Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25650 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 22/09/2021), n.25650

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14474-2020 proposto da:

S.M. domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA

della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

BARBARA ROMOLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– intimato –

avverso il decreto n. cronol. 215/2020 del TRIBUNALE di PERUGIA,

depositato il 11/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

SCALIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. S.M., nato nel (OMISSIS), in Senegal, ricorre con cinque motivi per la cassazione del decreto in epigrafe indicato con cui il Tribunale di Perugia, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, ne ha rigettato l’impugnazione avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale di diniego della protezione internazionale e del riconoscimento del diritto al rilascio di un permesso per ragioni umanitarie.

Nel racconto reso in fase amministrativa il ricorrente aveva dichiarato: di aver abbandonato il proprio Paese perché lo zio, presso cui era andato a vivere dopo la morte del padre, lo maltrattava e gli impediva di terminare gli studi facendolo lavorare nei campi; di essere stato catturato dai ribelli nel 2010 che lo conducevano presso un loro accampamento dove lo trattenevano per due settimane durante le quali lo torturavano perché accettasse di unirsi a loro nella lotta per l’indipendenza; di essersi sentito poco bene dopo aver accettato di partecipare alla lotta e che, rilasciato, era tornato dallo zio, il quale, una volta guarito, lo spingeva a tornare dai ribelli; fuggito in Tambacounda vi rimaneva per cinque anni fino a che non veniva a sapere di essere ricercato dallo zio e di avere pertanto raggiunto dapprima il (OMISSIS), poi il (OMISSIS) ed infine in (OMISSIS), Paesi in cui si tratteneva per qualche mese ciascuno, per poi giungere a (OMISSIS) da cui si imbarcava per l’Italia dopo essere stato arrestato e ricattato.

2. Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente al dichiarato fine di partecipare alla udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

3. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 10, 13 e 27, e della Dir. n. 2013/32/Ue, art. 16.

Il giudice di merito aveva formato il proprio convincimento esclusivamente sulla credibilità del ricorrente in base ad una valutazione superficiale e non correttamente motivata delle dichiarazioni rese “dalla richiedente”, non “corroborata” da informazioni sul Paese di origine consultate e, pertanto, contraria a quanto disposto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

3. Con il secondo il ricorrente fa valere la errata applicazione della Convenzione di Ginevra del 1951 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d), in tema di riconoscimento dello status di rifugiato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), e art. 3 “in tema di riconoscimento della cd. Protezione internazionale”.

5. Con il quarto motivo il richiedente fa valere la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

6. Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed omessa/insufficiente motivazione. Il ricorrente aveva contestato davanti al tribunale la corretta composizione della commissione territoriale lamentando che il provvedimento della Commissione fosse stato firmato digitalmente solo dal Presidente della Commissione stessa, non estensore della decisione, decisione che era, poi, priva della certificazione del segretario della commissione, ragione, questa di nullità assoluta per violazione dell’art. 4 cit.

Il tribunale aveva omesso ogni motivazione sul punto, in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

7. I primi quattro motivi sono inammissibili per genericità, mancando il ricorrente di raccordare le violazioni denunciate alla situazione del richiedente destinata a rimanere, come tale, del tutto sfocata in ricorso ed anzi ivi contrassegnata da continui erronei richiami alle posizioni di una “ricorrente”, per continue declinazioni di genere operate nel corpo del motivo, ed a una vicenda personale che alcuna comunanza presenta con quella del ricorrente, come definita nell’impugnato decreto e nella parte espositiva del medesimo atto di parte (“la ricorrente”, p. 5; “la stessa” p. 6; “dalla richiedente” p. 8) e, così, ad un contesto di provenienza che nessuna relazione ha con il narrato del richiedente (“sui pericoli di persecuzione a cui la ricorrente si esporrebbe in caso di rientro nel Paese di origine anche per il fatto di aver denunciato la situazione del suo Paese ad un altro Governo”, p. 5; “la motivazione risulta incentrata sulla non credibilità… quando invece autorevoli ed imparziali organi di informazione nazionale ed internazionale danno amplissimo risalto alla immane persecuzione subita in Cina (enfasi aggiunta) dagli adepti dei culti ritenuti “fuorilegge”, p. 6; “il Tribunale Civile di Perugia nel rigettare il ricorso della sig.ra S.((enfasi aggiunta), p. 8 “sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie a carico della donna (enfasi aggiunta) tutti motivati dalla sua appartenenza religiosa”, p. 9; “le discriminazioni subite dalla ricorrente per mano del direttore scolastico” (enfasi aggiunta), p. 10).

La redazione del ricorso sembra essere esito dell’utilizzo della tecnica del copia-incolla che ha così snaturato l’atto non consentendone il riferimento alla vicenda del richiedente, in tal modo mancando il ricorso alla sua finalità di condurre una calibrata critica al decreto impugnato.

Il motivo d’impugnazione è costituito infatti dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Cass. n. 17330 del 31/08/2015; Cass. n. 22478 del 24/09/2018).

7. Il quinto motivo e’, nel resto, inammissibile perché propone una censura non coltivabile nel giudizio avverso il decreto che abbia pronunciato sulla richiesta di protezione internazionale.

In tema di protezione internazionale, la nullità del provvedimento amministrativo, emesso dalla Commissione territoriale, per deduzione di invalida costituzione di tale organo e mancata osservanza delle maggioranze richieste dalla legge per la deliberazione, non costituisce oggetto dell’accertamento rimesso al giudice adito che non è il provvedimento di diniego, ma il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata per un rapporto tra richiedente e Stato sul quale comunque il giudice deve statuire, non rilevando, in sé, la nullità del provvedimento ma solo le eventuali conseguenze di essa sul pieno dispiegarsi del diritto di difesa (vd. Cass. n. 20492 del 29/09/2020; Vd. Cass. n. 7385 del 22/03/2017).

8. Il ricorso è in via conclusiva inammissibile.

Nulla sulle spese nella tardività della costituzione del Ministero dell’interno.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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