel corso della medesima udienza detti procuratori di parte avversa abbiano insistito “per la discussione della causa”, evidentemente confidando nel fatto che il giudice potesse ritenere provate aliunde le loro allegazioni, il che poi è effettivamente accaduto.

Inoltre il giudice d’appello può ammettere le prove che, ritualmente richieste, non siano state ammesse nel giudizio di primo grado (Cass. n. 14465 del 2000; Cass. n. 5413 del 1998) o, anche, quelle ammesse ma di fatto non acquisite, salvo che non ne sia stata pronunciata la decadenza (Cass. n. 10902 del 2000; Cass. n. 2756 del 1999; tenuto conto che una decadenza a carico della stessa si produce soltanto per effetto di provvedimento in tal senso emesso dal giudice su istanza della controparte comparsa, e, d’altra parte, tale assenza non implica neanche rinuncia alla prova ai sensi dell’art. 245 c.p.c., v. Cass. n. 21909 del 2013), essendo sufficiente, ove chi vi abbia interesse sia completamente vittorioso in primo grado, che la parte riproponga l’istanza di ammissione nella memoria di costituzione nel giudizio di secondo grado (il che è anche accaduto nella specie come risulta dalle conclusioni della memoria di costituzione in appello della società, riportate dalla sentenza impugnata). Peraltro è stato anche escluso un onere di riproposizione delle istanze istruttorie, ritualmente proposte in primo grado, sulle quali il giudice abbia omesso di provvedere per aver ritenuto diversamente provate le circostanze di fatto allegate a fondamento della domanda (v. Cass. n. 6170 del 1996).

Infine, quanto a pretese preclusioni istruttorie in secondo grado, si osserva per completezza che questa Corte recentemente a Sezioni unite (sent. n. 10790 del 2017) ha ritenuto ammissibili in appello le prove nuove indispensabili, di per sè idonee ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, “a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado”, in ossequio al principio della ricerca della verità materiale.

2. Con il secondo motivo si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, che sarebbe rappresentato dalla circostanza, “documentale e non contestata”, che la società, in epoca coeva al licenziamento, avrebbe assunto almeno tre dipendenti con mansioni impiegatizie e professionalità compatibili con quella più elevata detenuta dall’ing. F. (due centralinisti ed un supporto del direttore della qualità); con il terzo mezzo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, che sarebbe rappresentato dal mancato assolvimento dell’onere della prova da parte della società con riferimento alle posizioni vacanti indicate dal ricorrente negli atti introduttivi del primi due gradi di giudizio; con il quarto motivo si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, che sarebbe rappresentato dalla vacanza dei profili di “(OMISSIS)” e di “(OMISSIS)” e dalla compatibilità degli stessi con la professionalità del lavoratore.

Il Collegio reputa i tre mezzi di gravame, congiuntamente esaminabili in quanto attingono la questione del repechage, non meritevoli di accoglimento.

Essi, formulati tutti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, investono un accertamento di fatto quale inevitabilmente è quello della esistenza o meno in ambito aziendale di posizioni lavorative in cui potesse essere utilmente utilizzato il F., esistenza negata dai giudici del merito al cui sovrano apprezzamento esso appartiene (da ultimo v. Cass. n. 10699 del 2017, in motivazione).

I motivi, sotto vari profili, sostanzialmente sollecitano una diversa ricostruzione della vicenda storica ed una rivisitazione delle risultanze processuali affinchè si giunga alla conclusione auspicata dalla parte ricorrente. Si tratta di operazione non consentita in sede di legittimità, ancor più ove si consideri il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – applicabile anche alla pronuncia in questa sede impugnata – così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte che hanno elaborato modalità di deduzione di detto vizio rispetto alle quali i motivi in esame risultano largamente inosservanti (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014; n. 19881 del 2014; n. 25008 del 2014; n. 417 del 2015). In particolare l’omesso esame cui si riferisce la norma deve riguardare un fatto decisivo inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico o la maggiore o minore significatività del fatto medesimo o il suo apprezzamento, nè tanto meno la valutazione di determinati elementi probatori (di recente v. Cass. n. 10316 del 2017), soprattutto quando l’apprezzamento del giudice del merito sia il frutto di una molteplicità di elementi fattuali la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità solo ove si denunci che la combinazione ed il peso dei dati fattuali, come definiti e accertati dal giudice di merito, non ne consentono la riconduzione alla nozione legale (in termini cfr. Cass. n. 18715 del 2016).

4. Con il quinto motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti rappresentato dalla “illegittimità della sottrazione dell’Area Manager Europa” al F..

Il mezzo di gravame formulato anch’esso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è inammissibile, oltre che per le ragioni esposte al precedente paragrafo se riguardato quale omesso esame di un fatto decisivo, perchè impropriamente lamenta invece in detta forma una omessa statuizione “in ordine all’eccezione formulata dalla difesa del ricorrente” che, invece, postula un error in procedendo del giudice che avrebbe dovuto essere denunciato con le modalità proprie dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, deducendo e dimostrando che tale errore ha condotto alla nullità della sentenza o del procedimento.

Infatti questa Corte ha più volte affermato che l’omessa pronuncia su di una domanda o su di una eccezione integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè esso presuppone che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c. (da ultimo: Cass., sez. 6, n. 329 del 2016; conforme a: Cass. n. 27387 del 2005; Cass. n. 1701 del 2006 e molte altre).

5. Con l’ultimo motivo si denuncia violazione della L. n. 604 del 1966, art. 5, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto assolto l’onere probatorio in punto di impossibilità di diversa utilizzazione del dipendente in altre mansioni rispetto a quelle precedentemente svolte.

La doglianza è manifestamente infondata atteso che la circostanza che i giudici del merito abbiano ritenuto assolto in fatto da parte dell’azienda l’onere probatorio sulla medesima gravante, contrariamente a quanto invece auspicato da parte ricorrente, non significa certo che sia stata realizzata dalla Corte territoriale una violazione o una falsa applicazione di legge.

6. Conclusivamente il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

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